Se “il buon giornalismo è la fatica del cercare, del documentarsi, del controllare, senza paraocchi, senza settarismi e in modo indipendente”, che cosa è successo ai professionisti dell’informazione nel caso dell’omicidio di Meredith Kercher, a Perugia, e di Chiara Poggi, a Garlasco? I due casi presentano conclusioni opposte, ma anche molte analogie: i due principali indagati, Raffaele Sollecito, nel primo caso, e Alberto Stasi, nel secondo, sono stati subito raffigurati e valutati dai media come “colpevoli”, senza rispettare quel diritto alla presunzione di innocenza che, secondo la legge italiana, deve essere riconosciuto sempre e comunque a ogni imputato. Vittorio Roidi e Lorenzo Grighi – due generazioni di giornalisti a confronto – esaminano le modalità con cui la cronaca nera tratta i suoi protagonisti, sottoponendoli a un processo mediatico prima ancora che giudiziario, in un saggio che è, al contempo, un atto di accusa contro le derive del giornalismo e un manifesto sui principi di un’informazione corretta.
Vittorio Roidi ha cominciato come cronista al Messaggero (1962-69). Ha vinto un concorso per radiotelecronisti alla Rai, ha fatto l’inviato e poi il caporedattore del Gr1 guidato da Sergio Zavoli. Nel 1980, dopo aver lasciato la Rai, è stato chiamato come capocronista al Messaggero diretto da Vittorio Emiliani, diventando, in seguito, caporedattore centrale ed editorialista. È stato Presidente della Federazione Nazionale della Stampa e Segretario dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti.
Lorenzo Grighi, nato a Todi nel 1986, è laureato in Relazioni Internazionali all’Università di Perugia. Giornalista professionista, è redattore e inviato nella trasmissione di Rai 1 “Petrolio”.
Edito da RaiEri, GIORNALISTI O GIUDICI, è disponibile dal 27 febbraio in tutte le librerie.