#Indagatecitutti è il titolo dell’appello promosso dal quotidiano La Nuova Sardegna. Nella redazione di Olbia, sono arrivati i carabinieri, su mandato della procura di Tempio Pausania, che hanno rovistato nei cassetti della cronista Tiziana Simula, e hanno portato via computer e cellulare alla ricerca delle sue “fonti”. Episodi simili si erano già consumati ai danni di Marco Lillo del Fatto quotidiano, di Giampaolo Paolucci de La Stampa, di Nicola Borzi del Sole 24 ore, di Rosaria Federico de La Città di Salerno, di Giovanni Scarpa de la Provincia Pavese e l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Giornaliste e giornalisti impegnati a ricostruire storie di mafia, di camorra, di corruzione, di reati finanziari, di traffici abusivi di rifiuti. Tutte e tutti impegnati su quel fronte del “pubblico interesse e della rilevanza sociale” che la Corte europea dei diritti umani ritiene il requisito essenziale che “obbliga” il cronista ad anteporre il diritto del cittadino ad essere informato rispetto alla stessa tutela della privacy, esattamente quanto stava accadendo a Olbia.
E chi sarebbe il pubblico ufficiale? La cronista? Diteci che si tratta di uno scherzo o intervenga d’urgenza il Consiglio Superiore della Magistratura. La figura del giornalista “pubblico ufficiale” appartiene ai regimi, contrasta con l’articolo 21 della Costituzione che nega la sola ipotesi che possano sussistere limitazioni alla libertà di informazione. Se i cronisti fossero “pubblici ufficiali” dovrebbero chiedere autorizzazioni preventive e permessi prima di indagare sul potere e sui poteri?
Quanto è successo a Olbia riguarda non solo Tiziana Simula e la sua redazione, ma tutti i giornalisti italiani e il diritto all’informazione che appartiene ad ogni cittadino. Per queste ragioni è giusto reagire e pretendere l’intervento delle autorità istituzionali e di garanzia costituzionale. Nel frattempo aderiamo e facciamo nostro l’appello #indagatecitutti.
Fonte: “Il Fatto Quotidiano”