Sono settimane convulse ed al tempo stesso confuse, anche per il “policy making” in materia di politica culturale ed economia mediale.
L’assenza di un Governo nella pienezza dei propri poteri e le perplessità sulla fattibilità di un nuovo esecutivo minimamente stabile si riflettono su più fronti: dalla complessa vicenda Telecom ovvero Tim (che ha enorme rilevanza strategica per il Paese tutto) ai decreti attuativi della legge cinema e audiovisivo tanto voluta dal Ministro “pro tempore” Dario Franceschini (che peraltro in queste ore vuole “aprire” il Pd ai grillini), senza dimenticare il mitico contratto di servizio Rai finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale qualche giorno fa (nel mentre già impazza il toto-nomine di Viale Mazzini, che darebbe il sociologo dell’ozio creativo Domenico De Masi alla presidenza)…
Su tutto prevale incertezza.
In questo scenario, emerge però un’anomalia: che accade alla Siae?!
Venerdì 6 aprile, Sky Italia decide di alzare il tiro, nel conflitto che si protrae da mesi – contesta il pagamento a Siae dei diritti d’autore dal luglio 2017 – e trova nel Movimento 5 Stelle un forte alleato. Entrambi invocanti la “libertà di mercato”.
Una premessa: il ruolo della Siae nel sistema culturale italiano (al di là delle nobili radici che affondano nella storia del Paese, essendo stata fondata nel 1882) è messo sempre più in discussione da una pluralità di soggetti, e ciò è soprattutto dovuto a decisioni strategiche non lungimiranti assunte nel corso degli ultimi anni dai governi in carica.
Non è mai stata fatta chiarezza fino in fondo – né dal Governo né dal Parlamento – sul ruolo che la Società Italiana Autori Editori ha, può avere, deve avere, nell’economia complessiva delle industrie culturali, alla luce della rivoluzione digitale, che ha sconvolto e continua a sconvolgere i paradigmi tradizionali.
Prima di ricostruire puntualmente le fasi ultime di questa vicenda, riteniamo indispensabile sfatare un grande inganno ed evidenziare alcuni deficit cognitivi: il sistema culturale e mediale non è un mercato qualsiasi, qui abbiamo a che fare con “merci e servizi” assai particolari, che hanno una valenza sociale strategica, che riteniamo debba prevalere sull’ottica meccanica della domanda e dell’offerta.
In particolare, in un mercato come quello dei diritti d’autore, il senso della “mano pubblica” è evidente, per ridurre le asimmetrie strutturali e garantire i soggetti più deboli, in nome dell’estensione del pluralismo espressivo. Se si condivide questo principio (gli iperliberisti non concordano, ovviamente), il problema che viene subito dopo è “come fare?”.
La questione è delicata, ma va oltre la prospettiva di una “de-strutturazione” della Siae in nome del “libero mercato”: si tratta di ragionare in modo intelligente, globale, moderno su quali sono le migliori modalità per gestire il diritto d’autore, nell’interesse degli autori, degli editori, dei fruitori.
In un parere del 1° giugno 2016 reso a Governo e Parlamento, Giovanni Pitruzzella, Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, sosteneva: “l’intervento di liberalizzazione dovrebbe essere integrato da una riforma complessiva delle modalità di intermediazione dei diritti delineate dalla legge sul diritto d’autore, senza trascurare una rivisitazione del ruolo e della funzione della Siae nel mutato contesto”.
Questo intervento di “riforma complessiva” non è stato messo in atto né dal Governo né dal Parlamento, e quindi Siae è colpita da questa inerzia politica.
In materie così delicate, andrebbero evitate le radicalizzazioni estremiste e gli scontri frontali: invece è in corso, ormai da tempo, una battaglia dura, molto ideologica e poco documentata, tra la storica Siae e la novella Soundreef, tra “monopolisti” e “liberisti”.
La tesi Siae è nota: una struttura forte è in grado di trattare meglio con “poteri forti”, come Sky appunto. O Mediaset che sia, o Rai, o Netflix, o YouTube, eccetera. Che siano “broadcaster” tradizionali o novelli “over the top”, è alla fin fine poco importante: quel che rileva è la presenza sul mercato di un soggetto pubblico (e Siae, per quanto atipico, è un ente pubblico: formalmente, è definita un “ente pubblico economico a base associativa”) che abbia capacità strutturale di monitorare il complesso mercato dei diritti d’autore, e soprattutto di trattare da pari a pari.
La tesi degli avversari della Siae è contrapposta: Siae è un dinosauro burocratico, un soggetto che abusa di un monopolio di fatto, un ente la cui funzione “pubblica” è opinabile, ed è comunque preferibile lasciare prevalere le logiche di mercato, e quindi… liberalizzare liberalizzare liberalizzare. Tra i “supporter” ideologici di queste tesi il qualificato “think-tank” liberista della Fondazione Istituto Bruno Leoni (Ibl), che ha elaborato qualche mese fa un breve studio di indubbio interesse, curato da Diego Menengon. Secondo Ibl, è indispensabile l’abrogazione dell’articolo 180 della legge sul diritto d’autore, che mantiene una esclusiva a favore della Siae in contrasto con le dinamiche di liberalizzazione del settore.
