Uno stormo di fantasmi neri – ora immobili e inesorabili, ora vorticanti e caotici – si staglia sulla scena scarna, messa a nudo fino a rivelare il cuore pulsante del meccanismo teatrale: il rumorista sullo sfondo in bella vista che partecipa a creare un sentimento di fredda logicità, di macchinazione dietro lo spettacolo e dietro l’azione; i legacci e le corde che calano dal soffitto e avviluppano parte dell’arredo scenico, mossi in modo brusco e strattonati come condannati al patibolo, alimentando il senso di angoscia e di oppressione.
Il filo dei ricordi diviene una corda robusta che soffoca e strattona, trascinando lo spettatore nel flusso di pensiero, macchinoso e freddamente logico di un assassino, Raskòl’nikov, uno studente di legge interpretato da Luigi Lo Cascio. Il giovane ci trascina nel suo turbine di fantasmi della coscienza e del rimorso.
Raskòl’nikov è un uomo che tenta di fuggire dalla miseria in cui versa con un delitto efferato e si sforza di giustificarlo nascondendosi dietro la propria “buona fede”, finendo per scoprirsi soltanto più miserabile e indegno. Tale rimorso lo porterà in un baratro di disperazione, finchè proprio nella pena troverà conforto al male compiuto.
In questo naufragio della coscienza lo accompagna l’amico Marmeladov, ubriacone che nel bere non cerca l’oblio bensì l’acuirsi del dolore provocato dal senso di colpa verso la figlia Sonja, indotta a prostituirsi dalla matrigna per sfamare la famiglia al posto del padre. Marmeladov considera tale sofferenza la giusta pena per la sua incapacità come marito e padre di famiglia, e la alimenta di continuo. Raskòl’nikov intanto non si dà pace per i debiti, materiali ma soprattutto morali, che ha nei confronti della madre (interpretata da un incredibile Sergior Rubini, capace con piccoli cambiamenti postura di modificare età e sesso del personaggio in un battito di ciglia) e della sorella Dunja (interpretata da Francesca Pasquini, che veste anche il ruolo di Sonja e di una serva). Decide dunque di cancellare i prestiti ottenuti da una vecchia usuraia nel più cruento dei modi. Dopo aver stabilito che le proprie azioni, poichè mosse da una mente razionale e geniale – a suo dire napoleonica – sono legittime, il nostro protagonista passa ai fatti e in una scena drammatica colpisce con una scure l’anziana donna e, per un crudele scherzo del destino, anche l’innocente sorella della vedova usuraia. La scena è da brividi per lo spettatore: sebbene i fatti siano solo raccontati da Raskòl’nikov, unico presente sul palco, la mancanza del fondale ci mostra il fonico (G.U.P. Alcaro) colpire un tronco con un’ascia producendo dei terrificanti schiocchi che, nella nostra immaginazione, danno forma concreta alla scena veicolata dalla narrazione del protagonista.
Così, nostro malgrado, diventiamo testimoni di un delitto che non avviene sotto i nostri occhi ma che rimarrà nella nostra memoria proprio come lo rimarrà in quella di Raskl’nikov, che da questo momento in avanti comincia la sua discesa nel tormento e nell’angoscia. Angoscia di essere scoperto, tormento per non esserlo e dunque di non subire la giusta pena. Il protagonista, dopo essere caduto vittima della malattia e del delirio, cercherà la redenzione nell’altruismo aiutando Sonja, ingiustamente accusata dall’aspirante fidanzato di Dunja, Lùzin (Francesco Bonomo), al quale Raskòl’nikov si era opposto con le parole e con i fatti ben conscio che la sorella l’avrebbe sposato solo per la posizione sociale in modo da aiutare economicamente il fratello.
