Una volta le conquiste in Europa del welfare e sindacali giungevano dal Regno Unito e dalla Svezia. Erano progettate e realizzate dai laburisti inglesi e dai socialdemocratici scandinavi. Ora invece il vento nuovo dello stato sociale arriva dalla Repubblica federale tedesca: l’Ig Metall (il sindacato dei metalmeccanici) fa da apripista e la cornice politica è quella dell’accordo per un nuovo governo di grande coalizione tra i cristiano democratici (Cdu-Csu) di Angela Merkel e i socialdemocratici di Martin Schulz (Spd).
L’intesa sindacale è clamorosa, epocale, va in controtendenza rispetto al resto del mondo: prevede la riduzione dell’orario di lavoro e anche un aumento del 4,3% delle retribuzioni. Il nuovo contratto collettivo di lavoro dei metalmeccanici è all’insegna della flessibilità. Nelle fabbriche si potrà lavorare 28 ore la settimana invece di 35 per un periodo limitato di tempo (da 6 mesi a 2 anni). Non subirà un taglio del salario chi sceglierà di lavorare 28 ore alla settimana per occuparsi dei figli piccoli o di parenti anziani malati o perché svolge un lavoro usurante. Sempre su base volontaria si potrà anche lavorare di più salendo da 35 a 40 ore la settimana.
Lo storico accordo pilota è stato raggiunto martedì 6 febbraio a Stoccarda, è arrivato dopo tredici ore di trattative e diversi giorni di sciopero. Si applicherà prima a 900 mila metalmeccanici nel Land del Baden-Württemberg (accoglie gli impianti della Porsche e della Daimler), il terzo Stato tedesco per estensione e per popolazione, e poi all’intera Germania dove gli iscritti a Ig Metall sono circa 3,9 milioni.
Certo gli imprenditori tedeschi si possono permettere i costi di questo contratto: gli utili sono alti, l’economia e le esportazioni tedesche corrono, l’occupazione sale, i conti pubblici vanno bene. Berlino ha raccolto i frutti delle riforme strutturali realizzate all’inizio del 2000 da Gerhard Schröder anche a scapito del welfare. Il cancelliere socialdemocratico tedesco, tra le critiche della sinistra del suo partito, attuò delle severe riforme per il lavoro, le pensioni e la sanità. I sacrifici furono duri, ma la vacillante economia tedesca tornò ad essere fortemente competitiva e affrontò bene la sfida delle “tigri” asiatiche e dell’euro. Chi pagò il prezzo dei tagli ai salari e alle prestazioni sociali furono invece Schröder e la Spd: il primo uscì malamente dalla scena politica, i secondi da allora finirono nel tunnel buio delle sconfitte elettorali, mentre è cresciuta l’estrema destra populista.
Però l’economia tedesca è tornata ad essere una potente locomotiva. Sarà una coincidenza, ma il nuovo vento del nord tedesco in favore del welfare e dei lavoratori arriva assieme all’intesa per dare vita a un governo di unità nazionale tra i democristiani e i socialdemocratici. Mercoledì 7 febbraio, dopo una lunghissima maratona di trattative, è stato trovato l’accordo: Angela Merkel è confermata cancelliera, ma la Spd conquista tre ministeri chiave: Esteri, Finanze e Lavoro.
Così dopo 5 lunghi mesi di “vacatio” del governo (le elezioni politiche si sono svolte a settembre) la Germania potrà evitare il pericolo di un nuovo ricorso alle urne. La Merkel è soddisfatta: l’accordo è il presupposto per «un governo stabile». L’impresa è stata complicata: l’intesa con i socialdemocratici sui ministeri «non è stata facile».
Tuttavia sia tra i democristiani tedeschi, principalmente tra quelli più conservatori della Baviera (la Csu), sia soprattutto all’interno della Spd lo scontento è forte. Gran parte dei socialdemocratici attaccano Schulz per aver dato il disco verde a un nuovo governo di grande coalizione dopo aver detto «mai più». Le conseguenze sono state immediate: Schulz ha rinunciato a diventare ministro degli Esteri e alla presidenza del partito. Tuttavia ha confermato la bontà della nuova alleanza con la Merkel: «Con la nuova coalizione ci sarà un cambio di direzione» in Germania e sulla Ue. Traduzione: il futuro governo liquiderà la politica del rigore finanziario per puntare a un programma di investimenti nella Repubblica federale e in Europa in favore dell’occupazione, delle infrastrutture pubbliche, della scuola, della ricerca, delle esigenze sociali.
Comunque non tutti gli ostacoli sono stati superati sulla strada del governo di grande coalizione. La Spd ha indetto un referendum tra gli oltre 460 mila iscritti per sapere se sono favorevoli o contrari a questa scelta. I risultati si dovrebbero conoscere domenica 4 marzo, lo stesso giorno delle elezioni politiche in Italia. L’esito del referendum non è scontato. Nelle elezioni di settembre i socialdemocratici sono stati duramente penalizzati e sono scesi al minimo storico di voti per i risultati giudicati deludenti del precedente esecutivo di “larghe intese”. È a rischio il nuovo vento in favore del welfare, potrebbe subire una “gelata” a Berlino.
Fonte: www.sfogliaroma.it