La pubblicazione delle trascrizioni di intercettazioni telefoniche non viola il diritto al rispetto della vita privata nel quale è incluso quello alla reputazione se la notizia è di interesse per la collettività. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Seferi Yilmaz contro Turchiadepositata il 13 febbraio (AFFAIRE SEFERI YILMAZ c. TURQUIE). A rivolgersi a Strasburgo è stato il proprietario di una libreria colpita da una bomba. I responsabili erano stati arrestati ma, nel corso delle indagini, erano emerse alcune conversazioni tra un presunto componente del PKK e il proprietario della libreria. Le trascrizioni delle registrazioni telefoniche erano state riversate nel fascicolo d’indagine.
L’uomo era stato accusato di incitamento all’odio e di partecipazione a un’organizzazione criminale. Dopo la sua assoluzione per questi due capi d’accusa e la condanna a un anno per aver fatto l’elogio di un crimine in una riunione pubblica, l’uomo aveva citato in giudizio un giornale perché aveva pubblicato le registrazioni telefoniche. I giudici turchi avevano respinto il ricorso. Stessa conclusione per un’altra azione relativa ad altro articolo. Di qui il ricorso a Strasburgo. Prima di tutto, la Corte europea ha sottolineato che le autorità nazionali devono raggiungere un giusto equilibrio tra tutela della reputazione, inclusa nell’articolo 8, e diritto alla libertà di stampa dei giornalisti assicurato dall’articolo 10 della Convezione. Nel caso in esame, nessun dubbio sull’interesse della collettività a ricevere la notizia. Ed invero, la Corte ha effettuato due valutazioni separate: da un lato gli articoli che riportavano le trascrizioni telefoniche e, dall’altro lato, l’articolo che riprendeva delle accuse vecchie. Nel primo caso, i giornalisti avevano pubblicato il contenuto dei documenti riversati nel fascicolo d’indagine, senza aggiungere insinuazioni o valutazioni rispetto alle trascrizioni. Si trattava – osserva Strasburgo – unicamente di fatti e non giudizi di valore, con base fattuale sufficiente.
Il ricorrente contestava la veridicità delle informazioni, ma i giornalisti si erano limitati a pubblicare atti contenuti in un documento ufficiale. In questi casi, i giornalisti che riportano notizie di interesse pubblico possono limitarsi a basarsi su tali documenti, senza dover svolgere ricerche indipendenti. Poco importa, poi, che il ricorrente non era stato condannato. Gli atti su cui si erano basati i giornalisti provenivano da fonti credibili e la valutazione sulla lesione del diritto alla reputazione deve essere svolta tenendo conto del momento in cui è stato pubblicato l’articolo di stampa e non certo sulla base degli esiti del processo. In pratica, nella decisione sul procedimento di diffamazione non può avere alcun rilievo l’assoluzione del ricorrente. A ciò si aggiunga che i giornalisti avevano pubblicato le trascrizioni quando il segreto istruttorio era venuto meno, senza modificare, in alcun modo, il contenuto delle stesse registrazioni. Strasburgo, poi, rafforza, la libertà di stampa su notizie di interesse per la collettività sottolineando che le informazioni di interesse pubblico sono un bene deperibile e, quindi, “ritardare la pubblicazione, anche se solo per un breve periodo, fa correre un rischio serio di privare di ogni valore o interesse la notizia”. Così, la Corte ha dato torto al ricorrente condividendo l’operato dei giudici nazionali che hanno messo al primo posto la libertà di stampa in ragione dell’interesse pubblico della notizia. Diversa conclusione per un altro articolo publicato da altro giornale (ricorso n. 38776/09), che non riportava le trascrizioni e che faceva apparire come accertata un’accusa, senza che il giornalista avesse agito nel rispetto delle regole deontologiche. In questo caso, la Corte ha riconosciuto al ricorrente la violazione dell’articolo 8.