Paradossalmente le ultime vicende Mediaset – perché è Mediaset e solo Mediaset che ha un proprietario ex Presidente del Consiglio con ambizioni da Presidente del consiglio – esaltano per contrasto il ruolo fondamentale del servizio pubblico radiotelevisivo! Bisogna partire infatti dalla posizione Mediaset relativa al sofferto rinnovo della concessione Rai. Cosa aveva sostenuto Mediaset? Il servizio pubblico è legato ai contenuti non alla Rai, tutti possono fare servizio pubblico, L’informazione in sé è servizio pubblico, anche alcuni programmi del Biscione sono certamente di servizio pubblico: ergo il canone di abbonamento deve essere distribuito a tutte le emittenti che trasmettono programmi di servizio pubblico (e poiché di emittenti nazionali in Italia non ve ne sono molte, il discorso era per forza di cose limitato principalmente a Mediaset e secondariamente a La7).
Ora si collochino le pretese di servizio pubblico di Mediaset nel contesto della guerra Vivendi Mediaset Tim – al momento con importanti seguiti giudiziari – e nella recente sorpresa Pasquale dell’accordo Mediaset Sky e ci si domandi: che senso avrebbe avuto accogliere le pretese di Mediaset sul canone di abbonamento alla radiotelevisione? Che senso ha riconoscere valenza di servizio pubblico a una emittente che vorrebbe il canone per risolvere i propri problemi finanziari o per offrirlo al futuro acquirente francese o al prossimo offerente australiano?
La verità è che avere il canone è per Mediaset solo un asset non una missione, è qualcosa da offrire sul piatto a Bolloré o a Murdoch, a seconda delle strategie personali del proprietario in difficoltà sul parallelo scenario politico. Proprietario che non ha mai trovato alcun ostacolo sul fronte del conflitto di interessi e del limite antitrust.
Con la preannunciata fusione di offerta con Sky ci si accorge che è in pericolo il valore del pluralismo esterno, principio pure più volte affermato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, poiché se prima le emittenti nazionali private erano due sul digitale terrestre e una sulla piattaforma satellitare, ora avremo un coordinamento imprenditoriale e intese organizzative e produttive che limiteranno le emittenti nazionali private a due operatori, uno minore, l’altro composto dalla sinergia di due colossi (con intuibile effetto sui rapporti di forza). Si potrebbe dire in proposito che venga rafforzato il ruolo del pluralismo interno della concessionaria pubblica, unico luogo editoriale dove poter assicurare una visione della realtà non necessariamente piegata alle strategie processuali di Mediaset contro Vivendi o alle profittevoli opportunità di Mediaset con Sky.
Certo l’accordo riguarda la pay, l’offerta premium, ma è ovvio il conseguente effetto di trascinamento in favore dei canali generalisti canale 5, Italia1 e Rete4, con il loro ritorno sulla piattaforma Sky. L’effetto di trascinamento comporterà conseguenze sulla raccolta pubblicitaria e anche sulla capacità dei palinsesti Rai di reggere all’urto.
Ma il risvolto maggiore in tema di commistione si avrebbe sulla rete, quella che non tanto tempo fa è stata oggetto di nuovo di velleità in ordine alla formazione del cd operatore unico di rete. È del tutto ragionevole essere cauti circa La futura indipendenza e autonomia di una eventuale rete trasmissiva controllata dal duo Mediaset/Sky, a nulla valendo la pur prescritta separazione societaria tra operatore di rete e fornitore di contenuti.
Alle queste ragionevoli perplessità si aggiunga che la stessa Raiway – che dovrebbe gestire la rete pubblica – ha visto negli ultimi anni la privatizzazione di una quota rilevante del suo capitale azionario (dopo aver corso il rischio addirittura di un Opa totalitaria da parte di Eitower, la controllata di Mediaset che detiene la rete nazionale del Biscione), quota che, viste le circostanze (la fallita Opa), non sarebbe irrazionale considerare a disposizione di Mediaset a prescindere dalla formale intestazione delle azioni.
Sappiamo che Sky affitterà capacità trasmissiva da Eitower (la Raiway di Mediaset) per le sue trasmissioni sul digitale terrestre e quindi sappiamo che la capacità trasmissiva di Mediaset viene messa a disposizione non con criteri di trasparenza e contendibilità, ma come effetto di una transazione e di uno scambio di asset tra due oligopolisti del settore che agiscono per interessi privatistici. Per la cessione obbligatoria del 40% della capacità trasmissiva l’Agcom aveva stilato una graduatoria sulla base di alcuni criteri (piano editoriale, indisponibilità di risorse trasmissive, etc.) onde consentire l’accesso alla rete al maggior numero di emittenti rimaste fuori dall’accaparramento dei cd Mux. Mediaset ha utilizzato gli stessi criteri per l’affitto a un colosso come Sky? O si è comportata come l’autorità abilitante, in sostituzione di questa, scambiando per interessi commerciali frequenze nazionali delle quali non è proprietaria.
Si è tanto parlato di operatore unico delle reti e dei vantaggi di un accorpamento Raiway Eitower. Sono forse questi i vantaggi? Mediaset nell’accordo con Sky si è comportata come l’unica a poter disporre di frequenze nazionali a suo piacimento quando invece la cessione dovrebbe essere regolamentata dall’Agcom (come lo è stata per il 40% della capacità). Inoltre, per effetto della precedente cessione di una quota del capitale di Raiway vicina al 40% è lecito sospettare che la gestione della rete pubblica non sarà del tutto estranea – sebbene indirettamente e in maniera non immediatamente percepibile – agli accordi di Pasqua.
In altre parole non è irragionevole attendersi che Raiway abbia fatto parte della sorpresa!