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“Soffriva terribilmente per le fratture infertegli”. Il processo a Stefano è decollato

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Martedì il processo per la morte di mio fratello è decollato. Abbiamo sentito testimoni nuovi mai ascoltati prima che hanno descritto il calvario di Stefano Cucchi. Abbiamo ascoltato le loro parole sincere e talvolta arrabbiate.
Abbiamo ascoltato testimoni che ci hanno raccontato di aver riferito a suo tempo, ai Pubblici Ministeri di allora, di aver saputo da alcuni detenuti che Stefano aveva accusato i Carabinieri di quell’orrendo e vigliacco pestaggio del quale portava addosso i segni sempre più evidenti col trascorrere delle ore.

Io e Fabio ci siamo guardati negli occhi. Scriviamo insieme queste riflessioni. La strada da percorrere è ancora lunga ma questo processo, quale che sarà la sentenza finale, parla di verità e non di finzione.
Non parla di caduta dalle scale. Non parla di lesioni lievi.
Soprattutto non parla di quel paziente arrestato e gravemente ferito come di un cafone.
Già proprio di un cafone come lo avevano descritto i pubblici ministeri di allora.
Soffriva terribilmente per le fratture infertegli. Aveva male dappertutto. Emetteva dei gemiti. Si lamentava molto ma con discrezione. Chiedeva degli antidolorifici. “Non si può certo esser cordiali quando si soffre in quelle condizioni”. Questo hanno detto i medici che lo visitarono allora al centro clinico di Regina Coeli.

Ilaria è un pò in crisi. È stata un’udienza pesante. Aveva gli occhi lucidi mentre ascoltava ed anch’io avevo un groppo in gola. Pensavo a quanto era stato difficile se non impossibile fare emergere quelle verità nell’altro processo.
Sono stanco ed anche un pò arrabbiato. Sarebbe stato cosi semplice e naturale vederla
Come sarebbe stato altrettanto semplice e naturale per i magistrati dell’udienza di convalida del suo arresto, vedere le condizioni del volto di quel detenuto. Doveroso direi.
La Giustizia la debbono fare i magistrati prima ancora degli avvocati. Quando si esercita il potere giudiziario in modo corretto, senza forzature o deviazioni, senza alcuna preoccupazione diversa da quella dell’essere fedeli in tutto e per tutto alla propria nobile funzione, tutto diventa più naturale e fluido. Responsabilità deve essere la parola d’ordine.

Quando venimmo ricevuti dal Capo della Polizia Gabrielli ci premurammo di fargli sapere  che avevamo massima fiducia in lui e nell’Istituzione che rappresentava. Eravamo appena stati ricevuti dal Ministro della Giustizia Orlando per consegnargli le 250mila firme raccolte per sollecitare l’approvazione della legge contro la tortura.
Dicemmo chiaramente a Gabrielli che i Poliziotti che lavorano sotto di lui non dovevano averne paura perchè la stragrande maggioranza di essi ne è assolutamente immune.
Lo dicemmo e lo pensiamo tutt’ora.
Uscimmo da quel colloquio rasserenati ed onorati di aver conosciuto quella persona.

Io sono una “vittima di mestiere” e ne sono orgogliosamente consapevole.
La mia carriera di vittima è stata proprio una carriera forzata dal tormentato iter processuale che ha avuto la morte di mio fratello.
Sono una vittima di mestiere perchè il morto è mio fratello e nessuno si sarebbe dovuto permettere di togliergli la vita.
Ho visto le promozioni riconosciute ad alcuni condannati della Diaz.
Come si può non condividere l’amarezza del PM Zucca?
Sarà perché io sono una vittima di mestiere ma non mi farebbe certo piacere che i responsabili della morte di Stefano venissero un giorno promossi o premiati come se nulla fosse accaduto.

Come darle torto?
Niente accuse generalizzate ma solo un sano e sacrosanto diritto di critica ed autocritica per un mondo migliore


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