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L’università pubblica, ma per pochi

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Le difficoltà degli studenti catanesi che non hanno ricevuto la borsa di studio

“Studiare diventa un lusso quando non è più un diritto garantito, quando non ti è permesso farlo con la serenità necessaria. Libri, tempo e mezzi impiegati per raggiungere l’università come li pago quando a lavorare è solo mio padre? Quando c’è anche il mutuo della casa? Puoi solo rimboccarti le maniche e iniziare a lavorare con turni serali, perché di giorno non puoi lavorare per seguire le lezioni. Mi sento frustrata perché vorrei dare di più con gli esami, ma non posso lasciare il lavoro perché altrimenti non posso permettermi l’università. Scusate se sono ambiziosa, scusate se voglio crearmi un futuro migliore”.

Di Mario Libertini 

Laura studia all’università di Catania, come lei altri cinquemila studenti hanno iniziato l’anno accademico senza il contributo economico della borsa di studio, mentre altri mille non potranno utilizzare l’alloggio che gli spetta di diritto. Una copertura dei contributi che non va oltre il quaranta per cento dell’intero ateneo catanese.

“Come tanti altri ragazzi, per problemi legati alla mancanza di fondi, non ho potuto usufruire della borsa di studio” –racconta Claudia, studentessa di architettura- “Questo mi ha comportato una serie di disagi, tra cui i costi a mio carico per il materiale didattico, le stampe, il materiale per i modellini. Ho dovuto lasciare casa per non pesare ulteriormente sulla mia famiglia, e di conseguenza mi ritrovo a dover viaggiare quotidianamente”.

Ad alimentare il disagio il silenzio dell’Ente Regionale per il diritto allo studio, che si giustifica dietro la mancanza di fondi, rimbalzando il problema alla Regione Sicilia. “Siamo stati dimenticati da un ente regionale che ci considera soltanto alla stregua di numeri” -dice Mara- “A causa di questa privazione adesso rincorro i colleghi per cercare di comprare i libri di seconda mano, perché a prezzo pieno non me li posso permettere; cerco di usufruire del trasporto pubblico il meno possibile, perché anche i mezzi costano. E per tirare avanti mi sono dovuta inventare pure un lavoro per cercare di avere qualche soldo in tasca”.

Una vera e propria emergenza sociale, che si riflette inevitabilmente sul percorso universitario di chi, senza contributo economico, deve arrangiarsi come può. C’è chi, come Paolo, studente di medicina, arriva a pensare che l’unica soluzione sia abbandonare gli studi: “Ho sempre voluto fare il medico, e nonostante il percorso sia lungo e difficile ho sempre pensato che in qualche modo sarei riuscito a centrare il mio obiettivo. Ma ora è veramente dura, il pensiero di dover chiedere ai miei genitori sforzi economici per almeno sei anni mi spinge a ripensare il mio percorso. Tra frequenza obbligatoria, tirocini, ed esami ho dovuto abbandonare l’idea del lavoro da subito. L’idea che tutti possano diventare quello che vogliono è sempre più utopia. E questo per il solo fatto di voler rimanere in Sicilia”.

Da isiciliani


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