di Luciano Mirone
Malta è la gallina dalle uova d’oro dove le attività illecite magicamente diventano lecite. E Catania è uno dei terminali mondiali più importanti degli ingenti affari che hanno come epicentro l’isola più piccola dell’Unione europea.
Dalla “capitale” dell’oriente siciliano si muove ogni giorno una mafia felpata, discreta e col colletto bianco (profondamente diversa da quella cafona e sanguinaria dei Corleonesi), che dopo quaranta minuti si ritrova in questo paradiso di illegalità legalizzata dove puoi portare avanti qualsiasi operazione di riciclaggio, di corruzione, di evasione senza essere disturbato.
Da Fontanarossa quotidianamente decollano tre aerei con destinazione Malta, più di quelli che – a leggere gli orari delle partenze – partono alla volta di Firenze, di Venezia, di Genova, di Berlino, di Istanbul (tanto per fare qualche esempio) . Molti passeggeri si recano nell’isola per turismo, per lavoro, per la vita notturna, per fare shopping, per giocare al casinò. Altri non solo per questo.
Del resto, tutte quelle banche e tutte quelle finanziarie sorte come funghi negli ultimi tempi, a cosa possono servire? Può Cosa Nostra catanese – assieme alla ‘Ndrangheta calabrese (al netto delle mafie mondiali) – starsene a braccia conserte, senza tuffarsi in questo mare di denaro sporco che viene depurato grazie alle leggi maltesi?
Il recente furto di petrolio libico ad opera dei “catanesi” è soltanto un esempio. Un’operazione colossale che, secondo i magistrati etnei, ha avuto come origine Tripoli, come sponda Malta e come destinazione Catania, attraverso le famiglie Santapaola-Ercolano. Non sappiamo se l’azione sia da circoscrivere a un singolo episodio o se sia da considerare il paradigma di un sistema che vede una delle mafie più “sommerse” del pianeta fare affari approfittando di una serie di condizioni favorevoli. Fatto sta che, come dice il senatore catanese del M5S, Mario Michele Giarrusso, componente della Commissione parlamentare antimafia, “i rapporti fra la Libia e la mafia siciliana non risalgono a tempi recenti”.
La caduta del regime di Gheddafi ha liberato forze criminali presenti sul territorio, che hanno cominciato a saccheggiare il Paese per finanziare sia le guerre interne che le attività criminali. È così che un furto di petrolio, tramite Malta, rientra nel circuito legale. Come? “Gli acquirenti ufficiali – seguita Giarrusso – non possono apparire come i soggetti che hanno acquistato il greggio dalle organizzazioni illegali. C’è un passaggio di ripulitura anche del petrolio, che in qualche modo deve immesso sul mercato. Malta ha questo ruolo”.
“Il petrolio rubato alla Libia dalle cosche catanesi – afferma il giornalista maltese Manuel D’Elia – si è reso possibile anche per le debolezze delle forze di polizia. C’è il sospetto che i trafficanti abbiano ottenuto la collaborazione di funzionari pubblici per ‘forgiare’ certi documenti che facilitano il contrabbando”. Bocche cucite negli uffici della Procura catanese: si potrebbero compromettere le indagini.
A denunciare molte di queste storture era stata la giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, dilaniata da un’autobomba il 16 ottobre scorso per le sue coraggiose inchieste contro la corruzione delle istituzioni maltesi, facendo i nomi dei politici, dei magistrati, dei poliziotti coinvolti. Malta – scriveva la cronista – è la più grossa “lavanderia” del Mediterraneo, ma anche la “cassaforte” di centinaia potenti di tutto il mondo (fra cui la regina d’Inghilterra, la regina di Giordania, il ministro al commercio di Trump, il tesoriere del primo ministro canadese Justin Trudeau, come rivelato recentemente dall’Espresso). Perno dell’attività, secondo la cronista, il capo del governo maltese Joseph Muscat. Dall’Ue pochi commenti. Dall’Italia un silenzio assordante, malgrado l’omicidio di una giornalista commesso praticamente a casa nostra.
Da quando, per volere dell’Inghilterra, Malta è stata cancellata dalla “black list” dei Paesi illegali dell’Unione europea, l’isola è diventata una formidabile “zona franca” dove è possibile fare di tutto. Perché qui, secondo quanto scriveva la stessa Caruana, nessuno indaga, nessuno intercetta, nessuno pedina, nessuno arresta, ma in compenso negli ultimi due anni sono esplose sei autobombe: le prime cinque destinate a certi “infami” dell’organizzazione; l’ultima a Daphne Caruana Galizia. Un modo per sbarazzarsi di una cronista troppo scomoda, ma anche per lanciare un monito, non solo a livello locale.
Secondo Manuel D’Elia, oltre al commercio del petrolio, i punti forti della criminalità organizzata che opera a Malta sono il traffico di droga (nascosto dietro il paravento dell’attività di pesca) e la protezione dei grossi latitanti: “Totò Riina ha vissuto per un po’ di tempo da queste parti – dice – La sua famiglia avrebbe ancora degli interessi nell’isola”. Addirittura, dice D’Elia, i poliziotti più “aggressivi” sono stati deposti per dare spazio a quelli più “pacifici”.
Ma l’attività che sta consentendo alle mafie di fare il salto di qualità è quella dei casinò online, molti dei quali hanno sede proprio a Malta. “Un giro d’affari di circa 100 miliardi l’anno – afferma Giarrusso – che prende le vie dell’estero. Dietro queste società, secondo me, c’è la mafia e la politica”. E ancora: “I soldi del gioco d’azzardo vengono drenati dal circuito legale e finiscono nel circuito illegale. Perché questo non viene contrastato? In Parlamento c’è una lobby fortissima, ben foraggiata da chi, con questi proventi, può comprare qualsiasi cosa”.
Può una mafia potente e ramificata come quella catanese lasciarsi sfuggire gli interessi colossali che si muovono a ottanta chilometri di distanza? “No – seguita Giarrusso – . Il ‘modello Catania’ ha trovato a Malta il contesto ideale per agire, così come è successo per quarant’anni ai piedi dell’Etna. Non è un caso che ancora pronunciamo gli stessi nomi, da Santapaola a Ercolano, da Laudani a Cappello, da Mazzei a Piacenti. Questi clan non sono stati sconfitti, perché hanno goduto degli appoggi della politica. Solo da qualche anno, grazie a una Procura rinnovata e dinamica, certi potenti come l’ex governatore Raffaele Lombardo e l’editore Mario Ciancio sono finiti sotto processo per mafia. E però paghiamo ancora l’inerzia decennale di certa magistratura. Basta vedere le pesanti interferenze per l’elezione del Consiglio comunale e dei Consigli di quartiere, l’affidamento del parcheggio della Plaja, i rapporti fra il sindaco Bianco e lo stesso Ciancio, l’inaugurazione di qualche spazio culturale alla presenza di soggetti appartenenti a un certo mondo. Lo stesso che ogni giorno prende l’aereo per andare a Malta. Il ‘modello Catania’ è questo. E vince sempre”.