Le elezioni politiche e regionali del Lazio hanno quasi oscurato l’inizio del processo d’Appello di “Mondo di mezzo” nell’aula bunker di Rebibbia a Roma. Ma ci ha pensato il difensore di Massimo Carminati a dare eco alla prima udienza con una brutta frase rivolta a Lirio Abate, il giornalista de L’Espresso che per primo ha raccontato la geografia criminale di Roma, poi diventata anche oggetto di inchiesta. L’avvocato Giosuè Bruno Naso in aula ha parlato di “processetto mediaticamente costruito per condizionare i giudici anche con le inchieste del giornalista Lirio Abbate, che io ho ribattezzato Delirio. Si processano le persone per quello che fanno e non per quello che si assume abbiano fatto”. La replica più puntuale è arrivata via twitter proprio da Lirio Abbate: “Puntare il dito contro un giornalista in un’aula di giustizia con imputati per # mafia è come indicare un bersaglio. Soprattutto quando il dito è puntato a chi non fa parte del processo. Il difensore di # Carminati continua a farlo. Perché?”. Già, perché? E come mai sempre lo stesso avvocato, difensore dello stesso imputato eccellente? Come mai in un “processetto” si attacca il giornalista che ha scoperchiato il vaso di pandora del crimine a Roma?
A dire la verità, Giosuè Naso non l’ha mai presa bene la cronaca su “Mondo di mezzo”, nome dell’inchiesta suggerito, peraltro, da una celebre frase di Carminati e intercettata dagli investigatori. E’ infatti lo stesso avvocato che ha presentato un esposto contro un esercito di giornalisti, colpevoli di aver pubblicato parti integrali dell’ordinanza di custodia cautelare, cosa che avviene per prassi ormai da 20 anni ma che, evidentemente, non si poteva fare nel dicembre del 2014 per indagati eccellenti come Carminati e/o gli altri di quella inchiesta. L’”uscita” di Naso nell’immediatezza degli arresti, purtroppo, però non è stata un incidente di percorso, bensì una solida convinzione che infatti è continuata in seguito e si è vista in replica alla prima udienza in Appello. Netta la presa di posizione della Fnsi in difesa di Abbate. Questo “nuovo attacco” in aula assume particolare gravità perché, appunto, avviene davanti agli imputati e in un processo in cui i giornalisti non sono parte, non possono dire né fare nulla, poiché il loro ruolo è quello di spettatori che stanno lì per l’interesse pubblico di raccontare. Pertanto non solo si manda un segnale evidente agli imputati di reati gravi (mafia) indicando praticamente il “nemico”, ma si viola la regola non scritta del rispetto dei ruoli. Se, infatti, è intoccabile, legittimato dalla Costituzione, il diritto di difesa, questo non può e non deve ledere il diritto dei cittadini ad essere informati che scaturisce anch’esso dalla stessa Costituzione, diritto assicurato dai giornalisti.
A latere c’è dell’altro e riguarda il ruolo di ciascuna professione. Un procedimento penale di questa portata contempla fasi, attori, spettatori, ruoli, fini, modi tutti diversi tra loro ma tutti necessari in egual modo. Dunque massimo rispetto per gli imputati fino all’ultimo grado di giudizio, per il loro diritto ad essere difesi e ad avere una sentenza giusta in tempi ragionevoli; massimo rispetto per il ruolo dei difensori e per quello della pubblica accusa che agisce in nome dello Stato e quindi di tutti noi; massimo rispetto per ciò che deciderà la Corte cui è affidato un compito delicato. Ma massimo rispetto, in egual misura, per i giornalisti che raccontano il processo e debbono essere liberi di farlo come credono, vincolati solo a seguire la legge e le regole deontologiche. E’ tutto molto scontato. Non ci dovrebbe essere bisogno di ribadirlo. Eppure troppo frequentemente ormai ci si trova di fronte ad iniziative di alcuni penalisti e persino di camere penali che obbligano a ricordare a cosa serve la cronaca giudiziaria, che peraltro in questo caso afferisce una fase pubblica del processo.
Appare increscioso dover puntualizzare elementi processuali e aspetti costituzionali con una categoria di giuristi, qual è appunto quella degli avvocati, che in Italia si è distinta e si distingue per la difesa dei diritti civili, dei più deboli, delle donne, dei minori e della libertà di espressione. E, anzi gli avvocati, difendono la libertà di pensiero più spesso e in modo più efficace degli stessi giornalisti o accanto ad essi. Per tale ragione ci si aspetterebbe anche dalla stessa categoria una riflessione, se non una presa di posizione formale, contro certe uscite che fanno male al diritto di cronaca, ai giornalisti, ma anche agli avvocati e alle loro sincere convinzioni sui diritti fondamentali.