Sit-in e manifestazioni di protesta dei curdi, due fermati. ReteKurdistan: “la guerra di Erdogan contro le donne”
Di Pino Salerno
Quasi un’ora di colloquio in Vaticano con Papa Francesco per il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, nel primo appuntamento della visita in Italia segnata da tensioni al sit-in di protesta dei curdi, dove sono stati fermati due manifestanti dei centri sociali. Erdogan, accompagnato da moglie, figlia e cinque ministri, è rimasto per oltre 50 minuti da solo con il pontefice. Erdogan, primo capo di Stato turco a recarsi in Vaticano da 59 anni, ha ricevuto in dono da Francesco un medaglione con un angelo della pace che “strangola il demone della guerra, simbolo di un mondo basato sulla pace e sulla giustizia”, e il messaggio per la pace di quest’anno. Il presidente turco ha ricambiato con una panoramica di Istanbul in ceramica e quattro libri sul massimo poeta mistico persiano. