Ieri la baraonda causata dai risultati elettorali ha sommerso tutto. Dati, opinioni, ipotesi e trame, imperavano sulle prime pagine dei giornali, nelle trasmissioni televisive e nel web. Dunque, l’informazione dedicata ad altro è passata in sordina e una notizia assurda, quasi irreale, annunciava la morte a Firenze di un cittadino di origini senegalesi di 54 anni, Idy Diene.
«Un uomo, un pensionato italiano – annunciava la notizia – in preda al desiderio di suicidio, invece di colpirsi e di farla finita, ha deciso di sparare al primo passante che avrebbe incontrato per strada».
Quel passante, era proprio Idy Diene. «Solo poco tempo fa abbiamo dovuto soccorrere altri fratelli africani colpiti da un’arma da fuoco – grida la voce di una persona accorsa alla manifestazione per ricordare Idy –, oggi un altro fratello è morto senza motivo. Qualcosa non va!», afferma disperato: «qui in Italia qualcosa non va!»; l’uomo che urla diperato è il rappresentante della comunità senegalese di Firenze, Pape Diaw.
Siamo abituati, ormai, a vedere in tv e leggere sui giornali le tragedie che affliggono il nostro pieneta: in Siria ogni giorno muoiono bambini, donne, anziani; in Africa si perde la vita per la mancanza di acqua, di cibo, o per malattie che in Italia sarebbero facilmente curabili. I braccianti (i nuovi schiavi) che lavorano nei nostri campi, vessati da caporali (più corretto chiamarli aguzzini) che possiedono le loro vite. Eppure, l’assuefazione ai disastri quotidiani, scandisce la nostra giornata tra impegni da onorare e interstizi da soddisfare.
«Ricordo – racconta la scrittrice Edith Bruck sul mensile Confronti, oggi una delle ultime testimoni viventi della Shoah, perché deportata quand’era bambina ad Auschwitz – che quando facevano vedere le immagini televisive della tragedia nel Biafra non riuscivo a mangiare, sentivo dentro di me un “senso di colpa” e una forte empatia verso quei bambini, quelle donne e quegli uomini martoriati dalla fame e dalla siccità. Oggi sono cambiata: quando le immagini televisive raccontano di altre tragedie, malgrado il dolore e la sofferenza provocata da quei servizi giornalistici, riesco a mangiare. Questa vita mi ha cambiata. È come se fossi stata “vaccinata” alle tragedie. Un’assuefazione all’informazione di cronaca e al dolore che ritengo preoccupante per tutta la società. Auschwitz – prosegue Bruck – in tutta la sua tragedia e brutalità, ha saputo insegnarmi alcuni valori che porto con me: ho imparato il rispetto e la non violenza… paradossalmente quel luogo di brutalità e di sofferenze è stato una palestra dover poter interiorizzare valori etici e morali. Quando i nostri aguzzini, anche ragazzini quindicenni, ci sorvegliavano e sputavano addosso pensavo, nel profondo, che invece si sarebbero dovuti vergognare per ciò che stavano facendo; e che non dovevo essere io a vergognarmi per quelle offese. Quelle persone, con le loro azioni, stavano perdendo la loro umanità».
La notizia di ieri è risuonata diversa, ed è stata recepita, dai più attenti, come devastante, come una inesorabile débâcledei nostri tempi, come una pericolosa spirale di violenza; come se la «banalità del male» messa in atto nel passato e nella totale indifferenza di molti, stesse riaffiorando.
