“Sono tutti uguali”. Badate, non in base alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo che ci proclama tutti “Liberi e Uguali”, anche se ahimè non lo siamo, ma con riferimento alla corruzione diffusa nel mondo politico. Di fatto, se non sempre coscientemente, sembra essere questa la convinzione di fondo che ispira il commento mediatico al dibattito politico italiano. Non senza un certo compiacimento, a volte, da parte degli stessi commentatori. Che in questa brutta campagna elettorale ciò traspaia soprattutto nella critica ai Cinque Stelle, come un tempo avveniva con la “diversità” del PCI, la sostanza non cambia. E poiché si dice che il giornalista deve essere “cane da guardia” e non “cane da salotto”, potrebbe addirittura sembrare che questo atteggiamento faccia parte dei doveri professionali. E’ giusto così?
Me lo chiedo perché la correità generale si accorda perfettamente con il pregiudizio popolare secondo cui “la politica è una cosa sporca”, i politici “so’ tutti eguali”, “il più pulito ha la rogna” ecc. Tanto più quando il pregiudizio non è applicato con equanimità “anglosassone” a tutte le parti politiche, ma strumentalmente dosato a seconda della linea politica del giornale. Col risultato probabile che a pagarne il prezzo siano soprattutto i candidati che non dispongono del sostegno dei media. Oppure – e non so quale delle due sia la conseguenza peggiore – che siano invece i giornali a perdere di credibilità.
Intendiamoci. L’accanimento nei confronti dei Cinque Stelle, per cui è sufficiente l’iscrizione di un candidato nel registro degli indagati per scatenare il sarcasmo universale è perfettamente speculare all’arroganza con cui a loro volta i grillini hanno attaccato per anni l’intero parlamento come una casta di incapaci e corrotti, riservandosi una presunzione di innocenza del tutto infondata. Per questo ha buon gioco Francesco Merlo a ironizzare sulla repubblica di oggi: ” Va bene che anche Cristo sbagliò a scegliersi uno dei 12 apostoli, ma Di Maio ne ha sbagliati sinora 13, che è più di uno per ogni due giorni di campagna elettorale. Come Ignazio Marino e Rosario Crocetta, anche Di Maio appartiene alla più modesta antropologia degli onesti tontoloni che, senza accorgersene, allevano come pecorelle i lupi più furbi”.
“Di Maio li espellerà pure dal movimento ma intanto li porta in parlamento”, commenta il personaggio nella vignetta di Vauro sul Fatto Quotidiano. Vero, ma bisognerebbe anche aggiungere che quella dichiarazione di espellerli fatta prima del voto renderà meno facile la loro elezione. Ed è sempre meglio che insorgere contro la “giustizia a orologeria” come fanno altri. Ora, lungi da me tifare per i Cinque Stelle, ma non varrebbe la pena di incoraggiare la “diversità” piuttosto che demolirla ogni volta con una chiamata di correo? Io non credo che una certa condiscendenza del potere, sia politico che mediatico, verso la furbizia dei lupi unita al disprezzo degli “uomini di mondo” per l’onestà dei “tontoloni” stia giovando alla lotta alla corruzione, che continua purtroppo a dilagare nel nostro Paese.
Più in generale, ai colleghi vorrei dire ancora una volta che nel nostro mestiere è sempre meglio distinguere che semplificare, anche se questo è più facile e magari “vende” di più. E a costo di apparire – come probabilmente sono – un ingenuo, vorrei che la stessa attenzione impiegata, peraltro giustamente, nel frugare tra i registri degli indagati fosse messa nel segnalare quanto c’è di apprezzabile nel comportamento di questo o quell’uomo politico, indipendentemente dalla sua posizione di leader e dal partito che rappresenta. Vorrei infine che le campagne elettorali di tutti i partiti si giudicassero soprattutto per le cose fatte e per quelle da fare, sulle idee e sui valori difesi, sulla serietà e credibilità dei programmi, non tanto, come avviene oggi, sui personalismi e sulle logiche di schieramento. Sono certo che la nostra democrazia ci guadagnerebbe e che si ridurrebbe anche la deprecata astensione dal voto.