di Marco Omizzolo
Le mafie nel Sud Pontino sono un problema ormai strutturale. Presenti da decenni, sono riuscite ad insediarsi e a radicarsi nel tessuto sociale, imprenditoriale e politico locale. La città di Fondi, dentro lo scacchiere mafioso pontino, occupa una posizione centrale, non solo quale luogo di residenza di numerosi boss ma anche per la presenza in città di uno dei mercati ortofrutticoli più grandi d’Italia e d’Europa.
Fondi è anche il feudo elettorale di Claudio Fazzone, senatore di Forza Italia e membro della commisssione parlamentare antimafia la cui nomina in questa commissione ha destato numerosi interrogativi. Ex poliziotto ed ex autista del Ministro dell’Interno Nicola Mancino durante gli anni della trattativa Stato-mafia, Fazzone è riuscito a scalare il potere diventando presidente del consiglio regionale del Lazio e poi senatore della Repubblica. A Fondi, nel frattempo, le mafie si sono radicate, sino addirittura a gemmare nuove organizzazioni criminali, e facendo del mercato ortofrutticolo uno degli epicentri della loro strategia insediativa nonché pied-à-terre di una serie di accordi e affari tra clan e politica locale.
È così che si sono gettate le basi per una nuova organizzazione mafiosa sovraclanica espressione di diverse mafie gestite da un direttorio informale di coordinamento. Una sorta di Cupola pontina composta da ‘ndranghetisti, corleonesi, casalesi e camorristi che insieme coordinano le loro strategie affaristiche e gestiscono parte del relativo consenso sociale ed elettorale.
Non a caso Camorra e Cosa Nostra a Fondi sono finite insieme più volte sotto il mirino della magistratura, come nel 2016 quando il Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani, a conclusione di un procedimento investigativo della Dia, sequestrò beni per 2 milioni di euro all’imprenditore dei trasporti, Carmelo Gagliano. Le indagini, coordinate dalla Procura distrettuale antimafia di Palermo, rilevarono l’adesione di Gagliano alle logiche e ai metodi del sistema mafioso avendo organizzato un florido commercio di merci da e per la Sicilia. Con la cosca napoletana degli Schiavone in particolare, cosa nostra trapanese faceva accordi per avere l’esclusiva dei trasporti dei prodotti agricoli. Tutto veniva garantito da un nome importante della mafia siciliana, ossia Gaetano Riina, fratello di Totò, che da Mazara del Vallo riusciva a mettere d’accordo i diversi clan.
Gagliano, assieme ad un altro imprenditore marsalese del trasporto gommato, Ignazio Miceli, attraverso la “A.F.M. Autofrigo Marsala Soc. coop” consentiva alla mafia di infiltrarsi nel circuito della grande distribuzione ortofrutticola dell’agro pontino e di spartire proventi secondo le condizioni dettate dal “clan dei Casalesi”. Una storia che si ripete, perché già nel 2011, il giudice pontino Lucia Aielli, già minacciata per le sue inchieste sulle mafie, con la sentenza per il processo Damasco 2 sulla mafia a Fondi condannava 23 delle 32 persone sotto accusa per complessivi 110 anni di carcere.
Secondo l’accusa, il gruppo mafioso controllava parte delle attività del Mof e alcuni appalti comunali a Fondi. Antonino Tripodo, capo clan, sarebbe stato il titolare di fatto delle aziende della famiglia Peppe, tra le più note del territorio, e con la collaborazione di D’Errigo e Bracciale avrebbe imposto i prezzi del mercato ortofrutticolo e deciso quali società potevano lavorare costringendo numerosi imprenditori siciliani e calabresi dell’ortofrutta ad avvalersi stabilmente della loro intermediazione per spedire la merce dal centro di Vittoria e di Fondi.
L’ex prefetto di Latina Bruno Frattasi, nella sua importante relazione sulle infiltrazioni mafiose a Fondi, sui Tripodo riferiva, attirandosi durissime critiche anche dal senatore Fazzone, che “non pare affatto casuale la scelta di radicare a Fondi la loro presenza, in relazione ai vantaggi che ne hanno ricevuto in termini di consolidamento di rapporti criminali. In questo quadro, appaiono altamente significative le connessioni, emerse chiaramente in sede di accesso, tra la famiglia Tripodo e soggetti legati, per via parentale, anche a figure di vertice del Comune di Fondi, nonché a titolari di attività commerciali, pienamente inserite nel mercato ortofrutticolo di Fondi, Mof”. Difficile dargli torto.
Per capire cosa accade al Mof di Fondi si devono seguire i processi tenuti in altri Tribunali. La lista è lunga ma vale per tutti la sentenza di condanna nel processo di primo grado emanata dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere che ha visto imputati alcuni boss di altissimo livello, come, ancora, Gaetano Riina (6 anni di carcere), Francesco “Cicciariello” Schiavone, cugino omonimo di “Sandokan” Schiavone (12 anni e 9 mesi), fondatore del clan dei casalesi, il figlio di “Cicciariello”, Paolo Schiavone, per la prima volta condannato (10 anni e 3 mesi) e altri elementi di spicco di importanti famiglie di camorra come i Mallardo e i Licciardi.
