La giustizia dei giusti è imperfetta, incompiuta, arresa, archiviata. Il sindaco Angelo Vassallo è morto. E’ morto quel 5 settembre del 2010, quando un killer gli sparò nove colpi di pistola, lasciandolo nell’assordante silenzio di una notte cilentana. E’ morto, per la seconda volta, sette anni e mezzo dopo, quando la giustizia ha issato la bandiera bianca sulle indagini. Nessuna altra proroga. Il delitto di Angelo Vassallo verrà chiuso in un armadio della Procura di Salerno.
“C’è rimpianto” ha detto il procuratore generale di Salerno, Leonida Primicerio, nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario annunciando l’archiviazione del caso. E’ l’unico che ha avuto il coraggio di annunciare la resa, di guardare in faccia la Giustizia morta e fare umana autocritica. Quel rimpianto duole, però, come la morte in chi resta.
La Procura tace, prova a gettare un velo di silenzio, assordante. Tiene lontano dai riflettori la resa, la giustizia imperfetta che diventa mistero fitto, come tanti altri misteri italiani. La Procura tace, così come ha tentato di tacitare la voce critica della stampa. Simbolo di questo, il titolo di prima pagina de ‘La Città’, il 5 settembre 2016, quando il giornale era ancora del Gruppo editoriale L’Espresso: ‘Vassallo uccisa anche la giustizia’. Un’amara premonizione. La Procura nasconde, sotto il tappeto, polvere di piombo: quello della morte di un uomo simbolo. Nasconde quella polvere così come ha fatto in questi anni quando ha avuto come obiettivo non la Verità ma giornalisti che, semplicemente raccontando, tenevano vivo il silenzio del fallimento imminente. Più accanita, la Procura a svelare le fonti di una notizia, in spregio ai principi costituzionali, che a mettere insieme le sillabe di un nome: quello dell’assassino. Inchiodata su un movente per il quale non è riuscita, nonostante centinaia di intercettazioni, decine di esami del Dna, un dispiegamento di mezzi e uomini che pochi casi giudiziari hanno avuto nella storia italiana, a trovare le prove di un assassinio di ‘Stato’, di un uomo delle istituzioni. E’ un fallimento di Stato.
E ora che la Giustizia è morta e con essa anche – per la seconda volta – il sindaco pescatore, nella lista degli indagati sul fascicolo ‘Omicidio Vassallo Angelo’ al posto del nome dell’assassino c’è la scritta: ignoto.
Resta, in un’indagine parallela quella a carico di un giornalista (nulla cambia se quel nome sia proprio il mio) che si è battuto con l’intera categoria per la libertà di far conoscere un pezzo di storia di quel tortuoso e imperfetto mondo della giustizia dei giusti. Un giornalista al quale hanno sequestrato il cellulare per scoprire un nome: quello di una fonte.
La giustizia dei giusti è morta, oggi, in chi – per anni – ha provato a squarciare il velo del silenzio su un’indagine che stava attraversando i percorsi tortuosi del tunnel senza uscita, tra pentiti, testimonianze inattendibili e depistaggi. In quel caso, la Giustizia – anziché concentrarsi sull’obiettivo della Verità – ha preferito deviare anche nel labirinto dell’imposizione, mortificando la libertà di stampa, più preoccupata a proteggere se stessa che a dare un volto e un nome ad un assassino.
E allora il fallimento della Verità dei giusti non può essere solo rimpianto.
Vivido, dolorante, urlante è il tempo della resa arrivata dopo anni di indagini.
Muore la Giustizia dei giusti ma non la libertà di cercare la verità, perché Angelo Vassallo, il sindaco pescatore, è un uomo che urla Verità. Quell’uccisione non può rimanere uno dei tanti misteri italiani e non può perdersi nel labirinto della dimenticanza, della resa, del rimpianto.
La Fondazione Vassallo e, Dario, il fratello che più di altri – con compostezza e rigore – ha seguito senza accondiscendenza questo lungo percorso di giustizia imperfetta hanno organizzato la manifestazione pubblica “Per Angelo. Conoscere la verità per tornare a credere nella giustizia”. Il prossimo 10 febbraio, ad Acciaroli davanti a quel mare nel quale si rispecchiava il bicchiere di acqua limpida nelle mani del sindaco pescatore, sfileranno in tanti. Parteciperanno anche i sindaci di altre città. La lontana Bologna, città gemellata con Pollica, ha approvato un ordine del giorno per chiedere che le indagini continuino. Bologna ha fatto più del Comune di Pollica, dove chi è rimasto si è impegnato più a cercare di cancellare il marchio della ‘camorra’ che quello dell’omertà e del silenzio.
Su Change.org è stata avviata una petizione che in pochi giorni ha raccolto migliaia di firme: il prossimo Governo dovrà istituire una commissione di inchiesta che faccia luce sull’omicidio di Angelo Vassallo. E’ un appello che grida Verità.
Non può calare il silenzio su un omicidio di Stato, che ha colpito l’uomo, l’istituzione, i valori indissolubili. Qualunque essa sia, c’è urgente sete di Verità.
Non si può coprire una Giustizia imperfetta con un doloroso rimpianto. Angelo Vassallo, quello che ha significato per chi lo ha conosciuto e amato ma anche per quelli, tanti, che hanno tenuto accesa una luce sul percorso della verità, non può morire nel silenzio di una notte cilentana e nel rimpianto di una resa.