Intanto il Giudice istruttore Porfirij Petròvič, stringe la sua morsa intorno ai ragionamenti di Raskòl’nikov, e senza mai accusarlo tenta di indurlo alla confessione, poichè egli sostiene di essere per i criminali come la fiamma per le falene, tutti gli ronzano attorno sempre più vicini fino a farsi divorare dalle fiamme. Raskòl’nikov trova la compagnia di Svidrigàjlov, ex datore di lavoro di Dunja alla quale aveva fatto pesanti avances, il quale grazie a un espediente riesce a origliare la conversazione fra il giovane studente e Sonja, nella quale il primo rivela alla ragazza l’omicidio commesso. Svidrigàjlov, pedofilo e uxoricida in cerca di riscatto, non denuncia Raskòl’nikov, bensì cerca di fare del bene donando soldi alla famiglia del defunto Marmeladov, trapassato in un incidente al quale Raskòl’nikov aveva assistito, e offrendo una somma di denaro a Dunja affinchè non sia costretta a sposare Lùzin; tutto questo prima di darsi la morte con un colpo di pistola che echeggia in tutta la sala.
Raskòl’nikov, divorato dal rimorso, comprende di aver commesso un grave torto verso i propri cari, macchiandosi di un così grave reato. Nell’eco dei suoi pensieri sempre più tormentati e burrascosi, si inserisce la voce di Sonja, che riesce a divenire la voce della coscienza del giovane e a condurlo a compiere il gesto che sarà per lui di condanna e di salvezza ovvero la confessione finale.
Dostoevskij viene genialmente adattato per la scena dalle sapienti mani di Sergio Rubini e Carla Cavalluzzi, che rendono il testo di uno dei più grandi romanzieri russi fruibile e accattivante senza nulla togliere alla profondità dell’opera. Il perfetto intreccio fra letture e parti recitate, l’interazione con la scenografia fino al vuoto creato dalla mancanza di un fondale riempito con l’elemento di disturbo del fonico a vista (disturbo solo in teoria, poichè in realtà diventa un personaggio fondamentale dello spettacolo), portano lo spettatore in un mondo buio, percosso dalla tormenta incessante di pensieri del protagonista, che trovano un alveo e una distanza nella narrazione in terza persona.
Le scene di Gregorio Botta e la regia di Sergio Rubini, coadiuvato da Gisella Gobbi, ci mostrano un cupo riflesso del mondo visto dagli occhi di un assassino conscio della propria colpa; scene immateriali eppure vivide come il peggiore degli incubi accompagnano il forte contrasto fra Lo Cascio, assolutamente calato nell’unico personaggio interpretato divenendo quasi tutt’uno con esso, e Rubini, che di contrasto interpreta una miriade di ruoli come un maestro trasformista. La mutevolezza dei ruoli di Rubini, Bonomo e Pasquini, contrapposta all’unicità del protagonista Lo Cascio suggerisce che i vari personaggi non sono altro che spettri evanescenti del racconto del protagonista, figure che lui osserva e che lo portano a essere ancora più preda di se stesso e della sua solitudine. Ma Raskòl’nikov è vittima anche di altri spettri: gli spettatori, che, estraniati dalla rappresentazione con la dimostrazione palese della finzione scenica, sottolineata dalla lettura del testo sul leggìo e dai meccanismi a vista – si trasformano in giudici e carnefici di Raskol’nikov, impietosamente osservando e valutando le sue azioni, ed entrando così a far parte della cacofonia di voci che gridano dentro la sua testa.
Presentato da Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo In coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana |
Regia Sergio RubiniCon Luigi Lo Cascio e Sergio Rubini |
E con Francesco Bonomo, Francesca Pasquini e G.U.P. Alcaro |
Voci Federico Benvenuto, Simone Borrelli, Edoardo Coen, Alessandro Minati |
Scritto da Fëdor Dostoevskij |
Adattamento teatrale di Sergio Rubini e Carla Cavalluzzi |
Regista collaboratore Gisella Gobbi |
Scene Gregorio Botta |
Costumi Antonella D’Orsi |
Musiche Giuseppe Vadalà |
Progetto sonoro G.U.P. Alcaro |
Luci Luca Barbati e Tommaso Toscano |