“Salvini”. Percorrendo la via Cassia da Roma verso Viterbo si sente il tifo per la Lega. L’automobilista, subito dopo Monterosi, sgrana gli occhi per la sorpresa: il nome del segretario leghista è scritto con vernice nera, a caratteri cubitali, su un cartellone pubblicitario. E non siamo nel profondo Nord, ma nella Tuscia del Lazio, nettamente fuori zona rispetto alla cosiddetta Padania. Pensandoci bene, però, più che una sorpresa quella scritta è una conferma: Matteo Salvini nelle elezioni politiche del 4 marzo ha conquistato a Viterbo quasi il 20% dei voti mentre nel 2013 il Carroccio era a percentuali irrilevanti, da prefisso telefonico.
Matteo Salvini ha ottenuto oltre il 17% dei voti a livello nazionale, ha superato Forza Italia di Silvio Berlusconi, è divenuto il partito egemone del centro-destra al 37%. Il trionfo c’è stato al Nord: in Lombardia e Veneto la Lega salviniana ha triplicato i voti salendo a quota 30%, ma i risultati sono stati più che soddisfacenti anche al Centro e al Sud, dove un tempo il Carroccio era inesistente. È andato bene perfino nella stessa capitale, un tempo la vituperata “Roma ladrona”. Nella città eterna il Carroccio è schizzato ad oltre l’11% contro appena lo 0,12% avuto nel 2013. Non solo. Salvini, 45 anni, milanese, è stato addirittura eletto senatore in Calabria. A stento ha contenuto l’euforia: «Il voto del Centro e del Sud è la mia soddisfazione più grande».
Alle volte avvengono i miracoli in politica. In questo caso la Lega è stata miracolata e l’autore del miracolo si chiama Salvini. Ha avuto successo la metamorfosi decisa e attuata dal segretario del Carroccio: ha trasformato la Lega da forza localistica del Nord in un partito della destra nazionalista italiana. Ha rotto con il Carroccio fondato da Umberto Bossi, prima secessionista e poi federalista, ma comunque posizionato solo come il difensore degli interessi delle ricche regioni settentrionali, dei piccoli imprenditori, del ceto produttivo. Non solo: da impostazioni liberiste ha spostato il partito su posizioni stataliste e sovraniste.
Italia, lavoro, sicurezza. La conversione politica ha fatto breccia al Centro e nel Mezzogiorno, oltre che sfondare al Nord. Il populismo in chiave nazionalista ha sbancato, contrapponendosi al populismo progressista del M5S, l’altro grande vincitore delle elezioni. Hanno mietuto successi a macchia d’olio le popolari promesse leghiste: lo sganciamento dall’euro, il drastico taglio delle imposte tramite la flat tax al 15%, la cancellazione della legge Fornero sulle pensioni, il rimpatrio degli immigrati illegali. Le consonanze con il M5S potrebbero prevalere sulle dissonanze, alla fine Salvini potrebbe formare un governo con Luigi Di Maio anche a spese dell’alleato Berlusconi.
La Lega ha avuto un inaspettato risultato positivo al Sud e, in particolare, in Calabria: il 5,6% dei voti alla Camera, il 6% al Senato rispetto ad appena lo 0,25% ricevuto nel 2013. Salvini a metà marzo è andato a Lametia Terme e a Rosarno (13% dei consensi) per ringraziare i suoi elettori calabresi: «Sono sorpreso dal risultato elettorale, non me l’aspettavo così bello… Onorato del voto in Calabria. Sono qui per servire e non per servirmi». Ha tuonato richiamando uno slogan di Donald Trump, un suo punto di riferimento assieme a Vladimir Putin: «Prima gli italiani, prima il lavoro». Ha promesso lavoro soprattutto nei servizi pubblici e si è impegnato per il controllo dell’immigrazione, annunciando battaglia contro l’attività dei lavoratori africani impiegati in condizioni disumane nei campi, soprattutto nella raccolta delle arance. Ha promesso grandi successi: «Voglio tornare qui da presidente del Consiglio». Non solo: «Il nostro prossimo obiettivo è governare la Calabria. Ci prepariamo a governare questa regione da qui a un anno».
Applausi, cori, ovazioni. Un cambiamento totale. Fino a qualche anno fa, le prime incursioni di Salvini nel meridione in cerca di consensi erano accolte con manifestazioni di protesta, fischi, grida. Nel 2014 proprio a Lametia Terme il segretario della Lega era stato ricevuto da cartelli ostili: «Salvini fuori dal Sud». Nel 2015 fu contestato ancora a Lametia Terme: «I terroni non dimenticano». Anche le elezioni comunali dello scorso giugno erano state un flop nel meridione. I passati insulti leghisti, razzisti e non, erano stati pesanti. Poi è arrivata la marcia indietro: «Noi non siamo mai stati contro il Sud». La Lega ha addirittura cambiato nome: dal simbolo ha levato Nord, ha inserito “Noi con Salvini”, ha cancellato il colore verde padano di Bossi sostituito dal blu, forse un riferimento al Front National di Marine Le Pen, il partito dell’estrema destra nazionalista francese preso a modello da Salvini per la sua metamorfosi politica.
Dal federalismo in chiave di supremazia padana e dei ceti produttivi del Nord, Salvini è passato all’autonomia declinata in chiave paritaria in tutta Italia. Punta a grandi cambiamenti: «Voglio che un ragazzo abbia lo stesso futuro a Milano e a Rosarno». Incredibile: è diventato un paladino del Mezzogiorno; ha abbracciato la questione meridionale; vuole azzerare la forbice tra lo sviluppo del Nord e quello del Sud, un divario divenuto enorme negli ultimi 25 anni.
Adesso il segretario della Lega, da vincitore, raccoglie elogi anche da vari attori di sinistra come Claudio Amendola, Antonio Albanese e Alba Parietti. La intemperante e trasgressiva show-girl, che un tempo lo definiva un “bullo ignorante” da schiaffeggiare pubblicamente, ora ha cambiato rotta: «Salvini è uno capace di fare politica, è un politico vero, uno bravo, ha fatto quello che è stata incapace di fare la sinistra, cioè stare vicina ai bisogni della gente». Comunque non lo voterà, almeno per ora. Diceva Charlie Chaplin: «Il successo rende simpatici».
Fonte: www.sfogliaroma.it