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“L’albero del riccio”, lettere intime di Gramsci ai suoi figli

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Arrestato l’8 novembre del 1926, quando il primogenito Delio aveva superato i due anni e il fratellino Giuliano non ne aveva ancora uno, Antonio Gramsci, destinato a morire circa dieci anni dopo a seguito di una dolorosa detenzione, mantenne fra le pareti della cella un’incessante attività intellettuale e con la scrittura tenne vivi i legami affettivi, non meno urgenti dell’impegno civile e politico. In una lettera del 10 maggio 1928 diceva a sua madre: “Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione (…) vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini”.

La casa editrice Harpo, che di Antonio Gramsci ha pubblicato “Le favole della libertà”, ci offre anche “L’albero del riccio”, una raccolta di lettere-racconto del fondatore del partito comunista italiano ai familiari, in particolare ai figli Delio e Giuliano, durante gli anni della detenzione a Turi in Puglia. Pressato dalla sofferenza di non poter essere vicino ai figli piccolissimi, di non poterli educare come avrebbe voluto, Antonio Gramsci, scriveva alla loro madre e alla loro zia, con il tono e la cadenza di chi parla a orecchie infantili. Narrava aneddoti della sua terra, la Sardegna, storie vere di animali e briganti con il ritmo e il linguaggio della favola. Al figlio Delio descriveva le sue avventure da bambino, di quando aveva catturato dei ricci intenti a raccogliere le mele e li aveva addomesticati; ma anche, lamentandosi che i figli si facessero sentire poco, le sue opinioni sull’importanza dell’impegno intellettuale: “Io credo che una delle cose più difficili alla tua età – diceva Gramsci a Delio – è quella di star seduto dinanzi a un tavolino per metter in ordine i pensieri (e pensare addirittura) e per scriverli con un certo garbo; questo è un ‘apprendissaggio’ talvolta più difficile di quello di un operaio che vuole acquistare una qualifica professionale, e deve incominciare proprio alla tua età”.

Gramsci era un padre che discuteva con i piccoli dei grandi scrittori, in particolare di Puskin, Gorki e Tolstoj – va ricordato che la moglie, Giulia Schucht, era una violinista russa – in quella maniera dimessa e naturale che hanno le famiglie abituate a farne argomento di vita.

“L’albero del riccio” rivela la dimensione più intima e pedagogica di uno dei pensatori tra i più importanti del secolo ventesimo, il suo stoicismo, la semplicità nell’accettare un destino che, probabilmente, all’inizio non aveva immaginato così ingrato. Molto commovente, a tal proposito, la lettera che ha per titolo ”la mia giornata”, nella quale raccontava in riflessivo dettaglio le sue ventiquattro ore in una cella di tre metri per quattro e mezzo.

Antonio Gramsci “L’albero del riccio”
Harpo editore 2017 – Pag. 128 – Euro 10


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