Si deve certamente ragionare su alcune inefficienze della Siae, sulla necessità di accelerare il processo di modernizzazione, sul bisogno di incrementare i livelli di trasparenza, sull’esigenza di ottimizzazione gestionale, ma questo è un discorso che deve venire dopo una riflessione complessiva, documentata e seria sul senso di quel che – nel bene e nel male – può essere ritenuto un “baluardo” di fronte all’infinita e pervasiva ondata di liberalizzazione digitale, che sta producendo uno strisciante processo di pauperizzazione.
Urge una riflessione critica complessiva sul “senso” o meno del possibile ruolo della Siae.
Che ci si schieri “pro” o “contro” Siae (e già questo approccio manicheo è discutibile, per chi crede nella dialettica), i teorici della “grande libertà” del web e delle sue magnifiche doti debbono comunque prendere atto che l’industria culturale e mediale non sta vivendo una fase di crescita, se non sul fronte della fruizione.
È il “policy maker” a dover maturare una riflessione su questi processi.
Gli investimenti nella produzione di contenuti originali, gli investimenti in “ricerca e sviluppo” stanno paradossalmente diminuendo, e non sono le centinaia e centinaia di milioni di dollari che un neo-gigante come Netflix alloca in produzione di fiction di alta gamma a compensare la riduzione complessiva degli investimenti da parte di altri “player” (soprattutto quelli tradizionali), a fronte di un mercato che sembra stimolare sempre più una fruizione… gratuita. Apparentemente “gratuita” per i consumatori-utenti, peraltro, perché in realtà arricchisce gli “over the top” e le “piattaforme” (che approfittano di “big data” e di “profilazioni” commerciali): certamente non gli autori, che ricevono le briciole del banchetto dei nuovi padroni dell’immaginario.
Teorizzare soltanto lo smantellamento della Siae “sic et simpliciter” significa promuovere un’azione che rischia di determinare un impoverimento dell’anima creativa del sistema culturale italiano. Anche nell’ipotesi più estrema, ovvero che tutti i 90mila aderenti alla Siae abbandonino la storica società per aderire alla giovane Soundreef – e ad altri “player” che si ha ragione di prevedere entreranno presto in campo – la questione è altra, e (più) alta: al di là” dello scontro Siae vs Soundreef, come si deve tutelare il diritto degli autori (e degli editori), in uno scenario che sembra essere sempre più orientato su fruizioni “free” dei contenuti culturali?!
Si deve ragionare, in modo documentato, a livello europeo e certamente presto in Italia su una riforma complessiva del sistema del diritto d’autore, senza cavalcare passivamente la retorica del più sfrenato neoliberismo digitale, e senza sposare le tesi di una conservazione autoreferenziale dell’esistente. È anche vero che anche l’Unione Europea non si è espressa in modo particolarmente chiaro ed univoco sul ruolo e le caratteristiche delle “collecting society”, e la stessa Direttiva europea di riferimento, la n. 26 del 2014, è in alcuni tratti interpretativi discretamente controversa.
L’analisi del “botta e risposta” di questi ultimi giorni tra Sky & M5S e Società Italiana Autori Editori è interessante e sintomatico, ma alla fin fine quasi marginale rispetto alla grande e fondamentale “partita politica” che si gioca: qui sono in ballo… cultura e democrazia.
Nella sera di venerdì 6 aprile, viene diramato il comunicato stampa molto duro di Sky Italia, che Ansa rilancia alle ore 20.02 (orario piuttosto inconsueto) e che così sintetizza: “Più trasparenza e abolizione dei privilegi: è questa, in sintesi, la presa di posizione di Sky nei confronti di Siae, la prima da quando – lo scorso dicembre – la Società Autori ed Editori ha aperto la querelle sul pagamento dei diritti d’autore, sollevando in particolare il caso X Factor”.
In una lunghissima nota, Sky sostiene che “Siae possa ostacolare la libertà di scelta che la direttiva europea Barnier riconosce ai titolari di diritti e rimanga ancorata ad un assetto monopolistico dell’intermediazione dei diritti d’autore, ormai anacronistico, invece che favorire una corretta evoluzione competitiva del mercato (…) è importante e opportuno che un soggetto come Siae – che per decenni ha beneficiato di un monopolio legale – riconosca l’apertura del mercato e la libertà di scelta degli autori, assumendo finalmente un atteggiamento equilibrato e trasparente nei confronti di tutti i suoi interlocutori”.
Il tono è veramente duro e le accuse sono proprio pesanti: “da mesi si registrano comportamenti di Siae nei confronti di Sky intesi a sminuire le istanze di trasparenza e di rispetto delle regole europee avanzate da quest’ultima. Sky non ha preso finora posizioni pubbliche, ma ritiene che sia il momento di esprimere con chiarezza il suo punto di vista”.
