Primo Rapporto “I padroni della Terra. Il land grabbing” di Focsiv, in collaborazione con Coldiretti. Sono 88 milioni gli ettari di terra fertile nel mondo che in 18 anni sono stati accaparrati da Stati, gruppi e aziende multinazionali, società finanziarie e immobiliari internazionali
ROMA – Secondo il primo Rapporto “I padroni della Terra. Il land grabbing” di Focsiv in collaborazione con Coldiretti, presentato a Bari al Villaggio Contadino di Coldiretti, dagli inizi di questo millennio il fenomeno del “Land Grabbing”, l’accaparramento di terre fertili, è andato in crescendo a danno delle comunità rurali locali. A perpetrarlo sono Stati, gruppi e aziende multinazionali, società finanziarie ed immobiliari internazionali che in questi anni hanno acquistato o affittato 88 milioni di ettari di terre in ogni parte del mondo, un’estensione pari a 8 volte la grandezza dell’intero Portogallo o tre volte quella dell’Ecuador.
La maggior parte dei contratti conclusi, trasnazionali e nazionali, riguardano gli investimenti in agricoltura, ripartiti in colture alimentari e produzioni di biocarburanti, a seguire lo sfruttamento delle foreste e la realizzazione delle aree industriali o turistiche.
“I padroni della Terra” è un Rapporto annuale che affronta la questione su chi siano, in generale, i soggetti che stanno acquisendo sempre più terre coltivabili sul nostro Pianeta e chi ne abbia il controllo, diventando di fatto i veri padroni della Terra. Presupposto dell’intero Rapporto è la consapevolezza che la terra, soprattutto quella fertile e l’acqua salubre, sono risorse limitate che si stanno esaurendo, in un mercato globale che tutto fagocita. Questa prima edizione è dedicata al fenomeno del land grabbing e alle sue ripercussioni in termini di conflitti, espulsioni, migrazioni, depauperamento dell’ambiente e la scomparsa delle biodiversità.
“Il Rapporto è anche una denuncia ed un invito ad una riflessione su quanto sta accadendo in ogni parte del mondo – sottolinea Focsiv -: l’applicazione di un modello di produzione e consumo che accaparra risorse per sfruttarle senza riguardo delle comunità locali, in nome di interessi valutati più rilevanti, siano profitti a breve termine o la necessità di assicurare continuità agli stili di vita dei paesi ricchi o, da qualche anno, degli emergenti. Non solo, gli investimenti nella terra allargano la forbice tra i pochi grandi poteri a livello mondiale, che concentrano il controllo su risorse strategiche, e le grandi masse di popolazioni che ne sono escluse a livello locale”.
“La terra in questo sistema economico viene considerata null’altro che una merce in balia di un mercato privo di regole – continua -, mentre è una risorsa naturale limitata indispensabile per la sopravvivenza e la produzione di cibo. Lo sfruttamento sistematico delle sue risorse naturali può essere contrastato con il recupero di uno stile di vita rispettoso della natura, dell’altro e in definitiva di noi stessi”.
I “protagonisti”. Tra i primi 10 paesi maggiori investitori oltre agli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Olanda, vi sono quelli emergenti come la Cina, l’India ed il Brasile, ma lo sono anche paesi petroliferi come gli Emirati Arabi Uniti oppure la Malesia, Singapore ed il Liechtenstein, che spesso si prestano come piattaforme offshore ad operazioni finanziarie per le aziende multinazionali internazionali. Tale situazione è più evidente nel caso delle Bermuda, delle Isole Vergini, delle Mauritius, delle Isole Cayman, che offrono condizioni finanziarie e fiscali estremamente vantaggiose per attrarre i capitali degli operatori internazionali ed è qui che transitano flussi finanziari di Paesi terzi che vengono investiti anche in acquisti e affitti di terre nel mondo. Ad esempio, le Mauritius contano 13 contratti pari a 423 mila ettari di terra concentrati soprattutto in Mozambico e Zimbabwe.
Al contrario, tra i primi 10 paesi oggetto degli investimenti vi sono, soprattutto, i paesi impoveriti dell’Africa, come la Repubblica Democratica del Congo, il Sud Sudan, il Mozambico, la Repubblica del Congo Brazaville e la Liberia, mentre in Asia il paese più coinvolto è la Papua Nuova Guinea, ma non mancano paesi emergenti come il Brasile e l’Indonesia ed in Europa la Federazione Russa e l’Ucraina.
Anche l’Italia ha investito su un milione e 100 mila ettari con 30 contratti in 13 Stati, la maggior parte dei quali sono stati effettuati in alcuni paesi africani ed in Romania; in generale le imprese italiane investono principalmente nell’agroindustria e nel settore energetico, in particolare biocombustibili.
Suddiviso in cinque capitoli, il Rapporto è un lungo percorso che parte dall’analisi del fenomeno del land grabbing, utilizzando il database Land Matrix, per passare a fare il punto sulla normativa internazionale in materia di diritti umani e di promozione del diritto dei contadini alla terra, per poi entrare nel merito di due casi rilevanti di accaparramento in atto in Ecuador e in Myanmar ed infine per far il punto sull’impegno Focsiv e Cidse nell’accompagnare le comunità locali ad accrescere le proprie capacità per far fronte alle pressioni delle imprese e dei governi e migliorare le proprie condizioni di vita.
