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Gentiloni getta la spugna. Il Def lo faccia il governo che verrà, se verrà

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Il fallimento delle politiche renziane. La Ue sta a guardare. Ci ricorda il “debito elevato”. Occasione per ricostruire una nuova sinistra

Di Alessandro Cardulli

Gentiloni getta la spugna. Il Def, documento di economia e finanza alla elaborazione del quale hanno lavorato i tecnici del ministero di Economia e Finanza, non verrà presentato. Rimane nel cassetto di Pier Carlo Padoan che aveva deciso di far predisporre un “documento tecnico”. Di fatto la prima parte del Def che evitava di dare indicazione sulla programmazione triennale, limitandosi a fornire il quadro della situazione attuale relativamente ai conti pubblici. Da parte dei Commissari della Unione europea che attendevano il Def il 10 aprile era stata fatta la concessione di spostare più avanti la presentazione del documento in ogni sua parte dal momento che, lo aveva detto lo stesso Padoan, non si poteva ipotecare il  futuro. Sarebbe stato il nuovo governo a indicare le linee di politica economica e sociale alla base del Def. In parole povere non poteva essere il governo, addirittura dimissionario, con i compiti della sola  ordinaria amministrazione in attesa di passare le consegne, a delineare il quadro programmatico. Non solo, il Def, pur incompleto avrebbe dovuto passare l’esame della Commissione dei 65, che il Parlamento non ha ancora nominato, anche se sembra che la sua costituzione sia cosa fatta, manca solo il presidente. Ma visto il clima che circola nei palazzi del potere, con la p minuscola, sembra di essere in presenza di liti fra comari, con tutto il rispetto per questa categoria ormai in via di scomparsa, Gentiloni non se l’è assunta la responsabilità di mettere la firma su un documento che avrebbe potuto dire poco o niente.

Per Salvini e DI Maio, l’economia è un oggetto misterioso. Promesse a gogò

Forse meglio niente visto quanto in questi giorni stanno dichiarando parlamentari vecchi e nuovi della Lega di Salvini e lo stesso Salvini, dei Cinquestelle, e lo stesso  Luigi Di Maio, i quali fanno arrabbiare i loro “insegnanti” i quali hanno tentato di erudirli con primi cenni di economia, senza peraltro riuscirci. Prendete Domenico De Masi, sociologo e professore di Sociologia del Lavoro, che si è speso per fornire primi elementi ai giovanotti stellati. Oggi può solo dire che l’alleanza M5S con la Lega di Salvini è un fatto “innaturale”.

In una situazione in cui di tutto si parla negli incontri, soprattutto telefonici, fra i parlamentari delle varie forze politiche, silente in particolare il Pd, ancora incapace di rendersi conto della dimensione della debacle, con LeU che si sta ancora leccando le ferite, del resto anche in campagna elettorale i problemi delle politiche della Ue non sono stati quasi mai toccati, in questa situazione, dicevamo, Gentiloni e Padoan si sono chiamati fuori. Un danno comunque si voglia procedere è stato provocato dalle politiche proprio dei governi dei Pd. Documento  subito o rinviato al prossimo governo, l’aliquota Iva, in automatico, passerà dal primo gennaio 2019 dal 10% all’11,5%, mentre a partire dal 2020 passerà al 13%. L’aliquota ordinaria, invece, passerà dal 22% al 24,2% nel 2019, al 24,9% nel 2020 ed al 25% nel 2021. Lo abbiamo reso noto noi, Jobsnnews, dando spazio ad una notizia della Federconsumatori, nel silenzio della grande stampa. Ciò comporterà per una famiglia media una ricaduta a regime di 795 euro. Pari quasi ai famosi 80 euro di renziana memoria.

Da Bruxelles: slittamento del Def tollerabile se la crisi di governo si risolve in tempi rapidi

Fonti di Bruxelles fanno sapere che lo slittamento del Def è “tollerabile” se la crisi di governo si risolverà in modo veloce. Stando a quanto  passa il convento si tratta solo di una speranza perché quanto sta avvenendo pur non essendo ancora iniziati gli incontri del Presidente Mattarella con i gruppi parlamentari non dà modo ad alcun ottimismo. Anzi. Si prevedono tempi lunghi con DI Maio e Salvini che si contendono l’osso rappresentato dal governo. Ci scusino i cani, ovviamente. Non solo. Più volte sia il presidente della Commissione Ue, Juncker che il Commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, hanno rivolto all’Italia “raccomandazioni” che sono un avvertimento. Al centro dei pensieri di Bruxelles il nostro debito pubblico. Che è cosa di non poco conto, se pensiamo alle tante cose meravigliose promesse agli italiani in particolare da Di Maio e Salvini. Miliardi su miliardi di promesse che sanno bene non essere in grado di mantenere. Moscovici, in particolare, considerato un “amico” dell’Italia, uno che va sotto braccio con Padoan non ce lo vediamo proprio a flirtare con Salvini. In un intervento davanti all’Europarlamento, ha affermato che non vi sarà “nessuna interferenza, nessuna pressione, da parte di Bruxelles, ma politiche di bilancio responsabili”. Ha ribadito che la Commissione non vuole entrare “nel processo democratico italiano o chiedere riforme che  siano impopolari”. Detto questo viene al sodo:  “C’è una debolezza della produttività – dice – che l’Italia deve affrontare. Visto il livello di debito elevato – prosegue – è necessario condurre politiche di bilancio responsabile”.

Moscovici ammonisce: Italia terza economia, dia il buon esempio

Poi conclude sottolineando che l’Italia è la “terza economia europea” e che, di conseguenza, ha degli obblighi nei confronti delle altre economie. Tradotto: deve dare il buon esempio. Sarà il nuovo governo a doversi ricordare di questo “monito benevolo” come lo chiamano a Bruxelles. Ai primi del mese di maggio la Commissione dei 65 dovrà varare le nuove previsioni di Bilancio. Il “tritacarne”, così ha chiamato detta Commissione un grande quotidiano, entrerà comunque in funzione. Non ne sopporterà il peso Gentiloni. A meno che in mancanza di un nuovo governo, cosa del tutto possibile, visto l’andazzo e i “cordiali” rapporti fra le forze politiche, sarà proprio Gentiloni in prorogatio, ordinaria amministrazione, a trovarsi ancora alle prese con quel Def che gli ha turbato i sonni. Eppure, proprio lui, con Renzi e Padoan ha fatto campagna elettorale all’insegna del quanto siamo bravi, quante cose eccellenti abbiamo fatto per gli italiani. I quali non ci hanno creduto. Il guaio è che hanno creduto a chi le sparava più grosse. In mancanza di chi, malgrado la buona volontà e l’impegno, non è stato in grado di far diventare “popolare” la necessità di una discontinuità con il passato, una politica di sinistra, senza se e senza ma. È vero che non è mai troppo tardi per rimediare. Ma i tempi sono stretti, gli errori sono stati larghi. Correre ai ripari non sarà facile. È una strada obbligata per ricostruire un forza di sinistra.

Da jobsnews


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