Le mafie che regnano nei campi

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di Marco Omizzolo

In Italia, paese col maggior numero di prodotti agricoli tutelati al mondo, le mafie continuano a fare affari d’oro radicandosi nella sua filiera agricola sino a quasi monopolizzarne alcuni settori.
Gian Carlo Caselli e Gian Maria Fara, nell’ultimo rapporto Agromafia dell’Eurispes, dichiarano che la mafia “condiziona il mercato, stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del nostro vero o falso made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding”. E questo nonostante alcune importanti operazioni di polizia.
A fine settembre del 2017, ad esempio, è stato colpito il clan Ventura di Vittoria, in Sicilia, famosa per il suo mercato ortofrutticolo, grazie alla Procura Distrettuale Antimafia di Catania, con due operazioni e circa venti arresti. Le mafie si radicano nella logistica, nel commercio, nella grande distribuzione organizzata, si specilizzano nelle truffe ai fondi europei, nella sofisticazione, entrano nei grandi mercati ortofrutticoli e usano il caporalato e la tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento lavorativo per gestire rapporti di lavoro e fatturare milioni di euro.
L’ultima operazione di polizia riguarda la mafia di Gela, in Sicilia, in particolare il clan Rinzivillo e i suoi affari condotti a Roma, nel Nord Italia e in Germania. Attraverso fatture gonfiate, forniture di ortaggi mai ordinati, prezzi superiori a quelli pattuiti, i boss siciliani si sarebbe imposti agli imprenditori del mercato agroalimentare romano di Guidonia facendolo diventare il centro dei loro affari agromafiosi. È un sistema scoperto dalle Procure di Roma e Caltanissetta, coordinate dalla Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, che ha portato alla custodia cautelare di 37 persone e al sequestro di beni e società per oltre 11 milioni di euro.
In questo caso si va oltre i confini nazionali. In Germania, a Colonia e a Karlsruhe, i Rinzivillo hanno attivato una cellula criminale grazie a contatti con il latitante di ‘Ndrangheta Antonio Strangio, titolare del ristorante “Da Bruno” dove nell’estate del 2007 avvenne la strage di Duisburg.
Non è dunque un fenomeno marginale o periferico. Le agromafie si trovano al Sud come al Nord del Paese. Nei campi agricoli del Basso Polesine, a Rovigo, ad esempio, un lavoratore veniva obbligato a lavorare 12 ore al giorno per appena 150 euro al mese da parte di due imprenditori agricoli bangladesi che lo impiegavano senza giorni liberi, pause e sotto continue minacce e ritorsioni.
È una mafia astuta, intelligente, resiliente. Il caporalato, ad esempio, ha assunto una nuova conformazione, tanto che alcuni imprenditori e categorie datoriali lo considerano indispensabile alla loro attività. È accaduto a Bari dove alcuni padroncini hanno manifestato contro la nuova legge sul caporalato che introduce la responsabilità penale del datore di lavoro, il sequestro e la confisca dell’azienda.
È un ulteriore cedimento di una parte del sistema imprenditoriale all’illegalità e allo sfruttamento considerato espressione di un carattere strutturale del capitalismo contemporaneo. Il caporalato è invece un reato che denota un agire e una mentalità mafiosa, spesso sedimentata attraverso pratiche di reclutamento e sfruttamento che conducono alla violazione della dignità umana. Il caporale e il padrone sono un’associazione a delinquere e i metodi di reclutamento e impiego sono fondati sulla violenza.
Chi ritiene questo fenomeno marginale non fa o non vuole fare i conti con la realtà. In Italia ci sono, secondo l’ultimo rapporto Agromafie e Caporalato della Flai CGIL (Federazione Lavoratori Agrindustria), circa 450 mila persone che vivono condizioni di sfruttamento lavorativo solo in agricoltura e di questi ben 100 mila condizioni para-schiavistiche.
I dati sono eloquenti quanto drammatici. I clan interessati sarebbero 27 per un fatturato complessivo, secondo l’Eurispes, intorno ai 21,8 miliardi di euro. Non solo caporalato e sfruttamento però. Milioni di euro stanziati dai Fondi europei per l’agricoltura vanno nelle tasche delle mafie e non invece agli agricoltori onesti. La burocrazia associata ad una politica incapace di governare questi processi finisce per sfavorire le imprese che coltivano i terreni confiscati alle mafie mentre il mancato automatismo tra confisca di suoli e blocco dei fondi agevola i clan che, in alcuni casi, continuano a percepire denaro anche dopo la perdita del terreno. A questo banchetto siedono tutte le mafie, a volte anche straniere, con il loro stuolo di avvocati, commercialisti e consulenti compiacenti.
A tutto questo si aggiunge il traffico internazionale di esseri umani a scopo di sfruttamento lavorativo che porta in Italia centinaia di migliaia di donne e uomini originari dell’Africa subsahariana, India, Bangladesh, Pakistan, Libia e di molti altri paesi, al solo scopo di lavorare come schiavi nelle nostre campagne.
Un’interessante operazione di polizia è stata condotta nel settembre scorso a Latina su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma che ha coinvolto 37 personaggi – tutti indagati –  ritenuti responsabili di associazione a delinquere con ramificazioni nella Capitale, finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cittadini del Bangladesh, India e Pakistan, nonché di contraffazioni, falsi ideologici e di aver indotto in errore pubblici ufficiali adibiti al rilascio di nulla osta d’ingresso, visti e di permessi di soggiorno.
I migranti, per ottenere la richiesta nominativa da parte del datore di lavoro ed entrare in Italia, pagavano tra i 5.000 e i 15.000 euro salvo poi cadere vittime di violenze e ricatti da parte di caporali che li obbligavano a lavorare nelle campagne senza alcuna tutela. L’associazione si avvaleva di datori di lavoro compiacenti che risparmiavano sul costo del lavoro.
Così le mafie “dei padroni e dei padrini” si espandono nell’agricoltura italiana, nonostante i negazionisti e chi continua ad affermare che colpire caporali e trafficanti significherebbe impedire agli imprenditori agricoli di lavorare e produrre beni d’eccellenza.

(1 – continua)


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