Fatti che si replicano, sembrano legittimarsi con il tempo. Concludevamo il 2017 con lo spettro della nuova marcia su Roma, dei così battezzati “patrioti”, con le ronde contro i migranti e l’incursione nel comitato “Senza Frontiere” a Como dei naziskin, il blitz di Forza Nuova contro la sede romana di <<Repubblica>> e le conseguenti minacce alla giornalista dell’Espresso Arianna Giunti per la sua inchiesta sull’odio e la violenza con cui i “fascisti del terzo millennio” riempiono i social network, che aveva infastidito non poco i militanti dell’ultradestra. L’inizio del nuovo anno non è stato di certo meno violento, a cominciare dalla sparatoria contro undici migranti a Macerata, dalle conseguenti minacce al Ministro della Giustizia Andrea Orlando, fino ad una prima manifestazione antifascista non voluta e all’ultima prevista per questo sabato a Roma. Tutti questi fatti e presumibilmente quelli che seguiranno tengono aperto il dibattito sull’importanza di contrastare, in maniera netta e unanime, l’estremismo violento e ogni sua appendice, non solo perché espressamente rinnegato dalla nostra Costituzione ma anche perché risente della mancanza democratica e pluralista su cui l’Italia si fonda. E’ per cercare di capire che ho incontrato Carlo Greppi, storico e scrittore, per fargli qualche domanda.
Ho provato a mettermi nei panni di questi “fascisti del terzo millennio”, ma quel che fanno e professano va al di là della mia comprensione. Vorrei avere il tuo punto di vista: possibile che escludano la verità della Storia?
Partiamo da chi queste verità prova a negarle. Mi capita spesso, incontrando gli studenti, che mi venga chiesto cosa rispondere a un negazionista. Secondo me la risposta è in realtà piuttosto semplice, ed è un’altra domanda. Di fronte al dilagare di posizioni “riduzioniste” e “revisioniste” io suggerisco di guardare l’interlocutore negli occhi, e chiedergli: “Tu sostieni che nella Shoah morirono meno persone o che sia stato giusto sterminarle?”. Perché, al netto del fatto che questa verità storica non è in discussione – i primi a darci una dimensione del crimine da loro perpetrato, ricordiamolo sempre, furono gli stessi esecutori – chi prova a negarla o a ridimensionarla è, nella stragrande maggioranza dei casi, neofascista o neonazista. È in malafede, e fa il gioco delle tre carte, confonde le acque. Ed è questo che deve far paura: si tratta di “controstorie” che in quanto tali hanno una diffusione da non sottovalutare, specialmente tra chi ancora non ha una visione sufficientemente critica della realtà che lo circonda, come gli studenti. Il problema dei giovani “fascisti del terzo millennio”, come sostiene Marco D’Eramo nella recente inchiesta di Christian Raimo – uscita su “Internazionale” con il titolo Ritratto del neofascista da giovane – è a monte. “L’aver raso al suolo ogni ideologia di sinistra ha lasciato che sopravvivesse, al riparo dalle critiche, una criptoideologia fascista, che è rimasta l’unica ideologia antisistema disponibile per un adolescente”, sostiene giustamente D’Eramo, e lo diciamo in tanti da tempo. È il momento di fornire ai “nostri ragazzi” altri modelli di riferimento, convincenti, inclusivi, volti a correggere le ingiustizie e ciò che deve essere intollerabile ai nostri occhi, come il fascismo con tutti i suoi possibili prefissi (post-, neo-, etc.). Senza balbettii o ambiguità.
Il fascismo è veramente tornato o in realtà aspettava solo che la democrazia fosse talmente fragile da permettergli di riaffermare i propri valori? Cosa si dovrebbe fare, o non fare, per promuovere il dialogo e auspicare la condivisione di valori antifascisti?
Innanzitutto non parlerei di “valori” in senso neutro per definire il fascismo, quanto piuttosto di disvalori. Ricordiamoli, alcuni di questi disvalori: il culto del capo, la guerra (anche ai civili), il disprezzo per “l’altro”, la persecuzione di chiunque non rientri nella comunità arbitrariamente individuata dal leader e dai suoi scudieri. Per il fascismo la violenza, oltre a essere un legittimo strumento della politica, era appunto un valore. Per la stragrande maggioranza degli antifascisti, che hanno combattuto le squadracce prima, il regime poi e infine la Repubblica sociale italiana e gli occupanti nazisti, il ricorso alla violenza è stato un male necessario. Nei venti mesi di Resistenza, dal settembre del 1943, decine di migliaia di uomini e donne hanno impugnato le armi proprio perché volevano costruire un paese in cui quei disvalori tornassero al loro posto, perché volevano mettere fine a quel mondo alla rovescia che era stato instaurato dal fascismo. Come avrebbe scritto Raffaele Cadorna, comandante in capo del Corpo volontari della libertà – il “braccio armato” del Comitato di liberazione nazionale alta Italia –, “fu allora l’amore ad unirci. Amore di un paese non vile che sembrava affondare in un vortice di vergogna e di viltà”. Noi abbiamo un debito enorme nei confronti di questi uomini e queste donne che hanno contribuito alla sconfitta del fascismo, e che ci hanno regalato un paese libero. E abbiamo lo stesso debito nei confronti di chi verrà dopo di noi. Il fascismo che hanno conosciuto i nostri antenati – quell’esperienza storica incarnata nel Ventennio – non tornerà, e non serve essere uno storico per rendersene conto. Ma questa feroce onda nera che serpeggia in Europa, per le nostre strade, sui nostri social, che è tollerata e persino legittimata da molti media, va fermata. Non con il dialogo, perché si inserisce in un contesto democratico per trovare spazio e per potere soffocare la fragile democrazia in cui viviamo. Non ho delle risposte: mi verrebbe da dire che si può fare (anche) con la cultura, mostrando dove può portare questa deriva e raccontando le vite straordinarie di chi riuscì, nel nostro passato, a contrastarla.