Tra gli imputati figurava anche Giuseppe Ercolano, ex reggente della cosca mafiosa dei Santapaola, e sposato con la sorella di Nitto Santapaola. Sono stati riconosciuti colpevoli, a vario titolo, di associazione mafiosa, illecita concorrenza, intestazione fittizia di beni, estorsione e traffico d’armi. Quello messo in piedi tra mafia siciliana e casalese secondo la procura determinò un aumento dei prezzi dei prodotti al consumo, danneggiando tutti i cittadini e creando un enorme vantaggio patrimoniale per chi ha controllato il mercato con metodi mafiosi.
Condannati anche Salvatore Fasanella (13 anni) coinvolto in un traffico d’armi dalla Bosnia, il collaboratore di giustizia Felice Graziano (2 anni e 6 mesi di reclusione), Antonio Pagano, (9 anni), padre di Costantino Pagano, titolare de “La Paganese Trasporti”; Antonio Panico (4 anni e 6 mesi), all’epoca dei fatto “dominus” del clan Mallardo, Almerico Sacco, (13 anni), ex reggente del clan Licciardi di Secondigliano; Gaetano Sacco (13 anni), anche lui elemento di vertice dei Licciardi. Le indagini iniziarono nel 2005 e gli arresti, 74 in tutto, vennero eseguiti dalla Squadra Mobile di Caserta e dalla Dia di Roma tra maggio 2010 e gennaio 2012. Secondo le rivelazioni di un pentito di mafia, Gianluca Costa, grazie ai fratelli imprenditori trapanesi Sfraga, l’imprenditore Costantino Pagano aveva anche lui acquisito il controllo del trasporto su gomma da e per la Sicilia occidentale.
In cambio fu offerto alle cosche mafiose un accesso privilegiato nei mercati campani e soprattutto in quello di Fondi. Un accordo mafioso tra mafiosi vantaggioso per tutti, tranne ovviamente per i cittadini. Tutti i titolari di piccole ditte di trasporti finirono sotto il controllo di Pagano il quale distribuiva lavoro secondo la sua volontà e interessi, pretendeva il pagamento di commissioni e otteneva anche l’estromissione di molti vettori. Emerse anche il traffico illecito di droga, nel caso del clan Licciardi, e delle armi, nel caso del clan dei casalesi. Nel luglio del 2006 fu sequestrato un poderoso arsenale a San Marcellino (Caserta), nell’abitazione e nel garage un carabiniere in pensione, ritenuto legato al clan dei casalesi. Armi, è stato poi accertato, provenienti dalla Bosnia.
Fondi infestata dalle mafie dunque, nonostante la sua bellezza strepitosa, il cui tanfo non viene sentito solo da chi non vuol sentire. E per fortuna tra questi ultimi non ci sono alcuni magistrati coraggiosi. Quegli stessi magistrati che a luglio del 2015, ad esempio, hanno arrestato 20 persone, effettuate perquisizioni e sequestrati beni per 100 milioni di euro in Campania, Lazio e Sicilia contro la gestione monopolistica mafiosa finalizzata a rifornire i mercati ortofrutticoli del Paese.
La Dia di Roma, coadiuvata dalle forze di polizia di Napoli, Salerno, Palermo, Caltanissetta, Catania e Bologna eseguì un’ordinanza di custodia cautelare per associazione mafiosa, illecita concorrenza con minaccia o violenza, estorsione e altri reati. L’operazione prese avvio dalle precedenti “Sud Pontino” e “Store”, già condotte dalla Dia, e confermò un sistema coordinato tra il clan dei casalesi e i Mallardo che, assieme a cosa nostra catanese, approvvigionava coi propri prodotti ortofrutticoli i maggiori mercati delle regioni italiane attraverso il controllo di quasi tutto il trasporto su gomma. I clan imponevano ai commercianti i canali da utilizzare, riconducibili a società a loro collegate e su ogni transazione veniva imposta una tassazione con metodi estorsivi. Per questo la Dia ha sequestrato preventivamente società di trasporto, mezzi e immobili ad esse riconducibili. L’ortofrutta veniva sottopagata agli agricoltori mentre i prezzi moltiplicavano fino al 300% dal campo alla tavola.
A Fondi, dicevano molti esponenti politici, le mafie non ci sono. Addirittura qualcuno, come l’ex presidente della provincia di Latina, Armando Cusani e collega di partito del senatore Fazzone, affermava che le personalità componenti la commissione d’accesso al Comune di Fondi che doveva accertare i condizionamenti delle mafie nella gestione dell’amministrazione, come realtà ha poi accertato, erano “pezzi deviati dello Stato”. Per fortuna arresti e sequestri, intercettazioni e confische dicono esattamente il contrario.
( 6 – continua)