Nelle ultime due settimane [tra fine gennaio e inizio febbraio, NdR], in occasione della presentazione delle nuove linee guida da parte degli Stati Uniti sugli armamenti nucleari, Trump ha pronunciato un belligerante discorso sullo stato dell’Unione e, soprattutto, l’autorevole rivista Il Bollettino degli Scienziati Atomici ha spostato in avanti le lancette dell’Orologio dell’Apocalisse (Doomsday Clock) di due minuti verso la mezzanotte.
Le lancette del Doomsday non sono mai state così tanto vicine all’”Apocalisse” da quando agli inizi degli anni Cinquanta, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica hanno iniziato a testare smisuratamente le distruttive bombe all’idrogeno. Ora, dopo quasi trent’anni dalla fine della Guerra Fredda, in cui le tensioni nucleari sembravano vivere un’apparente tregua, il timore di una nuova guerra nucleare è reale e forte.
Negli ultimi mesi ho scritto per openDemocracy alcuni articoli specifici sulla questione del nucleare, per lo più riguardanti la situazione della Corea del Nord (si veda, ad esempio, “Trump vs Kim Jong-un: nuclear war by 2019?” [12 ottobre 2017], e “What are the chances of a nuclear nightmare?” [11 gennaio 2018]; e per l’Oxford Research Group, principalmente sulle armi del Regno Unito, sugli sviluppi statunitensi sul nucleare e il suo primo utilizzo (si veda Limited Nuclear Wars – Myth and Reality [29 agosto 2017], e il Nuclear Posture Review: Sliding Towards Nuclear War? [30 gennaio 2018]).
Ma cosa possiamo dire, invece, della situazione attuale? Alla luce di queste pubblicazioni, è stata suggerita da diverse parti l’utilità di una breve guida sulla situazione degli arsenali nucleari. Eccola, in quattro parti. Inizia con un breve excursus storico sul nucleare; elenca gli odierni arsenali nucleari; descrive a grandi linee le buone notizie (perché ce ne sono davvero alcune) nonché quelle cattive; e termina con alcune indicazioni su dove poter ottenere ulteriori informazioni affidabili sull’argomento (visto che ce ne sono innumerevoli). Bisogna infine sottolineare che, nonostante tutte le preoccupazioni, c’è ancora spazio per l’ottimismo.
Un breve excursus storico
La bomba atomica fu messa a punto attraverso il programma di ricerca condotto dagli Stati Uniti, il Progetto Manhattan, che raggiunse il culmine con il primo test nel luglio 1945 e fu seguito, poi, dal lancio delle bombe su Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto). Visti gli standard successivi, si trattava di piccole bombe che esplodevano con una forza al di sotto dei 20 chilotoni, ma che insieme provocarono, comunque, la morte di oltre 200.000 persone. Un chilotone equivale a 1.000 tonnellate di TNT – ma le attuali armi possono avere la forza distruttiva di un megatone o anche più (ovvero 1.000.000 tonnellate di TNT).
Dopo Hiroshima e Nagasaki, gli USA istituirono presto una linea di produzione del nucleare. Gli aerei americani avrebbero potuto distruggere due città giapponesi ogni mese (sebbene molte erano già state rase al suolo a causa di fortissimi bombardamenti convenzionali). In ogni caso, il Giappone si arrese il 15 agosto, ma una linea di produzione fu comunque creata mentre la Guerra Fredda era alle porte. Nel 1948, gli USA godevano, già, di un arsenale nucleare di cinquanta armi.
Nel frattempo, l’Unione Sovietica costruì la sua bomba atomica e la testò per la prima volta nel 1949. Entrambi gli Stati continuarono a sviluppare e testare la bomba all’idrogeno (nota anche come bomba termonucleare o a fusione). Ciò fu seguito da un’incredibile corsa agli armamenti nucleari quali bombe a caduta libera, missili balistici terrestri e lanciati da sottomarini, siluri nucleari, missili antiaerei, missili aria-aria, proiettili di artiglieria, e persino mine nucleari in miniatura trasportabili in uno zaino.
Successivamente, altre nazioni entrarono in campo: il Regno Unito costruì la sua prima bomba nel 1952, seguito dalla Francia nel 1960, e Israele un decennio più tardi. Nel 1974 l’India testò ciò che fu chiamato in maniera elegante un “dispositivo nucleare pacifico”, e a seguire il Pakistan e la Corea del Nord fecero i loro primi rispettivi test nel 1998 e nel 2006.
La corsa agli armamenti nucleari da parte dei Paesi orientali e occidentali è durata dai primi anni ’50 alla fine degli anni ’80, e sembrava quasi incredibile nella sua intensità. In questo senso, è stata l’America che ha fatto maggiormente strada in campo militare ed è stata poi raggiunta dall’Unione Sovietica. Verso la metà degli anni ’80, gli arsenali nucleari mondiali raggiunsero l’apice con oltre 60.000 testate, di cui gran parte americane e sovietiche. La maggior parte erano molto più potenti delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki. L’eccezionale gamma di armi tattiche, tuttavia, respinge l’idea per cui la politica nucleare utilizzasse armi strategiche immensamente potenti solo come una deterrenza alla base della dottrina del MAD (Distruzione Mutua Assicurata). In realtà, combattere una guerra nucleare è una realtà con una storia che risale a Hiroshima e continua con forza fino ad oggi.