Si passa dalla non assunzione di “posizioni pubbliche” all’impugnare un vero e proprio bazooka con target Viale della Letteratura.
La piattaforma – la cui strategia potrebbe cambiare a seguito dell’intreccio tra il gruppo di Murdoch e Walt Disney Co. (che tra l’altro è proprietaria del network americano Abc) – rivendica il proprio ruolo innovativo nella produzione italiana: “Sky ha a cuore la creatività italiana, gli autori, gli artisti, lo sviluppo dell’industria culturale italiana e la sua internazionalizzazione. Lo ha dimostrato non solo investendo ingenti risorse in produzioni innovative e di altissima qualità, ma anche offrendo particolare spazio a giovani e a talenti poco noti che oggi, anche grazie a Sky, sono autori e artisti affermati. Tutto questo continuerà a farlo con sempre maggiore determinazione, perché è interesse fondamentale di Sky tutelare tutti i soggetti che concorrono alla crescita di questa industria, mantenendo sempre la propria attenzione nei confronti degli autori, ivi inclusi naturalmente quelli non rappresentati dalla Siae”.
E qui si potrebbe aprire un… dibattito: va dato atto a Sky Italia di aver promosso iniziative produttive importanti (basti pensare alla serie televisiva “Gomorra”), ma francamente ci sembra che il totale degli investimenti di Sky in contenuti “made in Italy” – soprattutto nel cinema e nella fiction – non sia certo comparabile con quelli di “player” come Rai e Mediaset. Eppure il totale dei ricavi di Sky è maggiore di quello di Viale Mazzini o di Cologno Monzese. E l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni cosa ne pensa?!
Sky precisa, nel suo comunicato: “Per favorire la crescita e lo sviluppo effettivo di questo comparto, è però necessario che il mercato sia libero e concorrenziale e che chi investe possa contare su interlocutori aperti al mercato e non cristallizzati su posizioni che sono state superate dai fatti e dal quadro normativo”. Sostiene che Siae possa ostacolare la libertà di scelta che la direttiva europea Barnier riconosce ai titolari di diritti e rimanga “ancorata ad un assetto monopolistico dell’intermediazione dei diritti d’autore, ormai anacronistico, invece che favorire una corretta evoluzione competitiva del mercato”.
La presa di posizione di Sky, ovvero il bazooka impugnato, avverrebbe “nell’interesse di una completa informazione degli autori rappresentati da Siae”. Sarebbe stata più volte rinnovata la propria disponibilità a proseguire le trattative con Siae per giungere a soluzioni negoziali coerenti con il nuovo contesto di mercato”. E qui tocchiamo quel punto dolente cui abbiamo fatto cenno: “il nuovo contesto di mercato”.
Riteniamo che questo invocato “nuovo contesto di mercato” sia in verità, verosimilmente, una evoluzione in chiave iper-liberalizzata delle dinamiche della globalizzazione planetaria.
Il digitale che avanza incrementa l’accesso all’informazione, ma rende tutti i creativi più poveri.
Non è il successo di un qualche “youtuber” a poter dimostrare il contrario: quasi tutte le professioni delle industrie culturali stanno soffrendo la riduzione dei flussi remunerativi.
Internet non è la manna dell’industria culturale, anzi ne sta divenendo l’affamatore.
Sky denuncia: “Sky non riscontra un’adeguata disponibilità di Siae a condurre i negoziati secondo logiche coerenti con il nuovo assetto di mercato, improntate al rispetto reciproco delle parti ed al fondamentale requisito della trasparenza. In una situazione tutt’altro che soddisfacente, Sky sta comunque versando a Siae svariati milioni di euro”.
La piattaforma si rivolge anche all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (ricordiamo che a fine mese è fissato il termine per l’istruttoria Agcm per ipotetico abuso di posizione dominante): “le difficoltà al passaggio ad un assetto di mercato realmente concorrenziale emergono anche dal procedimento antitrust aperto nei confronti di Siae. In questo senso, Sky si augura che l’intervento dell’Autorità possa efficacemente contribuire a rimuovere i comportamenti anti-concorrenziali che saranno accertati e che possa rappresentare un fattore di accelerazione nell’effettiva apertura del mercato e nel superamento di logiche monopolistiche ormai obsolete. Sky crede infatti che un assetto maggiormente concorrenziale del mercato possa produrre benefici per le stesse società di gestione, per gli autori e per gli utilizzatori”.
Si ricorda che “la Barnier” è – nello slang del settore – la già citata Direttiva n. 26 del 2014, con la quale l’Europa chiede ai Paesi membri di uniformare le regole sulla raccolta e la gestione dei diritti d’autore, con l’obiettivo di consentire agli autori ed artisti di scegliere liberamente a quale operatore affidare i propri interessi. L’Autorità presieduta da Giovanni Pitruzzella ha avviato una istruttoria nell’aprile 2017, a seguito della segnalazione di due società, Soundreef e Innovaetica.
