Il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato ha parlato di “aspetti ambigui e insidiosi” della riforma intercettazioni a proposito del divieto per la polizia giudiziaria di fare un riassunto, il cosiddetto brogliaccio, come avviene, invece adesso, delle registrazioni che non reputa rilevanti, in modo che sia effettivamente il pubblico ministero a decidere su rilevanza e utilizzo. Il punto critico della nuova legislazione risiede proprio nell’indeterminatezza della formulazione della norma sulle annotazioni. Nella relazione ministeriale si legge che “gli ufficiali di polizia giudiziaria non hanno l’obbligo di informare sistematicamente il pubblico ministero con apposite annotazioni, devono farlo solo se nutrono il dubbio se si tratti di conversazioni rilevanti o meno”. Questo significa che la polizia giudiziaria assume un ruolo importante e primario rispetto alla funzione del pubblico ministero.
In buona sostanza viene meno, di fatto, il controllo del pubblico ministero sull’attività di polizia giudiziaria. Come può decidere un ufficiale di polizia giudiziaria, senza un’adeguata formazione specifica, quale ascolto sia rilevante e quale no? Per interpretare correttamente le conversazioni bisogna inquadrarle in un contesto specifico e leggerne ogni singola parola. Chi ha scritto questa legge non ha idea di come funzionino le procure della Repubblica e i tribunali. Nel nostro Paese i pubblici ministeri, pochi e con enormi carichi di lavoro, non riusciranno mai a fare i controlli che richiede questa legge. Scarpinato nella sua critica alla legge, teme che vada disperso il patrimonio di condivisione delle informazioni fra Procure, “eredità preziosa del metodo Falcone”, anche con il coordinamento della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo. Una cosa appare chiara: nella nuova legislazione sussiste la “non obbligatorietà” per la polizia giudiziaria di fare “annotazioni sistematiche” al pubblico ministero che, quindi, di fatto, non avrebbe sempre l’effettivo potere decisionale sull’uso del materiale.
Personalmente nutro molti dubbi sull’efficacia della nuova legislazione nella lotta alle mafie, poiché esiste un altro aspetto negativo della riforma: le limitazioni introdotte all’utilizzo dei trojan, cioè dei captatori informatici, nelle intercettazioni ambientali per reati diversi da terrorismo e mafia. C’è una riduzione fortissima dell’uso di questo strumento che provocherà un nocumento molto serio alle indagini anche in materia di criminalità organizzata poiché tale limitazione inciderà notevolmente sui “reati spia” prodromici all’associazione di stampo mafiosa (estorsione, riciclaggio, usura, gioco d’azzardo e così via). Nutro molte perplessità anche sull’efficacia della nuova disciplina. Molte delle norme ivi contenute, non solo non contribuiranno all’accelerazione dei processi, ma sono paradossalmente destinate a creare uno stallo negli uffici giudiziari, rallentando il lavoro delle procure, fino a bloccarlo completamente e a portarlo al collasso, con evidenti conseguenze negative sull’efficienza dell’intero sistema processuale penale. Non v’è dubbio che tali conseguenze negative produrranno i loro effetti anche nelle attività investigative finalizzate alla lotta alle mafie. A mio giudizio la normativa va rivista tenendo conto delle considerazioni negative sulla riforma delle intercettazioni che ben sette procuratori della Repubblica (Giuseppe Creazzo di Firenze, Francesco Greco di Milano, Giovanni Melillo di Napoli, Francesco Lo Voi e Roberto Scarpinato di Palermo, Giuseppe Pignatone di Roma, Armando Spataro di Torino) hanno espresso.
*Vincenzo Musacchio, giurista e già docente di diritto penale presso l’alta Scuola di Formazione della Presidenza del Consiglio in Roma