Se Forza Italia fosse un comune, sarebbe sciolto per infiltrazione mafiosa. La sentenza fresca d’inchiostro della Corte d’Assise di Palermo ha stabilito in primo grado, che lo Stato venne tradito da chi doveva contrastare il suo mortale nemico – la mafia – perché invece di combatterlo, se ne fece portavoce, per riferire le condizioni di pace, mentre il partito di B si offriva come sponda politica.
Dell’Utri, l’uomo che ha progettato chiavi in mano Forza Italia per B, era anche il tramite nei rapporti tra le cosche siciliane e il neo-partito. Assicurando così entrate cospicue alla mafia in cambio di tonnellate di voti in Sicilia, fino all’inquietante 61 seggi su 61 nel 2001. Questo è il passaggio più importante che ha sottolineato il pm Di Matteo, perché segna un salto di perversione: dalla collusione mafiosa iniziale per affari sporchi, al sodalizio FI-mafia che diventa eversione per il controllo dello Stato. Detto ancora meglio, la trattativa Stato-mafia ha realizzato un tentativo di colpo di stato, dove B stava dalla parte del colpo, non dello Stato.
Ora ciò che deve essere evitata è una trattativa Governo-mafia, ovvero alleanze con il partito infiltrato di Forza Italia per formare il nuovo esecutivo. Anzi, è venuto il momento di applicare una sorta di 41 bis politico nei confronti di B, affinché sia isolato e ignorato da chi in questi anni è stato dalla parte di Falcone e Borsellino e dei tanti servitori dello Stato morti ammazzati insieme a cittadini inermi, mentre B faceva il doppio gioco.
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