La Siae replica subito, con un dispaccio che Ansa dirama alle 21.10 di venerdì 6 aprile: “Da Sky “un comportamento inqualificabile e strumentale, mentono sapendo di mentire. E chi ne paga le conseguenze sono gli autori e gli editori italiani, ovvero la parte più debole”. È dura la replica della Siae, la Società degli Autori e degli Editori alla nota nella quale la tv di Murdoch chiede che la società presieduta da Filippo Sugar “riconosca l’apertura del mercato e la libertà di scelta degli autori, assumendo finalmente un atteggiamento equilibrato e trasparente nei confronti di tutti i suoi interlocutori”. Siae “non ha mai ostacolato l’apertura del mercato, ha sempre rispettato la legge”.
Dal Presidente della Siae Filippo Sugar, arriva una sorta di appello-provocazione: “A questo punto, chiedo a Sky di pagare agli autori ed editori italiani le stesse tariffe che paga agli autori tedeschi per l’uso delle opere e che non discrimini autori ed editori italiani” Dal primo di luglio, è la ricostruzione della Siae, da quando è scaduto il contratto con Sky, “Sky ha usato musica, opere per la tv e film senza corrispondere un euro alla Siae, le opere degli autori sono state usate e Sky non ha pagato. Il 29 marzo dopo aver rifiutato un incontro per trattare il rinnovo della licenza, Sky ha deciso di versare qualche milione di euro dicendo subito però che contestava il fatto di doverlo fare alla Siae”. La cosa più grave, spiegano dalla Società degli Autori e degli Editori, “è l’accusa di essere monopolisti, peccato che Sky tratti molto meglio gli autori in Germania e la società collettiva tedesca, come tariffe e come comportamento. Perché in Germania – affermano dalla Siae – il contratto è scaduto dicembre 2016 e Sky ha continuato a pagare”. Da qui la contro accusa: “Il dubbio è che ci sia da parte di Sky un tentativo strumentale per pagare meno il diritto di autore e per discriminare gli autori italiani rispetto ai tedeschi. Questo – concludono – è un pericolo molto grave, perché senza diritto di autore non c’è libertà’”.
Stiamo forse parlando di cifre impressionanti?!
No.
Si tratta di somme ridicole, nell’economia complessiva dell’industria audiovisiva e culturale nazionale. Il giro d’affari complessivo del sistema televisivo italiano è nell’ordine di 9 miliardi di euro (dato esercizio 2016), con un incremento del 6,5 % rispetto all’anno precedente.
Ridicole, nell’economia specifica di un gruppo come Sky Italia. Si consideri che, secondo Mediobanca (si veda il “Focus R&S sul settore tv 2012-2017”, presentato il 25 gennaio 2018), le stime di consuntivo per il 2017 prevedono che Sky Italia sia in prima posizione per ricavi nazionali. Nell’esercizio 2016, Sky ha registrato ricavi per 2.770 milioni di euro (a fronte dei 2.781 milioni di Rai, e dei 2.578 milioni di Mediaset).
Un’interpretazione malevola potrebbe leggere, dietro le quinte del comportamento della piattaforma, una (grande) “battaglia di principio” invocata per una volontà di mero (piccolo) risparmio numismatico. Gaetano Blandini, Direttore Generale della Siae, nel dicembre scorso, aveva dichiarato a “Business Insider Italia” che “Sky dal 1° luglio ha smesso di pagare ogni forma di diritti. È da quel giorno che tentiamo di capire il perché”. Blandini spiegava che sono state inviate decine di lettere a Sky e finanche una diffida ultimativa, e prospettava quindi azioni legali per far avere tutto quel che era dovuto agli autori associati. In questo senso, aveva parlato di “svariati milioni di euro” che mancherebbero nelle casse della società. Blandini aveva evidenziato anche che gli altri editori tv (Rai, Mediaset e La7) pagano regolarmente quanto dovuto, mentre Sky dovrebbe persino dei soldi a Fiorello. Il Dg aveva infine sostenuto, senza peli sulla lingua: “forse vogliono pagare meno, ma non ce lo hanno mai detto”.
Si comprende bene che la presa di posizione di Sky Italia va evidentemente oltre una chance di “risparmio”: intende mettere in discussione il ruolo stesso della Siae nell’economia del sistema culturale italiana.
È anche curioso osservare questo “dietro-front” di Sky Italia, rispetto a dichiarazioni entusiaste di tre anni fa. In effetti, nel 2015 l’Amministratore Delegato di Sky Italia, Andrea Zappia celebrava con entusiasmo l’accordo raggiunto con Siae perché ribadiva “l’impegno di Sky a investire con continuità nel settore audiovisivo”. Il manager spiegava che sarebbe cominciata “una nuova e più stretta collaborazione tra un’istituzione come la Siae, che tutela le opere italiane e i suoi autori, e Sky, una media company che punta da sempre sulla valorizzazione, anche sul piano internazionale, del talento e della creatività italiana… Partnership di questa portata danno un contributo rilevante alla crescita e allo sviluppo dell’industria culturale, un settore strategico per il rilancio del sistema Paese”.
