E’ stato portato a termine lo scorso anno in Colombia, lo smantellamento dell’organizzazione paramilitare che fronteggiò l’esercito regolare in un quadro di reciproche atrocità durato oltre mezzo secolo.
Il primo trattato di pace, siglato all’Avana il 24 agosto 2016 tra il presidente Manuel Santos e il leader FARC Rodrigo “Thimochenko” Londoño alla presenza di Raul Castro, fu bocciato dal referendum popolare di ottobre, dove i No vinsero con la risicata maggioranza di 50,24%. Furono proprio i centri rurali a rifiutare l’accordo, spalleggiati da Medellin, laddove gli eccidi e lo strapotere dei guerriglieri lasciarono strascichi di odio indelebili.
Possibiliste le altre città, capitale Bogotà in testa; la prospettiva di pace apparve come unica via d’uscita da un conflitto interminabile che, oltre a 260.000 morti, ha generato sette milioni di vittime da indennizzare.
A decidere alfine, oltre alla caparbietà del presidente Santos premiata con il Nobel, furono proprio i familiari dei caduti. La loro pazienza e lungimiranza, mettendo da parte vendette e rancori, pose il sigillo allo stato di guerriglia permanente che aveva insanguinato e depauperato la Colombia. Come contropartita Thimochenko, tolta la mimetica, indossò il gessato del politico ottenendo, in cambio della consegna delle armi, il diritto a presentare una lista elettorale e sedersi in Parlamento. Mossa che ha fruttato poco, considerando che a febbraio 2018 fu oggetto di un lancio di uova proprio a Cali, alla vigilia del suo comizio. La lista FARC ritirò l’8 marzo la candidatura elettorale, causa motivi di salute del suo leader.
A pesare sulla popolarità dei guerriglieri, oltre ai massacri del passato, l’indagine per evasione fiscale che coinvolse il gruppo dirigente, accusato di aver occultato un malloppo esentasse di un miliardo e 300.000 pesos colombiani, che però al cambio equivale “appena” a mezzo milione di dollari. (1 USD = 2.728 COP)
Ciò che ha determinato il definitivo crollo del fascino rivoluzionario, al cospetto di un corpo sociale colombiano essenzialmente conservatore, è il cambio di rotta del governo Santos, meno liberista e guerrafondaio del suo predecessore Uribe, che ha rafforzato un welfare in grado di alleviare i disagi delle comunità rurali e urbane, serbatoi storici di consenso e soldati per la causa guerrigliera. Anche all’interno dei famigerati barrios de Oriente, si avvertono sintomi di miglioramento, come nel distretto di Agua Blanca a Cali.
La strategia degli estratos, cioè classificazione degli edifici residenziali adeguando il costo dei servizi pubblici (luce, acqua e gas) alla reale portata economica degli inquilini, ha consentito ai ceti più bisognosi di pagare meno, attraverso bollette che han pesato in maniera differente, gravando di più sui ceti benestanti. Sono catalogati gli immobili residenziali, non le famiglie o persone fisiche.
L’impuesto predial (la tassa immobiliare, una sorta di Imu) è divisa in sette livelli, che parte da bajo-bajo, l’ultimo gradino, fino a Alto y Otro, al top della piramide. Questa differenziazione ha consentito di accantonare fondi notevoli a uso pubblico, che sono andati per infrastrutture, parchi ricreativi, scuola e trasporti.
La crescita del 2,5% PIB (Producto Interno Bruto, il nostro Pil) ha consentito di creare un sistema di protezione sociale a base di aliquote fiscali che agevolino i dipendenti. Basato su tre elementi-chiave, salute, pensione e infortuni sul lavoro, le trattenute sono ripartite così: sanità e pensioni, 8% in totale a carico del lavoratore e 20,5% del datore di lavoro. Riguardo infortuni, sono incombenza di quest’ultimo e oscillano, secondo il grado di rischio, da 0,5 al 9%. Non male, paragonato alla deregulation estrema di Argentina e Cile, e al caos brasiliano che ha portato a tagli e restrizioni, applicati dal governo Temer, sui programmi di assistenza di Fome Zero e Bolsa Familia.
Tornando alle FARC, nel quadro mutato di una società più bilanciata, la demagogia pseudo-rivoluzionaria dei gruppi armati trova meno appiglio nei ceti bassi. Contemporaneamente, la concorrenza nella produzione di cocaina di Perù e Bolivia, e il rafforzamento del Messico, che domina oggi la distribuzione oltreconfine negli USA, indebolisce le loro finanze, costringendoli ad abbassare il prezzo del loro indotto base. Oltretutto, non ha certo giovato la rivalità interna, sia dal punto di vista ideologico che di business, con l’altra fazione armata ELN (Ejército de Liberación Nacional) Ai tempi, c’era almeno tra loro sintonia con i principi maoisti di Sendero Luminoso in Perù, oggi invece rimane solo la contesa per un territorio sempre più ridotto, di pari passo col consenso popolare.