“Da alcuni anni ci segnalano i diversi organismi della Federazione come in tante parti del mondo vi sia la moltiplicazione di casi di interventi esterni, di governi e imprese, che cercano di accaparrarsi le risorse essenziali per la vita delle popolazioni – afferma Gianfranco Cattai, Presidente Focsiv -. In America Latina si è coniato un termine che sintetizza l’azione del land grabbing e di alcune operazioni ad esso collegate: ‘estrattivismo’. Termine utilizzato anche da Papa Francesco per indicare quelle azioni di governi e aziende multinazionali volte all’estrazione di risorse strategiche per il mercato internazionale: petrolio e idrocarburi, specie vegetali ed animali, nuovi metalli essenziali per la produzione di tecnologie, ma anche beni essenziali ed universali come terra ed acqua. Focsiv insieme a Cidse, l’alleanza delle Ong cattoliche internazionali per lo sviluppo sostenibile, è impegnata per l’introduzione di norme e politiche a difesa e per la crescita del potere delle comunità locali, attente alle pratiche messe in atto dai governi e dalle imprese; parallelamente si chiede alle istituzioni e a tutti i soggetti coinvolti, più responsabilità e una reale trasformazione dei modelli di produzione e consumo che oggi guidano l’estrattivismo e l’accaparramento delle risorse naturali. È necessario creare reti di collaborazione, come quella da quattro anni stretta con Coldiretti, per accrescere il potere delle comunità di far valere i diritti di chi lavora la terra, in Italia e nel resto del mondo”.
Un fenomeno nascosto. Analizzare il fenomeno del land grabbing, come mette in evidenza il Rapporto, è complesso poiché tale fenomeno avviene in gran parte in modo nascosto, opaco, mediante collusioni tra governi locali e imprese, attraverso investimenti che provengono da fonti finanziarie in paradisi fiscali o attraverso ragnatele complicate di gruppi di aziende. Tuttavia, si sono svelati alcuni processi e paradossi come, ad esempio, l’accaparramento nel quale investono molte imprese occidentali che consente grandi produzioni a monocultura a costi bassi – come nel caso del riso – ma che quando vengono commerciati a livello internazionale nuocciono gli agricoltori degli stessi paesi occidentali. In definitiva il land grabbing danneggia tanto i contadini del Sud quanto quelli del Nord del mondo.
“Messi di fronte all’ampia casistica del ‘land grabbing’, che questo rapporto arricchisce ulteriormente approfondendone le modalità e i processi, vale forse la pena di scoprire quali siano le costanti di questi giganteschi fenomeni di ‘appropriazione’ di spazi e ricchezze del nostro Pianeta – evidenzia il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvonell’introduzione del Rapporto -. Da una parte è la questione dell’accesso: al cibo, alla terra, alla formazione, alla giustizia, ai servizi primari, alla salute. Le vittime del land grabbing sono popoli, etnie, famiglie, individui che spesso non hanno una soglia di accesso neanche minima a differenza nostra, in occidente, dove questo è un diritto acquisito e caratterizza ciò che definiamo “civiltà”. Dall’altra vi sono i protagonisti di queste gigantesche operazioni economiche: invariabilmente siamo di fronte a grandi multinazionali, a enormi realtà statuali, a concentrazioni economiche nazionali e – spesso – anche a realtà statuali, a nazioni, di peso inferiore. Infine questo insieme di cose si colloca all’interno di un ritardo complessivo delle strutture normative, giuridiche e regolatorie”.
“Di fronte al prepotere di una multinazionale o di uno Stato – aggiunge -, ci ritroviamo cioè nella totale incertezza del diritto e della sua possibile riaffermazione. Focsiv e Cidse sono operose su queste frontiere. E Coldiretti sta all’interno di queste reti e di questo orizzonte di racconto. Soprattutto, in questi anni che ci hanno visto via via introdurre una visione di sostenibilità integrale – economica, sociale e ambientale – nel nostro racconto e nelle nostre realtà aziendali. Una visione in cui il cibo sfugge ai processi omologativi, i cittadini diventano i nostri naturali alleati, l’insieme del nostro produrre e operare si colloca all’interno di una concezione economica che ha il ‘bene comune’ al centro.”
Dal rapporto alla campagna. Il Rapporto è parte integrante della XVI Campagna nazionale “Abbiamo riso per una cosa seria” a favore dell’agricoltura familiare in Italia e nel mondo, promossa da Focsiv – Volontari nel Mondo, insieme a Coldiretti, Campagna Amica e Fondazione MISSIO. La Campagna è presente con il tradizionale pacco di riso 100% italiano, della FdAI – Filiera degli Agricoltori Italiani, il 5 e 6 maggio nelle piazze, nelle parrocchie e nei Mercati di Campagna Amica, proposto da 3000 volontari, con un’offerta minima di 5 euro. L’iniziativa, anche per questa edizione, si avvale del Patrocinio delMinistero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e della diffusione nei Centri Missionari Diocesani della CEI, grazie alla collaborazione con l’8×1000 alla Chiesa Cattolica e UBI Banca.
Inoltre, fino al 6 maggio con un SMS da cellulare personale o con una telefonata da rete fissa al 45589 si potrà sostenere un unico grande progetto con un intervento in Italia e 39 nel mondoin difesa di chi lavora la terra. In particolare, Campi Ri-Aperti l’intervento italiano formativo di Casa Scalabrini 634, programma ASCS Onlus e Kairos Cooperativa Sociale permette ai giovani rifugiati e richiedenti asilo di accedere ad un’esperienza di lavoro nell’ambito agricolo. Una vera e propria opportunità per ricostruirsi una vita dignitosa ed autonoma.