Eppure dal primo luglio 2017, alla scadenza del contratto con Siae, Sky ha smesso di riconoscere alla Società i diritti d’autore (si stima si tratti di circa 20 milioni di euro l’anno), pur continuando a utilizzarne il repertorio.
Lo scontro tra Sky e Siae non comunque suscita l’attenzione di molti giornali, se non de “La Stampa” e del “Corriere della Sera”.
Il quotidiano torinese titola a piena pagina sabato 7 aprile (con richiamo in prima), “Sky contro la Siae. ‘Stop al monopolio dei diritti d’autore’”, con articolo a firma di Marco Lillo.
Domenica 8 aprile il “Corriere della Sera” rilancia, e dedica spazio alla questione, con un lungo articolo di Chiara Maffioletti, il cui titolo ben sintetizza la vicenda: “Siae-Sky, scontro sui diritti d’autore. La società: non pagati dieci milioni di euro. La pay tv: bugie, l’anomalia è il monopolio”.
L’indomani, lunedì 9 aprile viene pubblicata dal “Corriere” una breve lettera di precisazioni del Presidente della Siae Filippo Sugar, che ringrazia “per l’equilibrio e la correttezza dell’articolo”, ma precisa che l’unico “virgolettato” che gli può essere attribuito è: “a questo punto, chiedo a Sky di pagare gli autori e gli editori con le stesse tariffe che paga agli autori tedeschi per l’uso delle opere, e che non discrimini autori ed editori italiani”.
Lunedì 9 aprile, una nuova puntata: ancora l’Ansa dirama un comunicato stampa, firmato dal corrispondente a Bruxelles, che cita non meglio precisate “fonti Ue”: “La nuova legislazione sulla gestione dei diritti d’autore prevista dagli emendamenti del decreto fiscale se, da una parte, riallinea l’Italia alla direttiva Barnier, dall’altra non è sufficiente ad aprire davvero il settore alla concorrenza e a scardinare il monopolio della Siae. Bruxelles è quindi in fase d’attesa, e aspetta che il dossier venga ripreso in mano dal nuovo governo. “Quanto è stato fatto è sicuramente un passo verso la normalizzazione” dell’anomalia della situazione italiana, spiegano all’Ansa fonti Ue vicino al dossier. Le ultime misure sul copyright, che sono sotto analisi da parte della Commissione europea da diversi mesi, “probabilmente mettono l’Italia abbastanza in linea con la direttiva Ue” sulla gestione collettiva dei diritti d’autore ma, affermano le fonti, altrettanto “probabilmente non favoriscono la concorrenza”. Bruxelles guarda infatti con molta attenzione anche all’opinione dell’Antitrust italiana. Per questo, avvertono le fonti, se per ora la Commissione resta in fase di attesa, “il nuovo governo dovrà lavorarci su””.
Immediata la replica della Siae, che utilizza la formula “la notizia è destituita di fondamento”. S’alza il tiro, quindi, e volano finanche accuse di… “fake news”: “questa mattina nostri dirigenti a Bruxelles hanno incontrato dirigenti della Dg Connect della Commissione Europea. Si è parlato anche del dossier sulla questione italiana, e ci è stato confermato che a livello Ue considerano la normativa italiana allineata alla Direttiva Barnier, come peraltro ha dichiarato lo stesso commissario Mariya Gabriel l’estate scorsa a Venezia, dopo l’incontro con il Ministro dei Beni Culturali e Turismo Franceschini”.
La Siae replica così alle indiscrezioni secondo le quali per Bruxelles la nuova legislazione sulla gestione dei diritti d’autore prevista dagli emendamenti del decreto fiscale se, da una parte, “riallinea” l’Italia alla Direttiva Barnier, dall’altra non sarebbe sufficiente ad aprire davvero il settore alla concorrenza e a “scardinare il monopolio” della Siae…
A distanza di meno di tre ore dal dispaccio Ansa, Sergio Battelli, un giovane parlamentare del M5S che pure non rientra tra i “peones”, essendo Tesoriere del (non)partito, annuncia una proposta di legge per “liberalizzare il settore”, con un post su Facebook, “il Movimento 5 Stelle fin dal suo ingresso in Parlamento, ha portato avanti la battaglia per porre fine al Monopolio Siae, istituito con una legge risalente al 1941. Un’era fa. Una normativa che ha evidentemente bisogno di profondi cambiamenti, di essere al passo coi tempi. Con questa proposta di legge, ci proponiamo di concedere, finalmente, agli artisti la libertà di scegliere a chi e a quali condizioni concedere la tutela dei propri diritti. Ciò comporta la possibilità di promuovere veramente le proprie opere, con indubbio beneficio degli artisti emergenti e della diffusione di opere d’arte e di cultura innovative. In questo modo nasceranno start-up interessate ad alimentare un mercato ricco e bisognoso di innovazione”.
