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Papa Francesco prega per la pace e Trump vuole armare gli insegnanti

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Mentre papa Francesco chiede di dedicare, la giornata del 23 febbraio, primo venerdì di Quaresima alla preghiera e al digiuno per la pace nel mondo, il presidente americano Donald Trump, davanti a genitori e figli sopravvissuti alla strage in una scuola di Parkland, in Florida, che ha visto un ex studente aprire il fuoco nei corridoi dell’istituto, uccidendo 17 ragazzi, ipotizza di armare gli insegnanti. E invece quegli stessi ragazzi hanno organizzato per il 24 marzo una marcia per sensibilizzare a leggi più restrittive per la detenzione di armi da fuoco. Ma, come ben si sa, in America le lobby che spingono l’uso delle armi, il loro commercio e la diffusione della cultura della violenza, sono ben “coccolate” e colluse con il potere. «In Italia c’è un enorme mercato di armi illegali, finanziato dalla criminalità organizzata», ha recentemente detto a Vicenza il giornalista Riccardo Iacona, che sull’argomento ha curato un’inchiesta per la sua trasmissione “Presa Diretta”.

Ma sta crescendo anche il numero della gente comune che decide di armarsi. «La legislazione italiana – spiega Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Opal (Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa) di Bresciaè di fatto sostanzialmente permissiva in materia di detenzione di armi: a qualunque cittadino incensurato, esente da malattie nervose e psichiche, non alcolista e tossicomane (con tutte le difficoltà di verifica di queste situazioni), è generalmente consentito – con un mero “nulla osta” o con una semplice licenza di tiro sportivo – di detenere tre armi comuni da sparo, sei di tipo sportivo, otto armi antiche, un numero illimitato di fucili e carabine da caccia, 200 munizioni per armi comuni, 1.500 cartucce per fucili da caccia e 5 chili di polvere da caricamento. Detto in parole semplici, in Italia un legale possessore di armi può tenere in casa un piccolo arsenale». In generale, nel mondo è aumentato il numero di armi, molte provengono dagli arsenali ex sovietici, ma anche da quelli di Gheddafi. Con il crollo del regime le sue armi si sono “volatilizzate”, finite per lo più nelle mani di milizie e trafficanti. Poi c’è il business. L’industria bellica non conosce né riposo, né crisi.

L’Occidente vende al Medio Oriente, ma vende anche all’Africa, ma anche il Medio Oriente vende all’Africa, e così pure la Cina, poi c’è la Russia… tutti vendono armi a tutti, a seconda della capacità produttiva. Nel 2006, la Libia era il miglior cliente delle fabbriche d’armi italiane: 93,2 milioni di euro. Il circolo vizioso armi-conflitti non si esaurisce mai, perché ciascun elemento alimenta l’altro. Nell’ultimo ventennio, questo “giochino perverso” ha provocato 7 milioni di vittime e 50 milioni di profughi e rifugiati. “Il mondo continua a spendere somme enormi per ridurre e contenere la violenza e poco per la costruzione della pace”: si legge nel Global Peace Index del 2016. Papa Francesco si è concentrato sulle situazioni del Sud Sudan e della Repubblica Democratica del Congo, due Paesi particolarmente martoriati, che vivono crisi umanitarie terribili, con milioni di persone che rischiano di morire di fame, ma l’appello alla preghiera è per la fine di tutti i conflitti in atto, e sono davvero tanti, e di varia natura. Dalle guerre civili (Colombia, Sud Sudan), a quelle per il controllo del traffico di droga (Messico), il conflitto israelo-palestinese, che perdura da settant’anni, tra momenti di crisi e altri di pace apparente, e che è stato recentemente rinvigorito dalle affermazioni del presidente americano su Gerusalemme capitale dello Stato di Israele, la guerra contro Daesh in Iraq e Siria, e contro i talebani in Afghanistan, la persecuzione dell’etnia Rohingya in Myanmar, e poi la Somalia, la Nigeria, dove nella notte fra lunedì 19 e martedì 20 febbraio, altre ragazze sono state rapite dal gruppo terroristico Boko Haram, il Centrafrica, la Libia, lo Yemen…

Come sempre è stato, a patire di più sono i civili, con l’aggravante che per i nuovi gruppi di combattenti non si tratta di persone esterne al conflitto e quindi da tutelare, anzi, vengono usati come bersagli per incutere il terrore, o come scudi umani, per mostrare al mondo la propria forza. Più volte papa Francesco ha tuonato “contro chi si riempie la bocca di pace e poi vende armi sottobanco”. Ma il punto è che il concetto di pace non è per tutti chiaro. « Noi siamo convinti di portare la pace con la guerra .Quando siamo andati in Libia a bombardare, stavamo andando a portare la pace, esattamente come quando siamo andati a bombardare la Serbia, perché dovevamo portare la pace in Kosovo – ha spiegato Raffaele Crocco, direttore dell’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, intervenuto il 12 febbraio all’università di Padova nell’ambito dell’incontro “Ministero della Pace: una scelta di Governo”, organizzato a sostegno della campagna omonima -. Con pace di solito si intende la fine della guerra, ma non è così. In Europa ne abbiamo degli esempi. La Bosnia, dove non si combatte, non è una terra di pace. La pace è costruzione, va messa a sistema, bisogna farla diventare una cosa normale. Noi viviamo in un pianeta che ha 193 paesi, di cui 36 sono in guerra, una decina sono in situazioni a rischio; a spanne parliamo di tre miliardi di individui coinvolti direttamente, quindi quasi metà della popolazione mondiale. Ogni anno l’agricoltura mondiale cresce dell’1,5%, però ci sono 839 milioni di individui che domattina rischiano di morire di fame. Duecento milioni di individui non hanno accesso ad alcuna forma di assistenza sanitaria. In quaranta paesi africani su 53, l’aspettativa di vita è 39 anni, la nostra è di 81. Duecento milioni di bambini non possono andare a scuola. L’1% della popolazione mondiale controlla più del 90% della ricchezza. Sono ragioni sufficienti a far sì che qualcuno ogni tanto si arrabbi e decida di fare una guerra? Oppure sono motivi per cui qualcuno scelga di sfruttare ulteriormente le situazioni per tentare di arricchirsi ancora di può? Creare un Ministero della pace significa lavorare per un riequilibrio reale dei diritti, delle risorse, della ricchezza, verso una maggiore giustizia. Se noi riuscissimo a crearlo in Italia, significherebbe dare un impulso vero a un processo di cambiamento che poi dovrà essere per forza internazionale»:


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