Con un congresso potrebbe tornare. Zanda attacca il segretario: “Serve solo a prender tempo”. E trova consensi nel Pd
Di Alessandro Cardulli
Rieccolo il vero Renzi Matteo, quello che con il sorriso sulle labbra dopo aver detto a Enrico Letta “stai sereno”, gli impose di consegnargli le chiavi di Palazzo Chigi. Ora, dopo essere stato il responsabile numero uno della sconfitta del Pd, non potendo evitare la marea montante contro di lui per come ha gestito il partito, ridotto ai minimi termini, “costretto”, di fatto, la minoranza ad andarsene e a costruire una nuova casa, l’Mdp, mettendo ai margini, a partire dalle candidature, chi non se la sentì di rompere, ha ideato un trappolone per mantenere intatto il suo potere. Lui annuncerà in conferenza stampa che “lascia la guida del Partito, si andrà ad un congresso”, ma dimentica di dire quando e soprattutto che non si ripresenterà. Così avverrà ma al termine della conferenza non consente domande ai giornalisti e se ne va. Sente odor di bruciato Luigi Zanda, presidente dei senatori del Pd, non l’ultimo arrivato, e prende una durissima posizione. “La decisione di Matteo Renzi di dimettersi e contemporaneamente rinviare la data delle dimissioni non è comprensibile. Serve solo a prendere ancora tempo – afferma il senatore. Le dimissioni di un leader sono una cosa seria, o si danno o non si danno. E quando si decide di darle, si danno senza manovre”.
Il presidente dei senatori Pd scopre gli altarini
Zanda, come si dice, scopre gli altarini. Renzi, infatti, a tambur battente aveva convocato una conferenza stampa mentre dall’interno del Pd arrivavano alle sue orecchie, “voci” che chiedevano, di fatto, se non le sue dimissioni, perlomeno un affiancamento al suo ruolo di segretario, sempre più padrone assoluto del partito, sostenuto dai fedelissimi del cerchio magico che accompagna le gesta del signorotto di Rignano. In parole povere una sorta di comitato di “reggenti”. Al solo sentir pronunciare questa parola si racconta sia stato preso da un attacco d’ira. Con i suoi una consultazione rapida per definire modi e tempi di rispondere all’offensiva, alle critiche sempre più forti alla sua gestione del partito e convocazione di una conferenza stampa per dare l’annuncio che mollava, lasciava la guida del partito, rimaneva un semplice senatore. L’incontro con la stampa era annunciato anche se non ufficialmente per le ore quindici. Renzi avrebbe fatto una comunicazione. Passavano le ore, i giornalisti attendevano. L’appuntamento veniva ufficialmente fissato per le ore 18.
L’attacco ai “caminetti”, a chi chiede “reggenti” che affianchino il segretario
C’era ancora da attendere, qualcosa andava ancora messo a punto. Finalmente l’ex premier fa il suo ingresso in sala conferenze, giacca e cravatta per l’occasione. In realtà non si è trattato di una vera conferenza stampa, ma di un attacco a chi si stava permettendo di parlare di “reggenti” da affiancare al Matteo. Si spiega così l’attacco durissimo ai “caminetti”, a possibili reggenti. Diceva Renzi: “è ovvio che lasci la guida del Pd dopo questo risultato, e ho già chiesto a Orfini di convocare l’assemblea per aprire la fase congressuale al termine della fase di insediamento del Parlamento e della formazione del nuovo governo”. E sarebbe proprio l’Orfini a gestire la fese congressuale. “Non credo che sia possibile evitare un confronto vero dentro il Pd su ciò che è accaduto in questa campagna elettorale, in questi mesi, in questi anni. Sarà il caso – proseguiva – di fare un congresso serio e risolutivo, non uno che si apre e non finisce mai, ma uno che permetta alla leadership di fare quel per cui è stato eletto”. Parlava di un “segretario eletto con le primarie”.
L’ex premier si autoelogia: abbiamo fatto un lavoro strepitoso
“Come saprete e come è doveroso mi pare che abbiamo riconosciuto con chiarezza la sconfitta netta che ci impone di aprire una pagina nuova all’interno del Pd. Siamo orgogliosi del nostro straordinario lavoro di questi anni, un lavoro strepitoso quello che abbiamo fatto ma contemporaneamente è una sconfitta altrettanto chiara ed evidente”. Annunciava che farà il senatore semplice, “il senatore di Firenze, Scandicci, Signa e Impruneta”. Ancora: “Mi sento garante di un impegno morale politico e culturale: abbiamo detto in campagna elettorale no a un governo con gli estremisti e noi non abbiamo cambiato idea, non stavamo scherzando” e ricorda tre elementi che “ci separano da Salvini e di Maio, il loro antieuropeismo, l’antipolitica e l’utilizzo dell’odio verbale. Se siamo mafiosi, corrotti, impresentabili, con le mani sporche di sangue, sapete che c’è? Fate il governo senza di noi, il nostro posto è all’opposizione”. Poi l’attacco ai “caminetti” contro cui il Pd è nato e le forze antisistema. “Non diventeremo mai stampella per le forze antisistema, magari –afferma – con decisione prese a porte chiuse”. E per chi non avesse capito ribadiva “no all’inciucio, no a caminetti ristretti, no ad ogni forma di estremismo”. E ribadiva “fate il governo senza di noi”. Parlava alle minoranze, ma anche lanciava un avvertimento al Presidente della Repubblica che deve affrontare una situazione di grande difficoltà non essendoci una maggioranza per dar vita al governo del Paese. Conclude Zanda nella dichiarazione fortemente critica nei confronti del segretario e che ha trovato consensi in esponenti di primo piano del Pd: “In un momento in cui al Pd servirebbe il massimo di quella collegialità che è l’esatto opposto dei cosiddetti caminetti, annunciare le dimissioni e insieme rinviarne l’operatività per continuare a gestire il partito e i passaggi istituzionali delle prossime settimane è impossibile da spiegare”. “Quando Veltroni e Bersani si sono dimessi – ricorda Zanda – lo hanno fatto e basta. Un minuto dopo non erano più segretari”. Ma questo non fa parte dello stile di Renzi Matteo. Ammesso che si possa parlare di stile.