Propone Battelli: “La Siae, invece, va trasformata in organo pubblico e di controllo, predisposto a vigilare, come necessario, sulla corretta applicazione delle norme e delle disposizioni relative al diritto d’autore. Questa nuova legislatura non ha affatto cambiato le nostre convinzioni. Come abbiamo già avuto modo di constatare, le finte modifiche della scorsa legislatura non hanno scalfito minimamente il monopolio detenuto dalla Siae. E questo non è più accettabile. Oggi per beneficiare della concorrenza un autore dovrebbe (e potrebbe) rivolgersi ad un operatore estero, ma non è possibile creare una collecting nel nostro Paese. Un paradosso che pone in nostro Paese in una posizione di inferiorità. È urgente linfa al settore, sotto tutti i punti di vista. Nuovi soggetti devono essere messi in condizione di operare liberamente sul mercato italiano, gli artisti devono essere liberi di scegliere a chi affidare le proprie opere, gli operatori devono essere liberi di scegliere a chi affidarsi. La nostra proposta è ambiziosa, scritta per cambiare davvero, non per mettere una toppa, per questa ragione la dobbiamo sostenere con tutte le nostre forze”.
L’indomani, martedì 10 aprile, un altro parlamentare del Movimento 5 Stelle, Dalila Nesci, si associa alla posizione del collega Battelli. Scrive su Twitter: “l @Mov5Stelle, fin dal suo ingresso in Parlamento, ha portato avanti la battaglia per porre fine al Monopolio Siae, istituito con una legge risalente al 1941. Un’era fa. Una normativa che ha evidentemente bisogno di profondi cambiamenti, di essere al passo coi tempi”. E, a sua volta, Battelli torna alla carica, martedì, con un post sul Blog delle Stelle, che riproduce quanto aveva pubblicato lunedì su Fb.
L’iniziativa di Battelli non trova alcuna eco mediale, ma si registra l’eccezione di “SkyTg24”: forse non casuale, essendo a questo punto evidente una qual certa sintonia M5S-Sky versus Siae.
Da segnalare che Siae ha alzato il tiro, nel corso dei mesi, avendo anche depositato vari denunce penali (una per ogni licenza d’utilizzo) contro i vertici Sky, accusati – secondo il Dg della Società Italiana degli Autori ed Editori, Gaetano Blandini – di aver commesso un reato penale, sia non avendo versato alcun diritto d’autore dal 1° luglio 2017, sia di aver continuato a “utilizzare il repertorio Siae senza sottoscrivere le relative licenze”.
Ma chi è il 36enne Sergio Battelli?! Il quotidiano “il Giornale” pubblicava mercoledì 11 aprile un trafiletto caustico definendo così il parlamentare, rispetto alla battaglia contro Siae: “con una terza media in tasca e con un curriculum non esattamente a tema, avendo lavorato per 10 anni in un negozio di animali” (come cassiere).
Sarebbe interessante sapere quali sono le “lobby” che si muovono in questi giorni a Montecitorio, intorno a questa delicata vicenda…
Stupisce il silenzio assordante di tutti gli altri partiti: si comprende che la complessiva situazione politica è inquieta ed il Parlamento ancora in sostanziale “stand by” in attesa del Governo che sarà, ma è piuttosto curioso che nessuno stia intervenendo “in difesa” della Società Italiana Autori Editori…
In effetti, soltanto nel pomeriggio di mercoledì 11 aprile, un parlamentare del Partito Democratico batte un colpo. Il senatore piddino Roberto Rampi (già deputato Pd nella precedente legislatura) risponde direttamente al grillino Sergio Battelli: “la tutela del diritto d’autore nella società della comunicazione in cui siamo è un tema importante e di grande valore anche economico. Senza la tutela del diritto d’autore, non c’è creatività e si impoveriscono i contenuti. Quando sento parlare di liberalizzazione del mercato, come sento fare dal M5S, penso che ci sia confusione e faciloneria. Il diritto d’autore non è una merce”. Secondo Rampi, “gli autori hanno bisogno di più tutela rispetto alle grandi società della rete. I piccoli vanno tutelati dai grandi portatori di interessi che lucrano sulla loro creatività. Ci vuole una giusta di distribuzione dei profitti che arrivi ai lavoratori: chi crea, chi scrive, chi realizza contenuti. La concorrenza non è la bacchetta magica in questo campo come in altri. La liberalizzazione selvaggia nel settore dei diritti connessi (attori e artisti) non ha prodotto risultati concreti di maggior tutela, anzi. Siamo pronti a fare un ragionamento serio sulla efficienza e sulla semplificazione ma partendo da dati veri e non da facilonerie. E stando attenti a quali interessi si tutelano davvero: quelli dei soggetti più deboli, gli autori o quelli dei grandi gruppi. E ricordando che Siae non è una società privata ma ‘è’ gli autori e gli editori stessi. Il suo ruolo pubblico va tutelato, altrimenti salta il sistema. Se servono nuove regole, devono essere a maggior tutela degli autori ed editori che sono parte debole della filiera”. Si osserva però che paradossalmente è proprio il “competitor” attuale di Siae ovvero Soundreef a sostenere di essere l’alfiere dei “piccoli” evocati da Rampi…
Il Ministro tace, essendo… “pro tempore”.
