“Open Arms e Sea Watch nel mirino della Guardia Costiera libica” , scrivono i soliti giornali che non trovano altra soluzione al contenimento del flussi se non quella di far sparire le navi con a bordo volontari e operatori di organizzazioni non governative. Le ultime rimaste a pattugliare quel tratto di mare da cui non arriverebbero altrimenti notizie sui flussi migratori dalla Libia. Dopo il decreto di dissequestro della Open Arms da parte del giudice di Ragusa, i tripolini non nascondono il loro nervosismo. Il provvedimento infatti è chiaro: riportare indietro in Libia i migranti non è proprio cosa buona e giusta perché le condizioni del paese non lo rendono porto e luogo sicuro. Un decreto che va a scontrarsi con la decisione del governo italiano di sostenere quella parte di Libia per fermare i flussi verso l’Europa: anche a costo di perdite umane.
Se i flussi infatti diminuiscono in modo esponenziale, aumentano purtroppo in percentuale i morti a mare e a terra. E quello che succede a mare, per ora unici testimoni oculari sono solo le quattro OnG rimaste. Perché da altrove non arrivano più notizie.
Non voglio essere di parte e non lo sarò. Ma questa storia sta diventando insostenibile per chi ha conservato ancora un barlume di intelligenza. Sono solo le ONG a portare ancora a bordo i giornalisti. Nonostante abbiamo fatto più volte richiesta sulle navi militari, da più di un anno, non ci è concesso.
Ecco perché siamo qui, ancora una volta: la terza con una ONG, la prima con la tedesca Sea Watch. Dunque mi trovo a bordo di una tra le più odiate dalla guardia costiera libica. La Sea Watch infatti ha denunciato i marittimi di Tripolitania alla corte internazionale dei diritti umani dopo uno scontro durissimo a novembre dello scorso anno, durante un soccorso drammatico con decine di morti.
La minaccia è di intervento immediato, se provocata: con il sequestro, arresto e di giudicare rei di attivismo umanitario da un tribunale libico. Insomma, nel nostro caso, sequestrerebbe in acque internazionali una nave tedesca battente bandiera olandese.
Siamo a bordo da due giorni su questa barca blu di 50 metri per 11 e già le notizie sul clima che si respira nel mare libico non è proprio rassicurante. Ma c’è poco da dire. Tra poco si salpa e via …
Questa nave azzurra è molto più piccola della Aquarius di SoS Mediterranée e Medici Senza Frontiere dalla quale sono sbarcata a metà dicembre dello scorso anno: meno attrezzata ma con un equipaggio di 22 giovani motivati e cordiali comandanti da Pia. Sì, si chiama Pia è una donna ma a vederla “femmina” forse sono solo io. Perché gli altri se ne fregano se ha le il seno e non ha qualcosa in mezzo alle gambe. “Qui non facciamo differenza di razza né di genere – mi dice al microfono seduta in plancia di comando – non essendo uomo non so come si sente un uomo quando fa il comandante di una nave, perciò non saprei dirti come mi sento facendolo da donna”.
Pia è rude come un marittimo con gli immancabili tatuaggi in ogni parte del corpo, ma ha gli occhi che brillano come quelli di una sirena. È piccolina di statura ma sembra una roccia e ha ben chiaro cosa sta facendo. Quando le dico che molti li accusano di essere in combutta con i trafficanti lei mi risponde con una logica che non fa una piega.
“Ma come potrei associarmi a gente che trovo disgustosa per quello che fanno a migliaia di essi umani trattati peggio delle bestie? Che li usano come merce, li torturano e lo tengono in quell’inferno di carceri?”
E che ti devo dire comandante …. io ti posso anche credere ma il mondo è impazzito e sarà dura convincerli che voi siete semplicemente “umani”