Lo sciame sismico in Centro Italia non sembra voler arretrare, soprattutto sul confine tra Marche e Umbria. Nel maceratese a Muggia e Pieve Torina, nel mese corrente, si sono registrate scosse di magnitudo superiore al 4. E’ per tale ragione che riteniamo rilevante pubblicare questo articolo, più volte sottovaluto dai media nazionali come se fosse sufficiente scriverne una volta per scongiurare il pericolo.
Quattordici anni fa iniziò una storia che coinvolse dieci regioni italiane e che ancor oggi non trova soluzioni. Nel 2004 l’azienda Snam Rete Gas SpA, con un fatturato corrente di oltre 2 miliardi di euro, aveva presentato l’attuazione di un progetto denominato “Rete Adriatica”: un metanodotto di 687 km che dal Salento avrebbe risalito la china fino alla periferia bolognese permettendo all’Italia di diventare “Hub europeo del gas”, come dichiarato dalla stessa. Una visione strategica condivisa dalle forze istituzionali che ne riconoscevano le potenzialità, attenzione del tutto disattesa dai comitati cittadini, da tre delle regioni coinvolte tra cui Marche, Abruzzo e Umbria, due province e cinque comuni, che invece rimproverano alla Snam di aver modificato il tracciato da “adriatica” ad “appenninica” ufficialmente per non stressare le zone balneari e turistiche, senza però tenere sufficiente conto della pericolosità sismica, idrogeologica, sanitaria, faunistica del territorio che, rilevano essere, superiore rispetto a quelle ipotizzate. Ma procediamo con ordine.
Il problema ambientale, l’opposizione dei cittadini e l’ostinazione di Snam
Il tracciato del gasdotto, interamente interrato, attraversa tre parchi nazionali e ventuno aree protette ed è stato suddiviso in cinque blocchi: Massafra-Biccari, Biccari-Campochiaro, SulmonaFoligno, Foligno-Sestino e Sestino-Minerbio. Il tratto Sulmona-Foligno è stato poi suddiviso a sua volta in altre due parti: la centrale di compressione di Sulmona, necessaria per far arrivare il gas in tutta Italia intervenendo sulle forze di attrito che ne limano la potenza, e la condotta stessa. Il terzo e il quarto blocco sono quelli più pericolosi, poiché secondo i poli d’opposizione, sarebbero sensibili a procurare cambiamenti nell’ambiente.
Il comune di Sulmona, insieme al deputato abruzzese LeU Gianni Melilla, per via della centrale già espropriata dall’azienda, ha espresso negli anni continui disappunti sulla decisione di costruire il gasdotto comprovando l’interferenza del progetto in piani regionali per la valorizzazione e tutela della biodiversità, nonché la pericolosità insita nella stessa centrale sita nella Valle Peligna che, a causa della sua conformazione poco ventilata e poco piovosa, come già accaduto con gli incendi, non consentirebbe l’adeguata dispersione degli agenti inquinanti provenienti dalle emissioni. I collettivi interregionali nati per contrastare il matanodotto, inoltre, non giustificano l’opera nella sua inutilità per via del minor consumo di gas registrato in Italia; insomma, non ne abbiamo bisogno. Eppure la Snam va avanti. Sebbene le energie messe in moto per costruire un gasdotto siano minori di quelle che produrrebbe un terremoto, secondo il geologo Francesco Aucone a cui il Comitato No Tubo, l’Onlus ambientale Gruppo Intervento Giuridico, la Mountain Wilderness e il Wwf Umbria hanno commissionato due contro-perizie sismiche sul tratto Sulmona-Foligno e Foligno-Sestino nei confronti dello Studio di Impatto Ambientale della Snamprogetti i due talloni d’Achille di un’opera di questa portata che la Snam avrebbe verificato in modo semplicistico sono la fagliazione e lo scuotimento.
