Sembra di essere in un film con auto costose, case di lusso e figli iscritti alla scuola cattolica. Ma siamo dentro una rete agguerrita e potente di spacciatori di cocaina a Roma il cui nocciolo duro è a sud della capitale. Ed è la Pontina la tratta più battuta, con un deposito nel quartiere dei Tre Cancelli al confine con Latina, un gancio ad Aprilia e radici che affondano in una solida amicizia con Pasquale Noviello e Maria Rosaria Schiavone, la coppia terribile del processo Sfinge, che ha rivelato la presenza dei casalesi tra il nord pontino e il sud di Roma. E’ in questo mondo, al confine tra Roma e Latina, che scalano posizioni i fratelli Salvatore (Sasà, l’imprenditore) e Gennaro, (Genny, l’operativo). I due sono approdati a Nettuno tra il 2003 e il 2004 per prendere parte al mercato della droga, da lì il salto verso la capitale è stato quasi scontato ma anche fatale perché il 22 marzo scorso gli Esposito sono stati arrestati insieme ad un altro lungo elenco di galoppini e trafficanti con cui controllavano la più importante piazza dello spaccio a Roma, San Basilio. Quest’ultima indagine è un viaggio dentro le viscere del pianeta dei trafficanti di droga italiani, albanesi, olandesi e la mappa che muove dal quartiere San Basilio si allarga fino alla provincia di Latina, dove Nettuno è solo una terra cerniera.
Per la Procura di Roma il grosso dell’approvvigionamento degli stupefacenti avveniva sulla tratta dalla Spagna e anche grazie all’amicizia con il «gruppo degli albanesi», collegamento tenuto da Zagu Arben. Dei «buoni legami» tra i fratelli Esposito e gli albanesi parla uno dei collaboratori di giustizia sentiti dal pm: «… avevano disponibilità di armi, armi che si trovano solo in certi canali». Gli Esposito e Zagu hanno «ruoli apicali» e si rispettano tra loro. L’attività principale era «l’importazione di stupefacenti» per entrambe le organizzazioni. Ma la possibilità di comprare grosse partite di cocaina (a chili) ha consentito negli anni a Salvatore e Genny Esposito di stare nel giro che conta a Roma, dove esiste «una fitta rete di relazioni che legano gruppi criminali, operanti nella capitale nell’ambito del narcotraffico» e dove, se ti comporti bene, c’è spazio un po’ per tutti, dai calabresi, ottimamente piazzati, agli albanesi, appunto.
E se lo spaccio importante avviene a Roma, le attività collaterali, ma altrettanto remunerative, si svolgono nella immediata periferia. Uno dei depositi della cocaina è a Tre Cancelli e per prelevare la «merce» Genny Esposito si muove con una vedetta che deve evitare i posti di blocco delle forze dell’ordine; in più c’è il furgoncino scortato con la coca dentro. Non è semplice uno spostamento di questo tipo: il giorno che gli inquirenti seguono Esposito e le vedette ci sono varie tappe sulla Pontina tra Pomezia e Aprilia, più un blocco nella zona del mercato a Nettuno, intasata appunto per la presenza degli ambulanti. Questa zona di confine è «casa loro», tutto sotto controllo. La strategia più utile per evitare guai e arresti è quella di usare «un’infinità di sim, intestate a prestanome, spesso consumatori abituali» sparsi tra Latina, Cori, Aprilia, Nettuno e ovviamente Roma. Nel gradino medio basso della piramide ci sono gli assaggiatori, cioè coloro che testano la qualità delle partite di cocaina e ne determinano sia l’acquisto finale che il prezzo. A maggio 2014, durante il periodo di monitoraggio di questa indagine, Vincenzo Polito e Genny Esposito sono in palese difficoltà perché l’ultimo stock di coca è «uno schifo proprio», così dicono gli assaggiatori. Troppi tagli l’avevano ridotta male «Puzza come i piedi, novabbene». Però gli Esposito avevano già una riserva, un’altra partita da inserire sul mercato, ma ad un prezzo più alto: «…c’è un’altra che già ho preso però sta’ un po’ di più e te la posso dare a 4.3 ». Tradotto quel 4.3 sarebbe 43mila euro al chilo, a fronte dei 38mila al chilo che era stato il costo di quella da «schifo proprio».
Secondo quanto riportato nel libro mastro sequestrato nel quartier generale dell’organizzazione, il costo di un chilo di cocaina all’ingrosso variava da 36 a 37mila euro al chilo, se il carico veniva dalla Spagna. Era possibile risparmiare andando a comprare al nord, ossia in Olanda, dove il costo scendeva anche a 35mila euro al chilo e considerato che la vendita sulla piazza di Roma era di 43mila euro al chilo, il conto è presto fatto. Il libro contabile sul commercio della coca si trovava, appunto, ad Aranova, sull’Aurelia, nel territorio di Fiumicino, in un luogo non facilmente accessibile da dove si potevano controllare i movimenti di quelli che arrivavano o se ne andavano. In quei libri ci sono anche le famose partite restituite al mittente perché la qualità non era buona.
Questa storia della qualità dei carichi non era facile da gestire, anzi proprio a maggio 2014, a causa della cocaina «brutta» si scatena una tensione complicata tra i gruppi di italiani, al punto che deve intervenire un mediatore albanese, Arben Leka, il quale, stanco dei dissidi, ad un certo punto invita tutti a «sedersi attorno al tavolo». Cosa che avviene, infatti, in un locale del complesso commerciale di Castel Romano.
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