La perquisizione e il sequestro di materiale informatico subite dal giornalista del Fatto Quotidiano, Marco Lillo, sono “illegittimi“. Lo scrive la Cassazione nella sentenza 9989 depositata ieri con la quale i giudici hanno ordinato la restituzione al vicedirettore del Fatto di tutto quello che gli è stato sequestrato, vietando inoltre ai magistrati il “trattenimento di copia dei dati acquisiti”. L’ordine di perquisizione era stato effettuato il 5 luglio del 2017 dai magistrati della procura di Napoli titolari dell’indagine sulla fuga di notizia dell’inchiesta Consip.
Secondo la Suprema Corte, con riferimento ai principi in tema di tutela della libertà di stampa fissati dalla corte dei diritti dell’uomo, la perquisizione e il sequestro sono state due misure sproporzionate adottate nei confronti di un professionista dell’informazione senza che vi fosse un legame probatorio, tra i documenti sequestrati e l’oggetto dell’indagine.
«La Federazione nazionale della Stampa italiana non può che sottoscrivere le ragioni espresse dalla Corte di Cassazione” affermano, in una nota, il segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti.
«Una sentenza importante – proseguono – e non solo nel caso specifico, con la conferma della correttezza del lavoro svolto da Lillo, ma anche perché ribadisce che per evitare il rischio di potenziali limitazioni alla libertà di stampa non possono essere disposte misure di sequestro della corrispondenza, delle comunicazioni o di ogni altro materiale e documentazione sulla base di un “semplice nesso di pertinenzialità tra le notizie ed il generico tema dell’indagine”. Episodi che, invece, da qualche tempo si sono moltiplicati, in particolare nei confronti di colleghi che indagano su mafia, corruzione e reati finanziari. Si tratta di una sentenza che finalmente recepisce le ragioni dell’articolo 21 della Costituzione e del diritto di cronaca».