Dove siamo oggi?
Negli anni ’90 c’è stato un notevole ridimensionamento in campo nucleare, in parte concordato ma in gran parte voluto unilateralmente. La maggior parte delle riserve nucleari statunitensi e russe (o ex sovietiche) vennero lasciate impoverire durante il decennio, nonostante oggi ce ne siano ancora diverse migliaia. L’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRI) afferma che attualmente gli arsenali nucleari mondiali contano circa 15.000 testate, ripartite, a loro volta, nei singoli Stati come segue:
- Stati Uniti, 6.800
- Russia, 7.000
- Regno Unito, 215
- Francia, 300
- Cina, 270
- Israele, 80
- India, 130
- Pakistan, 140
- Corea del Nord, 15
Alcune di queste armi sono in riserva mentre altre in deposito, in attesa di essere smantellate. Gli Stati Uniti, ad esempio, possiedono 1.393 testate basate su sistemi di lancio strategici e costituite da missili balistici intercontinentali, missili balistici lanciati da sottomarini e bombardieri a lungo raggio; ha, inoltre, 4.018 armamenti accumulati, molti dei quali sono armi nucleari tattiche prontamente disponibili all’uso e 2.880 testate nucleari “a riposo” in attesa di smantellamento. La Russia presenta dei numeri che sono abbastanza simili. Se l’abilità della strategia nucleare fosse quella di distruggere le principali città di una nazione, allora venti o trenta testate sarebbero più che sufficienti. La soluzione che resta all’ordine del giorno è pertanto quella di uccidere attraverso un potenziale nucleare sovradistruttivo.
La maggior parte degli analisti ritiene che i sistemi americani siano più precisi e affidabili. Riconoscono anche, tuttavia, che poiché le forze convenzionali russe sono relativamente deboli, qualora scoppiasse un conflitto con la Nato, la tentazione sarebbe quella di impiegare in anticipo le armi nucleari. Tale è stata la politica che ha caratterizzato gli anni ’70 e ’80 quando l’Unione Sovietica contava molte più forze convenzionali in Europa.
Le buone notizie
Con circa 10.000 testate nucleari schierate o accumulate pronte all’uso e vari discorsi che vertono sulla possibilità di “guerre nucleari limitate”, vale la pena ricordare che ci sono anche buone notizie. Dopo tutto, sono solo otto gli Stati Membri delle Nazioni Unite che possiedono armi nucleari, mentre gli altri 185 no. In passato, inoltre, un certo numero di Stati come la Svezia, la Svizzera, il Brasile e l’Argentina, dopo aver pensato seriamente alla possibilità di sviluppare armi nucleari, hanno deciso di abbandonare l’idea. Il Sudafrica aveva le armi nucleari ma ha deciso di smantellare la sua piccola riserva alla fine dell’era dell’Apartheid (si veda “A nuclear world: eight-and-a-half rogue states“, 13 gennaio 2017). L’idea, invece, che ha accompagnato molti analisti (me compreso), durante gli anni ’80, era quella che a quest’ora ci sarebbe stato un numero maggiore di Stati dotati di armi nucleari.
Vale anche la pena ricordare che molte Nazioni sono membri delle cosiddette zone denuclearizzate, compresi i Paesi firmatari dei quattro Trattati Internazionali che coprono gran parte del mondo:
- Trattato di Tlatelolco (America Latina e Caraibi), 1967
- Trattato di Rarotonga (Pacifico meridionale), 1985
- Trattato di Bangkok (Sud Est asiatico), 1995
- Trattato di Pelindaba (Africa), 1996
Alla luce di tutto ciò, non c’è da meravigliarsi del fatto che oltre cinquanta Stati abbiano aderito al nuovo Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari, un’iniziativa da parte delle Nazioni Unite adottata nel luglio scorso e aperta alla firma solo a settembre.
Le brutte notizie
Ricapitolando, dunque, perché c’è bisogno ancora oggi di scrivere articoli come questo, quasi trent’anni dopo la fine della Guerra Fredda e alla luce delle buone notizie che ho appena menzionato? Per tre ragioni principali.
In primo luogo, tutti gli otto Stati dotati di armi nucleari sono decisi a mantenere i loro arsenali nucleari e sono impegnati nella loro modernizzazione insieme a quella dei loro sistemi di lancio. Nessuno ha nemmeno la minima intenzione di aderire, o anche solo vagamente sostenere, il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari – nonostante l’ampio sostegno internazionale di cui gode tale documento.
In secondo luogo, le tensioni tra la Nato e la Russia stanno intensificandosi e, così, il timore di un confronto nucleare tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti si fa evidente, soprattutto sotto l’attuale leadership americana.
Il terzo motivo, e forse il più importante di tutti, riguarda il preoccupante discorso sull’impiego di armi nucleari su piccola scala. Un simile passo catastrofico romperebbe… Continua su vociglobali