David Rossi merita giustizia. Fu ritrovato senza vita cinque anni fa, riverso sul selciato di fronte alla sede del Monte dei Paschi di Siena, dopo essere precipitato da una finestra di Rocca Salimbeni. Si è trattato di un suicidio o è stato spinto giù da qualcuno che temeva il lavoro e, soprattutto, ciò di cui era a conoscenza l’influente responsabile dell’area comunicazione di MPS, per vent’anni stretto collaboratore di Giuseppe Mussari, dominus della suddetta banca?
I sospetti sono molteplici, i dubbi anche e l’inchiesta è doveroso che vada avanti e venga seguita con scrupolo dai cronisti, e non solo da quelli giudiziari, in quanto le disavventure del Monte dei Pacchi sono legate a filo doppio ad una certa gestione politica, ad una certa concezione dell’economia e ad una determinata visione predatoria della finanza e del capitalismo, senza alcun rispetto per la dignità dei correntisti e per i sacrifici di persone che affidano agli istituti di credito i risparmi di una vita.
Cosa sapeva di troppo David Rossi? Chi poteva aver interesse a che tacesse per sempre? Chi sono gli eventuali mandanti e quali gli eventuali esecutori del delitto? Quanto questa tragedia ha condizionato il successivo corso della storia della più antica banca italiana? Cosa sarebbe potuto andare diversamente se Rossi fosse rimasto al suo posto? Questo articolo non è in grado di fornire risposte precise ma solo di porre le domande giuste e di tener viva la memoria su un caso che si sta cercando in ogni modo, è evidente, di far precipitare nell’oblio, affinché l’opinione pubblica dimentichi e sembri normale ciò che non lo è affatto, come ad esempio il viluppo di interessi luridi che hanno fatto marcire il nostro sistema bancario, fino all’esplosione degli scandali venuti alla luce negli ultimi anni.
David Rossi, dunque, ha più le sembianze della vittima che del carnefice di un sistema malato e pericoloso, in cui le banche non sono più banche e non svolgono più, da troppo tempo, i compiti per cui erano state concepite addirittura nel Medioevo.
David Rossi, qualunque sia la verità, ha pagato un prezzo altissimo per colpe che sicuramente, in gran parte, non sono ascrivibili a lui: le colpe di chi si è appropriato di soldi non suoi e di chi ha contratto debiti che non ha ma avuto la creanza di ripianare, le colpe di una politica vorace e disumana che ha finto col bruciare le speranze, le prospettive e il denaro di un numero impressionante di persone, al punto che, per salvare MPS, è stato necessario un intervento tempestivo del governo Gentiloni, pena il collasso di un istituto un tempo considerato, non a torto, inaffondabile.
Al che, sorge il dubbio, purtroppo non infondato, che David Rossi fosse a conoscenza dei nomi dei responsabili di questo disastro e dei loro legami con chi si è servito di MPS come di un bancomat personale, alle spalle di quanti vi avevano riposto gli sforzi di trenta-quarant’anni di lavoro. Sorge il dubbio che sapesse e avesse anche le prove. Sorge il dubbio che fosse pronto a parlare e che, senza la sua morte, alcuni aspetti essenziali di questo dramma nazionale dai contorni sporchissimi sarebbero stati assai diversi. Sorge il dubbio che, forse, oggi qualcuno dei responsabili del tracollo e della perdita di credibilità della banca senese starebbe in galera anziché libero e tranquillo. Sorge il dubbio che Rossi desse fastidio e che, comunque siano andate le cose, prima di morire, abbia subito pressioni indescrivibili. Sorge, in poche parole, il dubbio che ci troviamo di fronte ad un verminaio che molti poteri, più o meno forti, più o meno occulti, vorrebbero nascondere e che, proprio per questo, noi giornalisti abbiamo il dovere di illuminare a giorno questa storia, di non arrenderci alle verità ufficiali e di continuare a chiedere, anzi a pretendere, che sia fatta luce e giustizia su quanto è accaduto.
Perché questa storia non è solo il dramma privato di un uomo e della sua famiglia: è l’autobiografia di una Nazione allo sbando, priva di una classe dirigente adeguata e della benché minima volontà di risollevarsi dal baratro in cui è sprofondata a causa della medesima. Questa storia ci mostra in filigrana ciò che siamo diventati, come se si trattasse di uno specchio in grado di restituirci l’immagine fedele della barbarie nella quale siamo immersi. Questa storia fa male, questa storia è atroce, questa storia costituisce una sconfitta collettiva e, al tempo stesso, pone a tutti noi una sfida: quella di ribellarci all’abisso e di tornare a pretendere onestà e competenza a tutti i livelli. Lo dobbiamo a David e al suo martirio, affinché questo quinto anniversario della scomparsa di un galantuomo non si trasformi nell’ennesima cerimonia ipocrita e autoreferenziale per far sentire a posto con la coscienza una serie di ignavi e di inetti che una coscienza, a causa del proprio disinteresse per la cosa pubblica e della propria conclamata vigliaccheria, semplicemente non ce l’hanno.
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