<<Esistono faglie attive che generano terremoti dette “capaci”, che cioè deformano la superficie terrestre arrivando in superficie. Se un gasdotto interrato e rigidamente vincolato al terreno attraversa una faglia di queste, si spacca, non può reggere a miliardi di tonnellate di forze che entrano in gioco>>. Aucone mostra il prezioso lavoro che l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) ha fatto con il database Ithaca che a livello conoscitivo e sempre in aggiornamento, cataloga le faglie capaci. <<Se devi costruire un’opera ingegneristica, devi andare sul posto e fare i cosiddetti “studi di paleo-sismicità” che Snam non ha fatto. Nel 2012 e fino ad oggi ha fatto e integrato le Valutazione di Impatto Ambientale (VAS) richieste dalla normativa divise per ogni blocco del tracciato, ma ha ristretto gli studi su dati bibliografici. Ad es. nel tratto Sulmona-Foligno si sarebbe dovuta accorgere che la linea del gasdotto attraversa almeno una dozzina di faglie attive e capaci>>. Ma non finisce qui. Aucone insiste sulle mancanze volontarie di Snam adducendo il problema dello scuotimento, ovverosia la pericolosità sismica attesa e i quali valori energetici devono essere ricavati da una tecnica scientifica apposita, “la risposta sismica locale”, che geologi e ingegneri seguendo dati morfologici, progettuali e geotecnici affidano a un software con l’obiettivo di ottenere un’ipotesi di terremoto, anche detto terremoto di progetto. <<Questa verifica è molto importante, dato che i terremoti nell’appennino centrale si verificano perché le varie placche sovrascorrono le une sulle altre. Nonostante la normativa italiana tecnica per le costruzioni NTC 2008 e il comunitario Eurocodice 8 sottolineassero l’importanza di svolgere studi specifici, per i gasdotti in zona sismica (parte 4 dell’Eurocodice 8), la Snam ha sottostimato i valori energetici dello scuotimento. Ciò significa che se verifico e costruisco un’opera che deve resistere fino a 0.4g, dove “g” è l’accelerazione del suolo, ma poi mi arriva un terremoto di 0.9g, l’opera si rompe>>, conclude Aucone.
Inoltre Snam ha tentato di tranquillizzare l’opinione pubblica portando l’esempio del gasdotto che durante il terremoto del Friuli nel 1976, nonostante la magnitudo di 6.5 sulla scala Richter, non si ruppe, adducendo così la non pericolosità dell’opera. Eppure, a dire degli esperti, sia i territori sia i terremoti sono diversi tra loro e dunque un’affermazione del genere manca totalmente di supporti scientifici. Tuttavia a nulla è servita la legge varata dalla Regione Abruzzo nel 2012 per vietarne la realizzazione, o le continue interpellanze al governo, anche dello stesso Melilla, affinché si prenda in considerazione con le dovute precauzioni gli allarmi lanciati dalla popolazione. E così nel 2013 l’infrastruttura potenzialmente strategica è stata inserita nella lista dei progetti di interesse comunitario, venendo meno a quel principio di precauzione presente nel diritto ambientale europeo che, rimarcando l’azione truffaldina, si compie nella fattispecie delle mancanze rilevanti. L’anno dopo, il decreto “Sblocca Italia” varato dal governo Renzi metterà a tacere gli ultimi dubbi sulla realizzazione dell’opera che qualora ve ne fosse stata la necessità, troverà assoluto consenso nella fine del mandato Gentiloni che prima di chiudere le Camere darà insieme al Consiglio dei Ministri conferma di via libera.
Il collegamento con la Tap
Nel 2013, a seguire il progetto della Rete Adriatica-Appenninica sarà il Gasdotto TransAdriatico, conosciuto dai più come Tap, che dall’Azerbaijan passerà per la frontiera greco-turca per poi arrivare nel cuore del Salento, sradicando ulivi secolari e barattando coscienza per interessi. Altra opera che, capitanata ancora da Snam, avrà l’obiettivo dichiarato di unirsi al tubo d’acciaio, in un’unica grande opera, fino a collegare la cima dello stivale con l’Europa. Se ne occupa Snam come spin off di Eni, insieme a Italgas che nel 2014 fu indagata per aver stretto rapporti con Cosa Nostra. Varie inchieste pubblicate hanno confermato i rapporti discutibili che alcune aziende hanno avuto in passato con la criminalità organizzata. Controllata da Eni la stessa Snamprogetti, acquistata dalla
Saipem e indagata a sua volta per corruzione e tangenti in Nigeria.
La Tap è un gasdotto di 870km che mira a liberarsi dalla dipendenza russa, sfruttando le riserve naturali azere. Nel progetto, oltre a Snam, figurano altre aziende tra cui la SOCAR balzata sulle cronache nazionali per quello che scoprì la giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, uccisa in un’autobomba il 16 ottobre scorso. Lo scandalo che aveva rivelato, seguendo il filone dei Panama Papers, riguardava il petrolio e le tangenti pagate, secondo i documenti pubblicati, dal regime azero ai vertici maltesi. Poi figura la svizzera Axpo che, secondo un’inchiesta dell’Espresso, controllerebbe la Egl Produzione Italia che avrebbe “ottenuto nel 2004-5 due finanziamenti europei a fondo perduto per oltre tre milioni” per progetti preliminari al Tap. Inoltre, il suo amministratore, tale Raffaele Tognacca, oltre a lavorare con il gruppo Erg, in Svizzera avrebbe “lanciato la finanziaria Viva Transfer, che un’indagine antimafia ha additato come una lavanderia di soldi sporchi” con timbro ‘ndranghetista. Copertura criminale che in tal senso ha rafforzato quella mediatica e popolare, auspicando in vista della nuova formazione politica, la revisione di alcune scelte per interesse pubblico.
Fonte: www.iltaccoditalia.info