Giornalisti minacciati, ecco come è stato sventato l’attentato a Paolo Borrometi

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Le indagini su un attentato ne svelano un altro in preparazione e ancora più cruento. E’ questa la genesi del “caso Borrometi”. Le intercettazioni che hanno portato a galla quella che viene definita la preparazione di una grave azione omicidiaria sono allegate ad un’inchiesta inerente l’intimidazione in danno dell’avvocato Adriana Quattropani nella sua qualità di curatore del fallimento della “ditta Corvo Franca”, titolare di un distributore di benzina a Pachino. I fatti sono avvenuti il 29 dicembre 2017: in pieno giorno, verso le 10.30, una bomba carta è stata fatta esplodere sotto l’auto dell’avvocato Quattropani, mentre la stessa stava svolgendo attività di curatore fallimentare, in specie la riconsegna della stazione di servizio alla Sallemi Carburanti srl, quale azione di rivendica autorizzata dal giudice nei confronti della ditta debitrice “Franca Corvo”, di proprietà della signora Franca Corvo, moglie di Giuseppe Vizzini.
La mattina del 29 dicembre scorso, secondo quanto contestato a Giuseppe Vizzini, ai figli Andrea e Simone e a Giovanni Aprile, l’avvocato Quattropani e il suo collega Salvatore Piccione furono seguiti da un giovane che li aveva osservati anche mentre erano entrati in un bar di piazza Indipendenza a poca distanza dal distributore, dove si sarebbero poi recati per la notifica della sentenza di restituzione dell’impianto. E proprio mentre erano in corso le operazioni legali di restituzione è esplosa la bomba carta che ha danneggiato gravemente la Volkswagen Tiguan del curatore fallimentare. Dunque una “punizione” in diretta, alle 10 del mattino, la palese ritorsione contro l’avvocato che aveva applicato la legge e sfidato i Vizzini, considerati vicini al clan Giuliano. Il legale era stato avvisato già a febbraio 2017, quando si era recato presso lo stesso distributore per apporre i sigilli, in seguito alla dichiarazione di fallimento della ditta. Allora la signora Franca Corvo era presente sul posto e il marito, Giuseppe Vizzini, fece notare all’avvocato Adriana Quattropani che proprio nel punto in cui la stessa sostava era stato ammazzato il cognato. Serafino Corvo infatti fu ucciso alcuni anni prima a colpi di arma da fuoco in quel distributore. Ecco come ha ricostruito l’episodio il collega della Quattropani sentito agli inquirenti nel corso delle indagini sull’attentato: “…”Ricordo che in quel momento, il clima era diventato pesante, il Vizzini iniziava ad alzare il livello dell’argomento dicendo che quella era la fonte di reddito dei suoi figli e che ‘avendo anche noi dei figli.. potevamo capire’. A tale asserzione , la Quattropani rispondeva con tono fermo che non aveva figli, lasciando intendere la sua determinazione a procedere. Nel corso della conversazione, inoltre, la Corvo diceva che “proprio in quel punto dove eravamo io e la collega era morto il fratello. Queste stesse parole venivano inutilmente ripetute, per almeno due volte, anche da Vizzini Giuseppe”.
Ciò avveniva a febbraio 2017, dieci mesi dopo c’è stata la bomba carta contro l’auto dell’avvocato a conferma di quanto le minacce dei mesi precedenti avessero fondamento. Quella mattina di dicembre ad agire furono tutti e quattro gli arrestati, con ruoli diversi. Giuseppe Vizzini era alla guida di un’auto da cui è sceso il figlio Simone Vizzini che materialmente ha messo la bomba carta sotto al macchina dell’avvocato, usando l’accendino acquistato poco prima in tabaccheria da Giovanni Aprile, mente Andrea Vizzini faceva da palo. A tutti e quattro viene contestato di aver detenuto e trasportato la bomba carta per posizionarla sotto la vettura della Quattropani, con l’aggravante di aver commesso il fatto contro un pubblico ufficiale (la Quattropani era lì come curatore incaricato dal Tribunale), nonché per agevolare l’associazione mafiosa del clan Giuliano. In questo scenario già gravissimo si inserisce un articolo di Paolo Borrometi per il giornale on line “La spia” nel quale si descrive la figura di Giuseppe Vizzini, il suo legame col capoclan Salvatore Giuliano e la dinamica dell’attentato in danno del curatore che aveva espoliato un bene della famiglia Vizzini-Corvo.
L’articolo di Borrometi va in rete l’otto gennaio 2018. Il giorno dopo, 9 gennaio, anche in seguito ad un perquisizione a casa Vizzini alla ricerca degli indumenti usati durante l’attentato a Quattropani, alcuni componenti della famiglia cominciano a parlare tra loro dell’accaduto e ciò che dicono si trasformerà in prove determinanti ai fini dell’inchiesta.

Franca Corvo parlando con la fidanzata di uno dei figli ingiuria Paolo Borrometi perché ha scritto dell’omicidio del fratello, Serafino Corvo, avvenuto nel 1999; poi dice: “cioè dal mio fallimento alla bomba di Simone, lì dell’avvocato”
Confermando, dunque, che Simone aveva messo la bomba. E anche Simone Vizzini è infastidito dall’articolo di Paolo Borrometi , il quale aveva scritto, tra l’altro, delle indagini relative all’accendino acquistato poco prima dell’esplosione della bomba carta sotto l’auto dell’avvocato. Infatti Simone Vizzini dice alla fidanzata: “Il fatto della bomba è vero, è vero io l’ho comprato l’accendino. Allora? Io posso comprare 1500 accendini al giorno, poi fuori ci può essere l’attentato. Le hai le prove che sono stato io a sparare la bomba? Prove non ce ne sono. A posto, cosa vuoi di più?. Mio padre pluripregiudicato, immischiato con un’associazione mafiosa, quello putupum, patapam, mio padre è stato pure risarcito dallo Stato. E’ una persona legittima”.
In realtà le prove sono state trovate e risultano concordanti i tabulati telefonici che indicano contatti frequenti la mattina del 29 dicembre 2017 tra i quattro arrestati; poi ci sono le riprese delle videocamere di sorveglianza di alcuni negozi e le intercettazioni che fanno esplicito riferimento alla bomba, le stesse che hanno consentito di sventare il secondo agguato mortale a Paolo Borrometi.
Giuseppe Vizzini, il figlio Simone e Giovanni Aprile sono in regime restrittivo in carcere, per Andrea Vizzini, vista anche la giovane età e il ruolo di palo che ha avuto il 29 dicembre, il giudice delle indagini preliminari Giuliana Sammartino ha applicato la misura degli arresti domiciliari.


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