Si attende il nuovo Governo, che immaginiamo dovrà presto mettere mano al “dossier Siae”.
Va anche osservato che la reazione comunicazionale della Siae si è rivelata assolutamente debole, ma forse c’è una strategia di medio periodo dietro una linea così “low profile”: fino a venerdì 13 aprile, nessun comunicato ufficiale nemmeno sul sito web della stessa Società Italiana Autori e Editori. Come se lo scontro da fuoco policentrico non esistesse.
Si ricorda peraltro che entro giugno dovrebbero esserci le nuove elezioni Siae, che giornalisticamente finora sembra non interessino a nessuno, anche se riguardano l’anima creativa di buona parte del sistema culturale italiano.
Soltanto a distanza di una settimana dallo scatenarsi del conflitto (pubblico), ovvero dal comunicato stampa di Sky Italia (diramato venerdì 6), la Società Italiana Autori Editori reagisce, e con la potenza di fuoco che le sue risorse le consentono.
Venerdì 13 aprile, è stata pubblicata una “lettera aperta” a piena pagina (pubblicata a pagamento su “Corriere della Sera”, “Il Sole 24 Ore”, “MilanoFinanza”) firmata da un migliaio di iscritti alla Società Italiana Autori Editori (un’eletta schiera, elencata in ordine alfabetico, che peraltro “rappresenta” soltanto un centesimo dei 90mila tra autori ed editori aderenti alla Siae), tra cui non pochi Premi Oscar (Bernardo Bertolucci, Ennio Morricone, Nicola Piovani, Gabriele Salvatores), che chiedono a Sky di pagare quel che deve.
“Giù le mani dal diritto d’autore. Gli autori italiani stanno assistendo sbalorditi ad un attacco contro i loro diritti. Da mesi Sky ha deciso di utilizzare i contenuti creativi frutto del nostro lavoro senza più corrispondere alcuna remunerazione per il loro sfruttamento, come invece prevede la legge sul diritto d’autore e sull’equo compenso. Non solo. Abbiamo appreso anche che questa emittente sta cercando di utilizzare un’istruttoria contro la Siae, pendente da un anno presso l’Antitrust, per cercare di dare una sorta di legittimazione al suo comportamento contrario al diritto d’autore. Sarebbe grave se l’antitrust aderisse ad un disegno che punta ad azzerare un diritto acquisito che garantisce la libertà degli autori, per favorire gli interessi di gruppi internazionali che cercano di scardinare alcuni principi fondanti dell’Unione europea: e cioè che “la creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo” non sono oggetto di semplificazioni e armonizzazioni forzate, così come vanno tutelate la diversità culturale e il diritto degli autori ed editori italiani di scegliere liberamente se affidare le proprie opere all’estero o gestirle dall’Italia per le utilizzazioni sul territorio nazionale. Se questa strategia dovesse passare, assisteremmo alla incredibile affermazione del paradosso per cui pagando meno autori ed editori si otterrebbe un aumento della produzione culturale. Un insulto per tutti coloro i quali hanno contribuito a portare l’industria culturale al terzo posto nella nostra economia. Un’industria sana e realmente italiana, che è parte fondamentale della storia del nostro Paese e di quella ripresa economica di cui oggi tutti vogliono prendersi il merito. Il diritto d’autore è un diritto del lavoro. Non è merce di scambio per garantire profitti miliardari a chi rifiuta di restituire agli autori quanto stabilito dalla legge”.
I firmatari colgono una questione che abbiamo posto nel corso di questa nostra analisi: quando scrivono della “incredibile affermazione del paradosso per cui pagando meno autori ed editori si otterrebbe un aumento della produzione culturale” affrontano un tema centrale della nuova economia delle industrie culturali nell’epoca della digitalizzazione.
Grazie ad internet, la diffusione di cultura (o comunque certamente di informazioni) cresce enormemente, ma a discapito dell’economia strutturale delle industrie culturali: gli investimenti scemano, la povertà degli autori cresce.
Sky però, in sostanza, non dichiara di voler pagare meno, ma semplicemente vorrebbe pagare diversamente, e ragiona sulla chance di interlocutori alternativi a Siae, in nome di un mercato liberalizzato. La piattaforma sostiene infatti che il perdurante monopolio Siae reprime le chance di sviluppo dell’industria della produzione, ostacolando il libero mercato: un discorso molto più importante, rispetto ad una questioncella di risparmi di qualche milione di euro…
In una loro nota, Nicola Piovani ed Ennio Morricone scrivono: “Il diritto d’autore è una conquista della Rivoluzione Francese. Prima gli autori erano considerati più o meno servitù. Oggi una strana alleanza fra demagogia disinformata e interessi di multinazionali rischia di mettere in crisi il diritto dell’opera dell’ingegno, della creazione artistica. Ma la proprietà di una poesia deve essere protetta come si protegge la proprietà di un bene materiale”.