Puoi spiegare brevemente cosa sono stati il fascismo e il nazismo per i nostri popoli, e perché un tale incitamento a uno svuotamento dei significati democratici voglia dire incoscienza storica e difetto della memoria?
Merda. Non sarà un termine storiograficamente impeccabile, lo so, ma non possono esistere le mezze misure, nel condannare il fascismo e nazismo. Fascismo e nazismo sono stati due feroci regimi liberticidi, le cui manie di grandezza hanno provocato decine di milioni di morti. Davvero esiste qualcuno che vuole che si ritorni in quel baratro? Fascismo e nazismo sono stati due laboratori che hanno educato alla morte intere generazioni, iniettando una cultura del disprezzo i cui detriti sono visibili ancora oggi nella nostra società. Cosa si può salvare di queste esperienze? Niente. Cosa ci dice il fatto che abbiano avuto dei picchi impressionanti di consenso? Di fare molta, molta attenzione. Perché ricordiamoci sempre cosa scrisse Primo Levi nell’appendice del 1976 a Se questo è un uomo, a proposito del “frutto velenoso nato dal tronco funesto del fascismo”, l’odio nazista: “Non possiamo capirlo; ma possiamo e dobbiamo capire di dove nasce, e stare in guardia. Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre. Per questo, meditare su quanto è avvenuto è un dovere di tutti. Tutti devono sapere, o ricordare, che Hitler e Mussolini, quando parlavano pubblicamente, venivano creduti, applauditi, ammirati, adorati come dèi. Erano «capi carismatici», possedevano un segreto potere di seduzione che non procedeva dalla credibilità o dalla giustezza delle cose che dicevano, ma dal modo suggestivo con cui le dicevano, dalla loro eloquenza, dalla loro arte istrionica, forse istintiva, forse pazientemente esercitata e appresa. Le idee che proclamavano non erano sempre le stesse, e in generale erano aberranti, o sciocche, o crudeli; eppure vennero osannati, e seguiti fino alla loro morte da milioni di fedeli. Bisogna ricordare che questi fedeli, e fra questi anche i diligenti esecutori di ordini disumani, non erano aguzzini nati, non erano (salve poche eccezioni) dei mostri: erano uomini qualunque. I mostri esistono, ma sono troppo pochi per essere veramente pericolosi; sono più pericolosi gli uomini comuni, i funzionari pronti a credere e ad obbedire senza discutere, come Eichmann, come Höss comandante di Auschwitz, come Stangl comandante di Treblinka, come i militari francesi di vent’anni dopo, massacratori in Algeria, come i militari americani di trent’anni dopo, massacratori in Vietnam. Occorre dunque essere diffidenti con chi cerca di convincerci con strumenti diversi dalla ragione, ossia con i capi carismatici: dobbiamo essere cauti nel delegare ad altri il nostro giudizio e la nostra volontà. Poiché è difficile distinguere i profeti veri dai falsi, è bene avere in sospetto tutti i profeti; è meglio rinunciare alle verità rivelate, anche se ci esaltano per la loro semplicità e il loro splendore, anche se le troviamo comode perché si acquistano gratis. È meglio accontentarsi di altre verità più modeste e meno entusiasmanti, quelle che si conquistano faticosamente, a poco a poco e senza scorciatoie, con lo studio, la discussione e il ragionamento, e che possono essere verificate e dimostrate. È chiaro che questa ricetta è troppo semplice per bastare in tutti i casi: un nuovo fascismo, col suo strascico di intolleranza, di sopraffazione e di servitù, può nascere fuori del nostro paese ed esservi importato, magari in punta di piedi e facendosi chiamare con altri nomi; oppure può scatenarsi dall’interno con una violenza tale da sbaragliare tutti i ripari. Allora i consigli di saggezza non servono più, e bisogna trovare la forza di resistere: anche in questo, la memoria di quanto è avvenuto nel cuore dell’Europa, e non molto tempo addietro, può essere di sostegno e di ammonimento”.