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La Sinistra dopo il 4 marzo. Analisi, idee e proposte per ricostruirla. Uno spazio per il dibattito plurale

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Di Pino Salerno

Dopo la pesante sconfitta della Sinistra (tutta) alle elezioni politiche dello scorso 4 marzo, e al termine del primo giro di consultazioni al Quirinale, che hanno manifestato una certa confusione del quadro politico, abbiamo pensato di aprire uno spazio del nostro giornale dedicato alle analisi, alle proposte, alle idee per farla ripartire e per ricostruire un pensiero di sinistra e nella sinistra. In realtà, già nelle settimane scorse abbiamo pubblicato una serie di interventi di analisi sul voto e contributi di notevole valore su quella che appare e che è apparsa come la “fine della sinistra” in Italia. Alcuni leader, soprattutto del Pd, lo dicevano spesso in campagna elettorale: “in Europa, la sinistra è ovunque in difficoltà, e in alcuni casi è morta”. E dopo il 4 marzo, è diventato perfino un leit motiv di tanti commentatori, purtroppo anche di sinistra. Qualcuno c’ha creduto, nonostante fosse un’assurdità, o una fake news, come si dice oggi.

La pericolosa ideologia della fine di destra e sinistra

Così come in questi giorni un segmento importante di opinione pubblica sta abboccando a quella ideologia inventata da Casaleggio padre, proseguita da Casaleggio figlio, rilanciata sui blog dei 5stelle, e ripetuta in tutti i talk show e in tutte le salse, perfino durante la comunicazione di Di Maio dal Quirinale. L’ideologia? Quella che cerca di convincerci che Destra e Sinistra siano categorie della politica superate nel XXI secolo. Talmente superate che lo stesso M5S punta a governare, senza alcun discrimine, o col Pd o con la Lega. Talmente superate che vorrebbero convincerci che le parole del loro lessico “trasparenza”, “onestà”, “cittadini”, “democrazia diretta”, solo per citarne alcune, siano le nuove categorie interpretative del nuovo mondo pentastellato. Noi in questa trappola culturale e ideologica non vogliamo cadere, anche se ancora sentiamo l’amarezza della sconfitta. E vogliamo invece rilanciare le ragioni di parole che non invecchiano mai, “sinistra” e “socialismo”, “conflitto sociale”, “egemonia”, “politica”, cioè le parole che attraversano un secolo e mezzo di storia, dal Risorgimento a Gramsci, da Togliatti a Nenni, da Di Vittorio a Trentin. Nostalgia del passato? Assolutamente no. Passano gli uomini, ma non le idee, quelle non muoiono mai. Perché la sinistra c’è, esiste, e non solo in Italia, ma in Europa, negli Stati Uniti, ovunque. Basterebbe cercarla.

Alcune bussole: Bobbio, l’Illuminismo di Marx, l’analisi del capitalismo maturo e finanziario