Mogol, a sua volta, scrive: “La Siae è stata fondata nel 1882 da autori, compositori, editori, tra i quali Giuseppe Verdi, Giosuè Carducci, Edmondo De Amicis, al fine di riscuotere il diritto d’autore, un compenso che permette a coloro che creano cultura di vivere. La cultura popolare è la massima responsabile dell’evoluzione della gente e il compenso a chi la crea è sacro come gli stipendi di qualsiasi lavoratore, per tutti gli autori e soprattutto per i tantissimi autori giovani o meno famosi, che con le loro opere, la loro arte, il loro lavoro contribuiscono a rendere migliore la vita di tutta la nostra comunità”.
Tra martedì 16 e mercoledì 17 aprile, si registra la presa di posizione di due dei tre maggiori sindacati. Dapprima il Segretario Generale della Uil, Carmelo Barbagallo: “Il diritto d’autore è un diritto del lavoro: la Uil, dunque, è al fianco degli oltre 1.000 autori ed editori che oggi stanno combattendo la battaglia per la tutela di questo diritto, affinché ad esso corrisponda il giusto e dovuto riconoscimento economico. A tutti coloro che non vogliono pagare il diritto d’autore, bisogna ricordare che la creatività e la cultura ‘fanno’ industria, una delle più fiorenti del Paese, e generano ricchezza per le imprese che se ne servono e per l’intera economia. Il valore di questo lavoro, dunque, va riconosciuto anche perché gli autori, affermati o giovani che siano, possano essere messi nella migliore condizione per esprimere e diffondere la cultura italiana nel mondo”. Interviene poi la Cisl, che sostiene che il diritto d’autore “ha lo scopo di tutelare i frutti dell’attività creativa ed intellettuale ed è fondamentale difenderlo. È una garanzia di democrazia e di libertà“. Lo affermano la Segretaria Generale della Cisl, Annamaria Furlan, ed il Segretario Generale della Fistel-Cisl, Vito Vitale, in una nota congiunta, in difesa della Siae: “ecco perché bisogna salvaguardare il lavoro creativo di tanti autori ed editori italiani e la funzione stessa della Siae, che è l’ente pubblico economico preposto alla protezione dell’autore originario dell’opera e di una serie di diritti di carattere sia morale, sia patrimoniale. Il diritto d’autore ha un grande valore sociale e culturale, e colpendolo si indebolisce la possibilità di esprimersi ma anche di produrre ricchezza da parte di tutti coloro che fanno della creatività il proprio lavoro. Per questo, è importante sostenere la battaglia che stanno combattendo gli oltre mille firmatari della lettera ‘Giù le mani dal diritto d’autore’. Garantire il giusto compenso a chi crea con il proprio ingegno, come a qualsiasi altro lavoratore, è un principio sacrosanto da tutelare”. La Cgil – Sindacato Lavoratori della Comunicazione non ha invece diramato alcun comunicato stampa, ovvero non ancora.
Si osserva che, al di là delle pagine “a pagamento” pubblicate sui tre quotidiani, la rassegna stampa e l’attenzione mediale complessiva non è stata granché significativa. Eppure si tratta di una questione centrale nell’economia del sistema culturale italiano.
Auguriamoci che il prossimo Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, così come chi terrà il dicastero dello Sviluppo Economico, sappiano comprendere che è urgente un’azione energica per arginare questa deriva. Il problema è al contempo di economia culturale e di ecologia mediale.
Lo scontro tra Siae e Soundreef rientra in una battaglia senza dubbio rilevante in termini economici.
Si ricordi che nel 2016 Siae ha fatturato quasi 800 milioni di euro (per la precisione, 796 milioni), ed ha distribuito 637 milioni di euro, con una provvigione media del 15 %.
La piccola “concorrente” Soundreef (ex “start-up” lanciata da Davide D’Atri) ha un giro di affari di pochi milioni di euro: può finora vantare una micro “fettina” del mercato, ma evidentemente punta alla “grande torta”. Nel proprio interesse d’impresa (legittimo), prima che nell’interesse degli 11mila autori che vanta, a fronte dei 90mila che aderiscono a Siae.
La vicenda è complessa e non tutti i “retroscena” sono stati svelati: per esempio, alcuni ben informati sostengono che “dietro” il nemico giurato n° 1 della Siae, ovvero la piccola Soundreef, che si vanta di incarnare “Davide” contro “Golia” (ma talvolta l’apparenza inganna?!), si celino alcuni esponenti del Partito Democratico che mal sopportavano il convinto sostegno del Ministro Dario Franceschini a favore della Società Italiana Autori Editori e del suo perdurante monopolio… Quel che è certo è che Soundreef è una società di diritto britannico, con sede a Londra, e – per quanto si possa essere “europeisti” – questo status non depone proprio a suo favore almeno in materia di trasparenza e finanche di italianità.
La battaglia intorno alla Siae è anche – e forse soprattutto – ideologica, mediologica, e politica, oltre che “semplicemente” economica. È veramente una questione di libertà e di democrazia, oltre che di cultura.
*Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult