Insieme ai beneficiari del Sostegno all’inclusione attiva e ad alcune iniziative regionali, la nuova misura ha raggiunto nei primi mesi del 2018 circa 870 mila persone, ovvero il 50% del target. Per il presidente dell’Inps è un risultato rilevante. Rossini (Alleanza contro la povertà): “I dati ci dicono che il Rei funziona. Ora più risorse”
ROMA – All’Inps e tra gli esponenti del governo uscente c’è ottimismo. Il piano contro la povertà messo a punto dalla scorsa legislatura sembra funzionare. Lo dicono i dati presentati da Tito Boeri, presidente dell’Istituto nazionale della previdenza sociale, che questa mattina ha fatto il punto sia sul primo trimestre del neonato Reddito di inclusione, sia sul Sostegno per l’inclusione attiva che si esaurirà del tutto nel 2018.
Secondo quanto riportato da Boeri, analizzando i dati dell’Osservatorio statistico sul reddito di inclusione, ad oggi i due strumenti hanno raggiunto il 50 per cento della platea potenziale individuata dal Rei. Secondo i dati pubblicati oggi, infatti, ai 110 mila nuclei famigliari raggiunti in soli tre mesi dal Rei (e poco più 316 mila individui), vanno aggiunte altre 119 mila famiglie che rappresentano oltre 476 mila persone del Sia (dati al sesto bimestre del 2017). Per un totale di oltre 229 mila famiglie in povertà assoluta, ovvero più di 793 mila persone. Se aggiungiamo anche i beneficiari di alcune misure regionali (come quelle attive in Puglia, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia) si arriva a 251 mila famiglie e 870 mila persone.
“Il Sia aveva l’obiettivo di raggiungere 500 mila famiglie corrispondenti a circa 1,8 milioni di persone – ha spiegato Boeri -. Siamo attorno al 50 per cento dell’obiettivo di questa misura. Un risultato rilevante perché a livello internazionale le misure di contrasto alla povertà riescono a raggiungere tra il 40 e l’80 per cento delle platee di riferimento. Non ci sono schemi di contrasto alla povertà che raggiungono il 100 per cento dei potenziali beneficiari e in paesi che hanno un’esperienza accumulata negli anni, difficilmente si va molto oltre il 50 per cento”.
Il Rei non doveva sostituire il Sia? Sì, ma l’avvicendamento sarà graduale. Ad oggi, infatti, le due misure coesistono. Per questo, il dato del 50 per cento sostenuto da Boeri è corretto. Il Rei, partito con la raccolta delle prime domande l’1 dicembre del 2017, è in erogazione dal 2018 e il beneficio dura 18 mesi. Per il Sia, invece, le ultime domande sono state raccolte a fine ottobre 2017 e dato che il beneficio dura 12 mesi, chi l’ha ottenuto, potrà mantenerlo fino ad esaurimento, ovvero a fine ottobre 2018. Fino a quella data le due misure continueranno ad esistere l’una affianco all’altra, anche se non sarà più possibile richiedere il Sia. Con il Rei “abbiamo fatto la scelta gestionale di dare la priorità alle persone che non ricevevano il Sia – ha specificato Boeri -. Le persone che ricevono il Sia hanno già un aiuto, anche importante”.
Meglio il Sia o il Rei? Andando a guardare i dati dei beneficiari, non sembrano esserci dubbi. In soli tre mesi, infatti, il Rei ha raggiunto il Sia come numero di beneficiari. Il Rei supera il Sia per quanto riguarda l’erogazione monetaria media: se il reddito di inclusione sfiora i 300 euro di media per nucleo (si va dai 327 euro circa della Campania ai 225 della Valle D’Aosta), il Sia si ferma a 250 circa come media (e nessuna regione supera i 260 di media). Il Rei, quindi, si conferma una misura più “generosa” anche quando si tratta di famiglie numerose. Dai primi tre mesi di Rei, però, emergono altri aspetti interessanti. Sebbene la mappa dell’Italia del Rei sia sovrapponibile con quella del Sia per quanto riguarda le regioni con il maggior numero di beneficiari (Campania e Sicilia restano in cima alla classifica), dai dati presentati da Boeri è emerso che tra gli attuali beneficiari il Rei risulta essere “una misura strettamente correlata allo stato di disoccupazione – ha spiegato Boeri -, anche se non è una misura che dipende da questo e non lo sarà a partire da luglio, quando diventerà davvero universale”. Il Rei, inoltre, “è andato a dare un aiuto soprattutto alle famiglie monocomponente – ha aggiunto Boeri – e con persone disoccupate con più di 55 anni. Quindi è andato a tappare un altro buco presente nel nostro sistema di protezione sociale di base”. Il Rei supera il Sia anche per quanto riguarda i nuclei con almeno un componente disabile. Nel Sia sono il 12,9 per cento, tra i beneficiari del Rei il 19,6 per cento.
Si tratta davvero di un successo? Alla conferenza stampa tenutasi oggi nella sede Inps di Palazzo Wedekind tutti sembrano essere d’accordo su un dato: il Rei è un successo. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e lo ha ripetuto anche Roberto Rossini, presidente delle Acli e portavoce dell’Alleanza contro la povertà che da anni incalza Palazzo Chigi sul tema. “Dopo tre mesi credo si possa dire già oggi che il Rei funziona. E non era scontato”, ha detto Gentiloni. Anche per Rossini, “i dati pubblicati questa mattina ci dicono che il Rei funziona. Lo strumento ci sembra quello giusto. Si tratta di incrementarlo, ampliarlo e dare più strumenti perché ci sia un maggior raggiungimento di tutta la platea e anche un assegno un po’ più cospicuo rispetto a quello attuale. Non è più un problema qualitativo, ma quantitativo, di risorse da dare, sia come beneficio economico, ma anche da dare al welfare locale, perché la sfida si gioca soprattutto lì”. Della “seconda gamba” del Rei ha parlato anche il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti. “Oggi abbiamo dei segnali che vanno verificati nel tempo, ma ci dicono che i risultati sono coerenti con l’impianto – ha detto a margine del sul intervento -. Comuni, regioni, centri per l’impiego, terzo settore e ministeri, tutti insieme stanno lavorando per creare la seconda gamba, quella della presa in carico dei servizi”. Dopo anni di sperimentazioni (basti pensare alla social card sperimentale, senza spingerci oltre verso la sperimentazione Turco) e di lavoro sul Sia, però, ad oggi ci si deve ancora accontentare di esultare solo per i dati che riguardano il numero dei beneficiari raggiunti. Mancano ancora all’appello, infatti, dati e analisi che dimostrano l’effettiva fuoriuscita (per chi può) dalla sfera della povertà. Un dato difficile da stimare, spiega Boeri. “È molto difficile monitorare l’uscita verso le diverse condizioni – ha aggiunto il presidente dell’Inps -. E’ una delle ipotesi su cui stiamo lavorando. Non so quanto riusciremo ad essere precisi nel dire dove vanno queste persone, però guardare ai flussi mi sembra giusto e importante”. (ga)