Proprio a pochi giorni dai tragici fatti di Macerata, ieri un’altra notizia scuote, stupisce, mortifica: un uomo, «in preda a depressione e desideroso di suicidarsi, cambia idea», così, forse per paura di mettere in atto quel gesto, forse per un naturale attaccamento alla (propria) vita, o forse per incapacità, o forse, forse, forse… «Decide – così racconta la giornalista del Gr – di uccidere il primo passante incontrato per strada, per ottenere – prosegue la surreale notizia – il carcere a vita», perché quell’uomo era depresso per via di «un debito di 30 mila euro». Dunque, qualcuno avrebbe dovuto pagarne il fio, ma al posto suo… «Non era nelle intenzioni (del pensionato, ndr) un omicidio di stampo razzista», sono le parole dichiarate alla polizia durante l’interrogatorio. Dopo il Gr, un’altra trasmissione raccoglie commenti degli ascoltatori, commenti a caldo. «Cavalcare la preoccupante deriva razzista è stata una trovata elettorale, così come lo è stato l’allarme lanciato per la nuova deriva fascista, dal momento che i movimenti di estrema destra come Casa Pound e Forza Nuova hanno ottenuto pessimi risultati elettorali».
Qualcuno, poi, fortunatamente, ricorda e con preoccupazione la dannosa campagna elettorale portata avanti da Matteo Salvini in questi anni, dove «prima vengono gli italiani», e poi i «clandestini».
Tutti zitti, allora.
L’omicida non è razzista, perché prima di incontrare Idy dichiara di «non aver voluto sparare a una madre di origini africane insieme alla sua piccola figlia». «Non è razzismo» assicura anche la procura, mentre la comunità senegalese protesta e causa disordini in piazza urlando e chiedendosi: «perché quell’uomo ha deciso di colpire proprio il giorno dopo la vittoria dei “fascisti”?».
Idy Diene era un uomo, un cittadino residente in Italia e originario del Senegal. Era un venditore ambulante regolare ed è stato ucciso a colpi di pistola sul ponte Vespucci di Firenze per puro caso, perché si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato da Roberto Pirrone, un pensionato italiano di 65 anni. Questo è stato. La comunità senegalese non ci sta e ricorda che l’omicida prima di Idy ha incontrato molte altre persone sul suo cammino.
Al corteo promosso per celebrarne la memoria, e che ha attraversato tutto il centro storico, hanno preso parte l’assessora al welfare Sara Funaro e l’imam di Firenze Izzeddin Elzir. Oggi Elzir nel suo profilo facebook, pubblicando la foto di Idy, ha postato il suo saluto all’uomo «Pace alla tua anima fratello», e poco dopo è arrivato l’omaggio del professor Valdo Spini, già ministro della Repubblica italiana: «Caro fratello, che la tua anima riposi in pace».
L’omicidio di ieri ha riaperto una ferita nella comunità senegalese fiorentina, già vittima di una strage sette anni fa. Il 13 dicembre 2011, due senegalesi furono uccisi da un estremista di destra, che si suicidò perché inseguito dalle forze dell’ordine. Due casi, distanti nel tempo, ma accomunati dallo stesso male.
Stiamo attraversando un periodo delicato, ci possono essere ancora d’aiuto le parole di Edith Bruck.
«L’uomo non impara, diceva mia madre, perché non fa altro che “segare l’albero dove vive”. Questo è ciò che stiamo facendo ora, e sin dalle nostre origini, da Adamo ed Eva in poi. La storia è disseminata di morti, camminiamo sui morti che poi ci lasciamo alle spalle, e la maggior parte sono vittime innocenti. L’uomo è cieco, senza coscienza. Oggi, a cosa diamo valore, mi chiedo? Non diamo più il giusto valore alla vita, al pezzo di pane che possiamo mangiare, al fatto di avere un letto dove poter dormire e che molti non possono avere. Assistiamo all’epoca del disprezzo, un disprezzo etico e morale. Non ci interroghiamo più su cosa sia la vita. Una vita che, in effetti, può essere faticosa, difficile, ingiusta. La vita è una lotta. Se ci pensate bene, però, non abbiamo niente di meglio. Forse è il dono più grande che si può ricevere. C’è qualcosa “di guasto” in questo mondo e francamente non vedo rimedi se non saremo noi i primi a porvi rimedio».
Fonte: Riforma.it