Jan Kuciak era molto giovane, ma non per questo inesperto. Aveva già svolto diverse inchieste sulla corruzione e le frodi fiscali in Slovacchia, incontrando, come accade anche in Italia, l’ostilità dei soggetti di cui scriveva, imprenditori ma anche esponenti degli ambienti intorno al governo.
Seguendo questi filoni si era imbattuto nelle tracce della presenza consolidata della ‘ndrangheta nel suo Paese; e per questa inchiesta che si era subito rivelata rischiosa e di grandi dimensioni, stava collaborando con l’OCCRP, il Progetto investigativo sul crimine organizzato e la corruzione, un consorzio attivo nell’est Europa, e collegato a due consorzi giornalistici nazionali, il ceco CCIJ, e l’altro in Italia, l’IRPI (Investigative Reporting Project Italy), partner dell’Icij (il consorzio di cui è partnecon cui collabora anche Report, il programma investigativo di Rai3) e creatore di Mafia Files, il primo archivio digitale su mafie e criminalità organizzata, rivolto principalmente proprio ai cronisti di altri paesi alla ricerca di informazioni sulle mafie nostrane.
Al centro di questa delicata inchiesta era, appunto, la ‘ndrangheta con i suoi interessi che spaziano dalla cocaina ai fondi europei per l’agricoltura (quegli stessi di cui fa incetta la mafia dei Nebrodi) e per impianti fotovoltaici, e con legami diretti con gli ambienti governativi a Bratislava.
Questa condivisione con una rete di lunga esperienza e con collegamenti in diversi paesi dimostra la delicatezza delle investigazioni a cui lavorava Kuciak, e insieme la sua serietà professionale: Il materiale era tale e tanto che solo lavorando con colleghi esperti e e in una rete diffusa nei diversi territori coinvolti dalle verifiche, avrebbe potuto portare a risultati concreti.
L’inchiesta procedeva nella massima riservatezza, e di certo si è rivelata molto più pericolosa di quanto forse immaginato dal giovane cronista. Probabilmente resterà incompleta. Ma la testata per cui lavorava Kuciak, Aktuakity.sk, e l’OCCRP hanno deciso di pubblicare i materiali fin qui raccolti (per l’Italia li ha pubblicati Repubblica http://www.repubblica.it/esteri/2018/03/01/news/slovacchia_jan_kuciak-190139031/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P8-S1.8-T2), per rendere omaggio alla memoria e al lavoro del cronista ucciso, ma anche per ridurre i rischi per gli altri giornalisti che collaboravano con lui, in Slovacchia e altrove. Quello che sta uscendo è un quadro tutt’altro che a tinte fosche: all’oscurità dei traffici illeciti si sostituiscono affari da colletti bianchi, e costruiti in oltre vent’anni di presenza delle famiglie presunte ‘ndranghetiste in Slovacchia. Non a caso la famiglia di Kuciak chiede che le indagini siano affidate a organi internazionali, europei come l’Olaf che indaga sui reati finanziari nella Ue, o l’Europol. Non fidandosi, evidentemente, di forze dell’ordine che rispondono alla stessa politica che fino a poco tempo fa sedeva a tavola con i sospetti assassini.
Per tutti questi motivi il duplice assassinio di Jàn Kuciak e della compagna Martina Kušnířová, con gli scenari che si stanno aprendo, ha una portata ancora più devastante dell’orrendo assassinio di Daphne Caruana Galizia. Non certo per le modalità, ma perché sta rivelando una presenza consolidata da decenni della più pericolosa mafia italiana nel cuore dell’Europa. Una presenza iniziata subito dopo la caduta dei regimi comunisti, con l’ondata di privatizzazioni selvagge che ha seguito, e nell’indifferenza, forse connivente e forse impreparata, della politica locale e degli stessi organi inquirenti. E’ così in Slovacchia, oggi uno dei paesi a più forte crescita che, grazie ai bassi salari e a un sistema fiscale competitivo, sta attraendo aziende dal resto d’Europa (Embraco e Honeywell, finora attive in Italia, stanno delocalizzando lì la loro produzione); ma è vero in molti altri paesi dell’est come del nord Europa. E’ recente l’operazione che ha svelato gli interessi di clan di ‘ndrangheta nel mercato dei fiori in Olanda; ed è nota la presenza ingombrante delle ‘ndrine in Germania, solo per citarne alcuni. Una presenza in espansione, anche grazie alla scarsa condivisione di indagini e documentazione tra le diverse polizie e magistrature: anche questo è uno dei fronti di debolezza dell’Unione europea, mentre le mafie si rendono sempre più transfrontaliere.
E’ infine desolante che per riuscire a parlare di mafie, di corruzione, ma anche di libera informazione, durante questa brutta campagna elettorale abbiamo dovuto aspettare la morte di questa giovane coppia, e per di più in un altro Stato. O meglio, dobbiamo dire che se ne è parlato su siti e giornali, ma è assordante il silenzio della politica.