La conseguenza finale: le frange più estremiste non si rassegnano a consegnare le armi e soprattutto a convertire i campi di coca che assicurano loro, secondo InSight Crime, 450 dollari ogni chilo prodotto. E caricano, è proprio il caso di dire, armi e bagagli, sconfinando in maniera ancora più determinata nei territori che conoscono bene e nei quali sono ormai introdotti a tutti i livelli.
La stampa nel mirino
E chi si frappone, paga un duro tributo di sangue come successo in Ecuador, dove il disastroso terremoto del 2016 ha fatalmente contribuito ad allentare i già labili confini del Paese: le provincie al nord di Sucumbíos y Esmeraldas hanno allargato le maglie di un colabrodo dal quale filtrano senza tregua le pandillas (gang) del narcotraffico colombiano, coordinate da gruppi fuoriusciti FARC.
I quali sovente accoppiano il business droga alla tratta di giovani e giovanissime donne pescate nei quartieri poveri di Bogotà, Cali e Medellin, o nei distretti rurali, e spedite a prostituirsi a Panama e in Ecuador. Oltre ai sequestri, che con gli attentati sono il motore delle azioni lungo il confine ecuadoriano, condotte dagli irriducibili che hanno rifiutato il disarmo.Sequestri a scopo di riscatto dei figli di benestanti locali, di cui la città di Lago Agrio, capoluogo di Sucumbíos, detiene il primato.
O per vendetta, a causa di un’inchiesta sulla violenza che affligge le comunità lungo il confine tra Colombia ed Ecuador, dopo il rifiuto delle frange paramilitari più oltranziste a consegnare le armi. Violenza che ha già causato la morte di 4 persone, durante un attacco alla polizia di frontiera ecuadoriana.
Sembra quest’ultima l’ipotesi più probabile del feroce assassinio che ha stroncato le vite dei due giornalisti e l’autista che lavorava per El Comercio, il quotidiano più letto del Paese. Rapiti il 26 marzo a Mataje sulla frontiera con la Colombia, e ritrovati uccisi il 13 aprile a Quito.
Javier Ortega, reporter, Paul Rivas, fotografo, ed Efrain Segarra, autista del gruppo, dopo essere stati rapiti e incatenati con un lucchetto al collo furono fotografati, e le loro immagini fatte pervenire ai giornali locali.
Lenin Moreno, il successore de l’ex presidente Rafael Correa, ha confermato che il mandante del rapimento è un capo Farc, reo di ripetuti crimini lungo il confine con la Colombia: Walter Artizala, nome di battaglia Guacho.
Colombia ed Ecuador hanno messo a disposizione una taglia di 100.000 dollari per qualsiasi informazione utile ai fini della sua cattura. Secondo Reuters, il gruppo dissidente FARC Oliver Sinisterra, avrebbe dichiarato che i tre sarebbero stati uccisi a seguito di un fallito blitz delle Tropas Especiales che avevano individuato il nascondiglio e cercato di liberarli.
Il governo ha seccamente smentito questa versione. Resta il fatto, che non sono mai stati uccisi giornalisti in Ecuador, e tale procedura non fa comunque parte del passato della guerriglia. Sequestri ce ne sono stati, ma per la maggior parte conclusi con la liberazione degli ostaggi, rapiti a scopo dimostrativo. La recrudescenza di tali azioni, evidenzia che la nuova metodologia dei ribelli ricalca la spietatezza de la criminalità comune in Colombia, Brasile e Messico che non è mai andata troppo per il sottile, assassinando in ripetute occasioni esponenti della stampa sud-americana. lista.webloc Della serie, la mimetica ormai è solo un involucro che non ha più niente di politico, e non riesce più a mascherare la realtà: è solo il crimine fine a se stesso che spinge all’azione i cosiddetti guerriglieri superstiti. E questo fa ben sperare che il voltafaccia popolare e l’isolamento accelerino la loro caduta, ora che i pretesti idealistici son belli che andati.
Sempreché sia governo colombiano che ecuadoriano, continuino a supportare le classi disagiate, mantenendo un welfare che Correa ha lasciato in eredità a Moreno, e Santos ha reinventato lungo il suo percorso.
Tornare al neoliberismo e alla privatizzazione a tappeto dei servizi pubblici, servirebbe solo a rintuzzare la fiamma dello scontro civile, che si sta lentamente spegnendo.Anche se gli ultimi fuochi bruciano ancora. E tuttora uccidono.
© Flavio Bacchetta – testi e foto di apertura