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Il “Padre Nostro” che ha cambiato un quartiere

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di Maurizio Artale

Per cominciare un passo indietro, tornando al Natale scorso. Da pochi mesi il Centro di Accoglienza Padre Nostro, fondato da don Pino Puglisi quando era parroco a Brancaccio, ha inaugurato l’ultima delle sue articolazioni operative: il Centro Aggregativo Diurno per Anziani.
Ai piedi della ciminiera che ne sovrasta la sede, i volontari del Centro hanno allestito il presepio, con personaggi a dimensione naturale, aperto al pubblico senza alcuna restrizione oraria e senza ringhiere né cancelli. Solo un dubbio a tarlare la loro soddisfazione: «E che, pure quest’anno ruberanno il Bambinello?».
Don Puglisi era arrivato a Brancaccio nel 1990, mettendosi subito di buzzo buono a faticare a trecentosessanta gradi, in un quartiere dove non esisteva nulla se non la cappa pesante della mafia che soffocava tutti i suoi abitanti. Prendeva l’iniziativa, lì dove c’era l’abitudine al disimpegno e all’indifferenza. «Primereava» in Palermo, come dice ora con insistenza papa Francesco a preti e a laici di tutto il mondo.
Fu quell’iniziativa presa senza chiedere il permesso alla mafia, che portò alla sua condanna a morte. Oggi, però, Brancaccio si presenta al pellegrino o al semplice curioso che viene a visitare i luoghi di don Puglisi, molto cambiata rispetto a quegli anni.
Il Centro si è impegnato e si impegna ogni giorno ad offrire un’accoglienza strutturata, costante, efficace, capace di risultare davvero “prossima” alla gente più debole e povera. E questo grazie alle tante nuove strutture sociali via via realizzate e  che ormai connotano la borgata. Si tratta di tutta una serie di servizi già “sognati” dal parroco martire: il Centro Polivalente Sportivo, il Teatro Brancaccio, oltre al Centro Aggregativo Diurno per Anziani. E ancora: lo spazio di gioco per bambini, la casa delle suore Maestre Pie Venerine, che è luogo di formazione per adolescenti e per giovani, la Casa Al Bayt per l’accoglienza di mamme e bambini vittime di abusi e maltrattamenti, il Centro per il recupero scolastico di minori e adulti, la Casa del Figliol Prodigo, aperta ai detenuti in esecuzione penale esterna.
Ma, soprattutto, Brancaccio è divenuto crocevia di relazioni: sono migliaia le scuole, le associazioni, le fondazioni, le diocesi, le città, i seminari, gli istituti religiosi, gli artisti e le istituzioni, i singoli cittadini provenienti da tutt’Italia e anche dall’estero, che grazie al Centro di Accoglienza Padre Nostro hanno tessuto una rete che oggi ci può far dire che Brancaccio è cambiata, che oggi Brancaccio è cresciuta e maturata.
Non sempre è stato facile mantenere in buono stato di salute questi rapporti, poiché – come è noto – le relazioni, in quanto tali, subiscono l’influenza di chi ne fa parte, delle persone che vi si lasciano coinvolgere. Soprattutto perché, dopo l’uccisione di don Puglisi, l’istituzione ecclesiastica, che pure ha il ministero della comunione, ha spesso dato l’impressione di latitare da Brancaccio e non ha investito significativamente su quella periferia, derubata il 15 settembre 1993 persino di quel suo pastore, coraggioso e mite al contempo, che era convinto di poter e dover incontrare Cristo nei poveri e nella loro sofferenza. Don Puglisi, pastore non mercenario, testimoniò che proprio Cristo fa la differenza anche nella resistenza alla mafia.
Eppure, ora, anche la Chiesa palermitana – guidata dall’arcivescovo Corrado Lorefice – si è data un obiettivo: ispirare la pastorale diocesana al martire di Brancaccio, per re-imparare a parlare ai giovani come lo sapeva fare lui, per rintracciare nella loro crisi esistenziale il filo rosso delle loro più promettenti potenzialità, delle loro migliori attitudini, della loro vera vocazione.
L’ultimo sogno che il Centro spera di realizzare a Brancaccio, insieme alla diocesi, è l’asilo nido: lì si può riprendere confidenza con quel Bambinello che la gente di Brancaccio, nel Natale scorso, non ha più trafugato, rispettosa della memoria di chi – venticinque anni fa – s’è fatto piccolo tra i piccoli.

Da mafie


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