La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato ieri la Turchia per l’arresto di due giornalisti, Mehmet Altan e Sahin Alpay, in seguito al fallito colpo di stato schierandosi con la Corte costituzionale turca che lo scorso gennaio aveva emesso lo stesso giudizio rilevando la violazione dei loro diritti e chiedendone la scarcerazione. Una sentenza importante, quella della Cedu, ma che arriva purtroppo tardi. Almeno per uno dei due intellettuali arrestati un anno e mezzo fa: Mehmet Altan il 16 febbraio è stato condannato all’ergastolo Insieme al fratello Mehmet e altri quattro giornalisti.
Diversa la sorte di Alpay che il 9 marzo, dopo che la Corte suprema si era nuovamente espressa sul suo caso confermando che nei suoi confronti era stata perpetrata la violazione del suo diritto alla libertà e di espressione, è stato scarcerato.
Quella della Cedu è una decisione che appare beffarda, giunta dopo una lunga attesa. Troppo tardi. La rete di organizzazioni che ha animato la campagna Free Turkey Media, di cui Articolo 21 è membro attivo sin dall’inizio, e che segue con osservatori internazionali i processi nei confronti dei giornalisti arrestati per la presunta complicità nel tentativo di colpo di stato e di propaganda del terrorismo hanno manifestato profonda delusione.
Mehmet Altan è stato giudicato dal Tribunale penale di Istanbul colpevole di aver espresso opinioni critiche nei confronti delle autorità governative, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ‘solo’ condannato la Turchia per la detenzione a lungo termine dei giornalisti e per aver ignorato il verdetto della Corte costituzionale turca senza entrare nel merito.
Nonostante tutto questa sentenza può ancora aprire la strada alla liberazione di Mehmet Altan e di Sahin Alpay. Il governo turco sta subendo una forte pressione internazionale e questo potrebbe favorire l’applicaziine della sentenza della CEDU quanto meno per gli imputati di processi in corso.
La Turchia è consapevole che la normalizzazione delle relazioni con l’UE e i suoi Stati membri possa avvenire solo a condizione che nel Paese si torni allo Stato di diritto e alla tutela dei diritti umani fondamentali. L’attuazione completa della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo potrebbe essere un primo passo verso questa direzione.
Intanto Recep Tayyip Erdogan, pur non allentando la morsa dei repulisti e delle repressioni delle libertà di espressione e di informazione, comincia le grandi manovre in vista della prossima tornata elettorale. Una cordata vicina al presidente turco ha acquisito le quote di maggioranza del ‘Dogan Media Group’, uno dei principali e ‘relativamente’ indipendenti gruppi editoriali della Turchia che controlla importanti giornali ed emittenti come Hurriyet, Fanatik, Posta, Cnn-Turk e Kanal D. A darne notizia il sito d’informazione ‘Middle East Eye’, precisando che il magnate Aydin Dogan avrebbe accettato di cedere gli asset della sua holding alla società ‘Demiroren’ per un affare da 1,2 miliardi di dollari. Se la notizia fosse confermata, mette in guardia ‘Middle East Eye’, si creerebbe una concentrazione di potere mediatico senza precedenti nelle mani della cerchia intorno ad Erdogan. I media del gruppo ‘Dogan’, infatti, sono considerati tra i pochi rimasti “indipendenti” in Turchia ed erano spesso attaccati dal governo e dai suoi sostenitori per le critiche rivolte alle politiche dell’Akp, il partito al governo di cui il presidente è il leader.
Negli ultimi anni, tuttavia, la linea editoriale del gruppo si era sfumata per evitare la repressione delle autorità, in particolare dopo il fallito golpe del luglio 2016.
Erdogan, dunque, è sempre più padrone assoluto del controllo dei media e, ormai, senza alcuna opposizione.
Per questo è più importante che mai sostenere le poche voci turche libere rimaste nel Paese rilanciando le loro inchieste e supportando coloro che hanno già pagato con la libertà negata il loro coraggio di restare a schiena dritta% continuiamo a ribadire insieme #nobavaglioturco.