Ragionare dei doveri dei giornalisti e più ancora dei diritti dei cittadini nell’informazione al tempo dei nuovi poteri digitali. Il Comitato tecnico-scientifico di Articolo 21, che ha tenuto nei giorni scorsi la sua prima riunione, sa di nascere nel momento in cui l’interesse pubblico su questi temi sembra aver toccato il livello minimo da anni a questa parte, come dimostra anche la loro sostanziale assenza dalla campagna elettorale appena conclusa. Ma riaprire la discussione sul rispetto dell’Articolo 21 è questione tanto più vitale, quanto più penetrante e pervasivo è il ruolo della comunicazione nel determinare orientamenti e spostamenti dell’opinione pubblica.
Due essenzialmente le direttrici di lavoro che sono state delineate.
Una prima chiama in causa la comunicazione giornalistica professionale: la sua capacità di far valere le norme etiche, di far vivere e armonizzare le Carte che il giornalismo italiano si è dato negli anni, nonostante le pressioni sempre più forti degli editori in direzione di un’informazione ‘acchiappaclick’ o volta a catturare audience. A questo riguardo si conferma essenziale un’attività di formazione, per ribadire i ‘fondamentali’ del mestiere e verificare se la strumentazione professionale sia adeguata ai nuovi processi produttivi in cui la mediazione giornalistica è chiamata ad esprimersi.
L’altra pista di lavoro guarda invece soprattutto alla novità radicale dell’era digitale: il potere degli automatismi, la forza degli algoritmi nel determinare le gerarchie dell’informazione e nel plasmare sentimenti e decisioni dei cittadini, l’accumulo di straordinarie quantità di dati nelle mani di pochissimi. Temi dei quali in queste ore l’inchiesta di Observer e New York Times sulla società Cambridge Analytica mette in risalto ancora una volta l’enorme impatto politico. Di qui la necessità di chiamare i giganti digitali – Facebook, Twitter, Google, Amazon – al confronto, se necessario allo scontro, e comunque alla contrattazione, per far emergere nel dibattito pubblico i meccanismi che così potentemente contribuiscono ad orientarli. Gli algoritmi sono troppo importanti per rimanere a conoscenza di pochissimi.
Sono direttrici che per molti versi si integrano anche per perseguire l’obiettivo di far arrivare in modo diverso la comunicazione giornalistica agli utenti delle nuove generazioni, nate nell’era digitale.
Senza presunzione, ma senza nemmeno chinare il capo di fronte a megapoteri che contano più di molti Stati nazionali, Articolo 21 proverà – in raccordo con gli altri soggetti sociali e professionali attivi sul tema, con le forze della scuola, dell’università, della cultura – a far diventare la questione tema pubblico rilevante e a presentare progetti e proposte. A partire da un’imminente scadenza che è rimasta fin qui confinata nel dibattito tra gli addetti ai lavori: il nuovo regolamento Ue per la protezione dei dati personali, al quale dal 25 maggio prossimo dovrà essere data piena applicazione. La questione è ben più che tecnica. Scomodare la parola ‘democrazia’ non è esagerato.
Roberto Natale, coordinatore Comitato tecnico-scientifico