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La strage di Pasqua a Gaza

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Anche quest’anno è stato versato sangue sulla Pasqua in luoghi a noi vicini, iscritti nella carta geografica originaria della nostra civiltà. E’ proseguita nel più assordante silenzio internazionale la brutale aggressione militare dei Turchi contro la Federazione Democratica del Rojava in Siria, operazione che, senza alcun ritegno, è stata denominata “ramoscello d’ulivo”, mentre più a sud l’esercito di Assad ha completato l’occupazione della zona di Ghouta, sobborgo sud orientale di Damasco oggetto di cruenti e prolungati bombardamenti che hanno provocato migliaia di morti.

In questo contesto, uno degli episodi più ripugnanti occorsi durante la settimana è stata la strage compiuta il venerdì di Pasqua dall’esercito israeliano. E’ stato aperto il fuoco contro una manifestazione disarmata di civili palestinesi che all’interno della striscia di Gaza (prigione a cielo aperto) manifestavano per rivendicare il diritto al ritorno nelle loro terre dei palestinesi, vittime della dolorosa pulizia etnica compiuta da Israele durante la sua guerra d’indipendenza nel 1948/49.

La maggior parte dei media italiani ha banalizzato l’evento, parlando di “scontri” fra l’esercito ed  i manifestanti. In realtà non c’è stato nessuno “scontro” fra l’esercito ed i manifestanti; si è trattato di una marcia di civili disarmati che scorreva all’interno dei confini della prigione-striscia di Gaza, mentre l’esercito di Israele, dall’esterno del confine, ha attaccato i manifestanti con gas lacrimogeni lanciati dai droni e con tiri di cecchini. Pertanto bene ha fatto l’Associazione Nazionale dei Giuristi Democratici a mettere i puntini sulle i, osservando con un comunicato del 31 marzo che:

“L’orribile strage di civili palestinesi compiuta da cecchini militari israeliani costituisce con drammatica evidenza un nuovo crimine contro l’umanità compiuto dal governo Netanyahu. La sparatoria è cominciata quando la manifestazione dei palestinesi era ancora lontana dalla linea di confine e si è tramutata in un vero e proprio tiro al bersaglio contro persone inermi in fuga, come attestato dai filmati. Il bilancio di almeno 16 vittime e centinaia di feriti parla chiaro. È il risultato di uno “scontro” fra uno dei più equipaggiati e potenti eserciti esistenti e una manifestazione disarmata. Si tratta quindi con ogni evidenza di un crimine contro l’umanità perseguibile ai sensi dello Statuto della Corte penale internazionale, articolo 7, comma primo, lettera a. È quindi necessario e urgente che, anche per evitare nuovi massacri e l’alimentazione ulteriore dell’odio promosso dal governo israeliano, la Corte penale internazionale intervenga, aprendo il procedimento contro i responsabili militari e politici israeliani da tempo richiesto dall’Autorità palestinese che ha aderito allo Statuto.”

Quindi il comunicato conclude invitando: “il Governo italiano a esprimere condanna e preoccupazione per gli atti di aggressione da parte dell’esercito di Israele in violazione di innumerevoli risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ Onu, dalla n. 194 del 1948, e che stanno trasformando in un massacro la manifestazione palestinese per il diritto al ritorno nei territori occupati che dovrebbe protrarsi sino al 15 maggio.”

Naturalmente l’invito è caduto nel vuoto. Il Governo italiano non ha avuto nulla da obiettare. E la richiesta dell’ONU di una inchiesta internazionale sui fatti del 30 marzo è  stata respinta al mittente da Netanyahu che, come tutti i suoi predecessori, è abituato ad intonare la famosa canzone di Caterina Caselli: nessuno mi può giudicare. Non a caso Israele è il paese che più si è opposto (in buona compagnia con Turchia, Cina e USA) alla Corte Penale Internazionale, istituita con il Trattato di Roma del 1998, considerando il divieto di commettere crimini  contro l’umanità un grosso ostacolo alla lotta al terrorismo.

Forse qualcuno dovrebbe spiegare a questi alfieri della lotta al terrorismo che i crimini contro l’umanità sono atti di terrorismo.

*Domenico Gallo edito dal Quotidiano del Sud


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