In un notissimo saggio pubblicato nel 1994, Norberto Bobbio volle illustrarci quale fosse la differenza sostanziale tra Destra e Sinistra. Il suo librettino, in fondo, era un ritorno all’Illuminismo, a quell’epoca fondativa dalla quale trasse vigore e alimento la tradizione della sinistra, del socialismo, e prima ancora del marxismo, quello del 1848, degli Scritti giovanili di Karl Marx. Ebbene, Bobbio scrisse che la differenza tra coloro che sono di Destra e coloro che sono di Sinistra è che i primi si battono per conservare il sistema di privilegi,  e i secondi per costruire un sistema dove regna l’uguaglianza.  Schematicamente, un’idea illuminista, appunto. Tuttavia, se l’analisi di Bobbio è vera, ed è vera, se si elimina dalla politica lo scontro determinato dalle categorie interpretative di destra e sinistra, si rischia di non capire più quale sia il sistema dei privilegi da abbattere, e quale importanza abbia per il popolo la battaglia per l’uguaglianza, perché l’altro elemento che ci distingue dalla destra è proprio il rigore dell’analisi del mondo e della fase, per pervenire a sintesi altrettanto rigorose. Insomma, la sinistra non è uno slogan, ma una tradizione filosofica, un’abitudine al pensiero lungo, il rigore dell’analisi, il rispetto di ciò che significa “partito di massa” per milioni di persone (che qualcuno si è intestardito a chiamare “comunità di destino”, civettando sociologismi alla moda, che davvero non vogliono dire nulla, sul piano dell’analisi politica). A quanti di questi elementi che determinano l’identità individuale e collettiva della sinistra abbiamo rinunciato in questi anni? Magari dopo esserci convinti, anche noi, che i cambiamenti epocali, soprattutto quelli tecnologici, ci avrebbero spazzati via. In fondo, anche Marx si sentiva erede del pensiero illuminista, e credeva nel “progetto della modernità”, come lo definì Jurgen Habermas. Ma Marx sapeva anche che la natura del capitalismo è distruzione e sfruttamento, e come i socialdemocratici tedeschi odierni hanno ri-scoperto, Marx credeva che valori e ideali dell’Illuminismo, la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, si possono conquistare solo superando il capitalismo, nell’orizzonte del socialismo. Insomma, si può essere socialisti, marxisti, di sinistra senza una critica rigorosa e serrata della modernità, del capitalismo e della sua crisi, dei nuovi e vecchi privilegi?

Un esempio concreto della rinascita di un partito “coi socialisti dentro”, il Labour di Corbyn

Come cercare oggi risposte a queste domande? Questa la ragione fondamentale per la quale abbiamo voluto aprire le pagine centrali del nostro giornale ad un dibattito che speriamo sia utile per ricostruire la sinistra. Senza però dimenticare che altrove alcune risposte sono state offerte, e la sinistra è riuscita a vincere. Parlo del mondo anglosassone, di Bernie Sanders negli Stati Uniti, e soprattutto di Jeremy Corbyn nel Regno Unito. Sul leader laburista britannico, è appena uscito un libro interessante di Simon Hannah, giovane politologo e ricercatore, di simpatie laburiste, il cui titolo è “A party with Socialists in it”, “Un partito con dentro i socialisti”. Racconta la storia secolare dei laburisti britannici secondo questa schematizzazione: il Labour ha avuto due diverse pulsioni, una “trasformativa”, per “cambiare le relazioni di potere esistenti”, l’altra “integrativa”, per “assumere la società così com’è… incorporando gli interessi del movimento laburista in quelle dell’establishment”. Pare un distinzione ovvia, ma non lo è, soprattutto alla luce degli sviluppi degli ultimi 30 anni: Hannah definisce infatti Tony Blair, e il blairismo, come una sorta di “integratore”, mentre Jeremy Corbyn e il corbinismo è invece un “trasformatore”. Chi dei due è il “socialista” dentro il Labour, si chiede Hannah? La risposta è Corbyn, perché trasformatore, anche quando la verità del mondo è dura da far digerire, sia ai militanti che ai gruppi dirigenti. E non è un caso che proprio in questi giorni sia diventato l’obiettivo delle polemiche interne al Labour, da parte di alcuni ebrei, per le sue posizioni apertamente filopalestinesi, filoHamas, e anti-Netanyahu, soprattutto alla luce dell’intenzione di fare di Gerusalemme la capitale dello Stato ebraico, dopo la vera e propria colonizzazione ebraica dei Territori occupati, dopo l’affamamento dei palestinesi di Gaza, e quello che gli appare come un genocidio. Altri leader socialisti o di sinistra europei hanno avuto gli stessi attributi nel condannare Israele? E quale altro leader della sinistra europea ha anche avuto il coraggio di prendere per mano il destino di milioni di giovani, convincendoli che il socialismo è anche ricostruzione del welfare in nome dell’uguaglianza sostanziale, a partire dal diritto universale alla conoscenza gratuita e alle cure gratuite? Ecco, questo potrebbe un utile punto di ripartenza.

Da jobsnews


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