La gioia per la liberazione, programmata ad arte, di Deniz Yucel, corrispondente di Die Welt dopo un anno di prigione in attesa del processo per “propaganda del terrorismo”, è durata poche ore, oscurata dalla condanna all’ergastolo per Ahmet Altan, scrittore e giornalista, suo fratello Mehmet, economista e editorialista e la veterana del giornalismo turco Nazlı Ilıcak.
La Corte del 26 ° Tribunale penale di Istanbul al termine della quinta udienza del processo che li vedeva imputati di aver tentato di “rovesciare l’ordine costituzionale attraverso l’uso della forza e della violenza” ha accolto la richiesta di carcere a vita per loro e altri i tre colleghi che nessun’altra ‘colpa’ hanno se non quella di aver fatto il proprio mestiere.
Ahmet e Mehmet Altan erano stati entrambi arrestati il 10 settembre 2016, mentre la Iliack era finita in carcere il mese prima.
È una prima gravissima sentenza per uno dei tanti procedimenti giudiziari contro i giornalisti accusati di essere collegati al tentativo di colpo di stato del 15 luglio 2016. Come gli Altan e la Ilicak altri colleghi rischiano di essere condannati al carcere a vita.
Utilizzando le parole di Ahmet Altan, scrittore di fama internazionale, l’unico romanziere in carcere in Europa, ci troviamo a cospetto di “un misero surrogato di atto d`accusa, privo non solo di intelligenza ma anche di rispetto per la legge e troppo debole per sostenere il peso immenso della condanna di ergastolo richiesta dal pubblico ministero”.
Accuse talmente paradossali che non meriterebbero neanche una difesa seria.
Giornalisti e intellettuali turchi sono accusati di aver inviato “messaggi subliminali” nei giorni precedenti al golpe per favorire la sua riuscita.
A parte qualche articolo e un’apparizione in tv, come nel caso del processo Cumhuriyet che vede tra i 18 imputati il noto giornalista investigativo Ahmet Sik, non c’è nulla che sostenga l`imputazione di golpismo e di legami con gli uomini accusati di essere ideatori del push sventato.
Non possiamo che essere, tutti noi, preoccupati e delusi. A nulla è valsa la sentenza della Corte Costituzionale che aveva disposto la scarcerazione degli imputati perché erano stati violati i loro diritti umani.
Questa sentenza ha decretato la morte dello stato di diritto in Turchia. Nessuno ora ha più alibi.