Nonostante il presidente Ortega abbia annunciato sabato pomeriggio la sua volontà di negoziare sulla riforma delle assicurazioni sociali con il Consiglio superiore delle imprese private (COSEP), gli scontri sono proseguiti in tutto il paese per il quarto e il quinto giorno consecutivo. Domenica sera Ortega è apparso in tv, annunciando il ritiro delle riforme. Dopo cinque giorni di scontri, il bilancio delle vittime è di almeno 30 morti, quello dei feriti circa un centinaio. I dispersi sono una quarantina ma secondo il quotidiano nazionale La Prensa sarebbe ancora impossibile stabilire il numero delle persone arrestate. Tra le vittime anche un giornalista, Ángel Eduardo Gahona, ucciso mentre riprendeva gli scontri a Bluefilds, nel Caribe. Per il Nicaragua, si tratta delle proteste più forti degli ultimi 11 anni.
Da venerdì molti supermercati sono stati chiusi per evitare i saccheggi ed impedire rifornimenti ai manifestanti. Il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Managua, Silvio Báez, uno dei più influenti del Nicaragua, ha descritto gli studenti che manifestano come la “riserva morale” del paese. In loro sostegno Báez si è recato con il cardinale del Nicaragua Leopoldo Brenes e una ventina di altri sacerdoti presso la Cattedrale di Managua dove gli studenti si sono barricati nelle giornate di venerdì e sabato.
Al fine di “fornire protezione e sicurezza alle entità e agli obiettivi strategici fondamentali per il funzionamento del paese”, in aiuto alla polizia è stato schierato anche l’esercito. Secondo Hugo Torres, generale in pensione, il fatto ha due implicazioni: la prima riguarda l’impossibilità da parte della polizia di contenere le proteste sempre più diffuse, la seconda un fatto ben più grave: “quando l’esercito esce per le strade con le armi da guerra – ha detto a La Prensa l’ex generale – lo fa per uccidere”.
Sembra che la riforma pensionistica voluta dal Governo di Ortega sia stata solo la miccia di una rivoluzione già pronta ad esplodere: i manifestanti chiedono non solo la revoca del decreto di riforma, ma anche un’epurazione ai vertici della polizia ed una riforma dell’intero sistema elettorale, comprese le immediate dimissioni del presidente Daniel Ortega e del Vicepresidente Rosario Murillo, entrambi da loro accusati di corruzione istituzionale, frode elettorale, nepotismo e abuso di autorità.
Sabato, in occasione della sua prima apparizione pubblica da quando sono iniziate le proteste, Ortega s’è detto disposto a dialogare, ma, ha specificato, solo con il settore delle imprese e non con gli altri settori della società. Secondo il presidente, le proteste e le manifestazioni non sarebbero altro che una strategia manipolatoria attuata da gruppi dissidenti per mettere in cattiva luce il paese e rovesciare il suo governo. “Quanto sta accadendo nel nostro paese, non ha nome – ha detto alla televisione nazionale – i manifestanti, non conoscendo nemmeno il partito che li sta manipolando, incorporano tra le loro fila banditi che criminalizzano le proteste”. Dichiarazioni per nulla gradite dalla popolazione e che hanno riacceso scontri particolarmente violenti nella capitale. Da parte sua, il Consiglio Superiore delle Imprese Private ha posto come condizione per il dialogo con Ortega l’immediata cessazione della repressione, il rilascio dei dimostranti detenuti e il rispetto per la libertà di espressione, riferendosi qui anche al canale televisivo 100% Noticias censurato dal governo.
Sono continuate, infatti, intimidazioni e aggressioni ai giornalisti: durante gli scorsi giorni, più canali televisivi sono stati oscurati per decreto presidenziale e molti reporter minacciati e aggrediti. Il direttore di Radio Darìo Aníbal Toruño ha denunciato che lo stesso comando responsabile dell’incendio appiccato nella notte tra venerdì e sabato alla sede della radio libera avrebbe tentato anche di assassinare lui e le nove persone che stavano ancora lavorando. Il giornalista Ángel Eduardo Gahona, corrispondente da Bluefields per Canal 6, è stato ucciso da un proiettile alla testa mentre riprendeva in diretta Facebook gli scontri di sabato. L’uccisione è stata ripresa da un altro giornalista che lo seguiva dietro al gruppo di agenti antisommossa: dopo lo sparo, Gahona cade a terra ferito alla fronte. Dal video (VIDEO), subito condiviso sui social, non è possibile conoscere la provenienza dello sparo ma, secondo quanto riportato dalla collega Ileana Lacayo Ortiz, sarebbe opera di un cecchino, essendo la polizia e gli agenti antisommossa gli unici in possesso di armi da fuoco.
“La risposta bruta e violenta da parte delle autorità ha implicazioni profondamente preoccupanti per i diritti umani in Nicaragua. Il massacro di manifestanti, tra cui diversi giovani studenti, che sono usciti per esercitare i loro diritti alla libertà di espressione e all’assemblea pacifica, sarà ricordato come uno dei capitoli più oscuri della storia recente della nazione”, ha commentato Erika Guevara Rosas, direttrice di Amnesty International Americhe.
Domenica è stata un’altra giornata di scontri: la quinta da quando i primi manifestanti sono scesi in strada mercoledì. In serata, Daniel Ortega ha deciso di revocare le riforme della sicurezza sociale che hanno innescato le dimostrazioni, avvertendo però che i responsabili del caos venutosi a creare sarebbero stati presto processati in un tribunale. “In altri paesi i manifestanti escono per protestare, ma non escono per distruggere, non vanno armati per uccidere – he detto Ortega alla tv nazionale – Partono per marciare, chiedono il permesso e poi la normalità si riprende. Non abbiamo visto saccheggiare supermercati, distruggere istituzioni statali, proprietà private. Purtroppo qui, dobbiamo ora ristabilire l’ordine”.
Ora è il momento di dialogare con il COSEP: dal tavolo dette trattativa, al quale si sono aggiunti il cardinale Leopoldo Brenes, Arcivescovo di Managua, e una delegazione di vescovi, rimangono però esclusi gli altri settori della società.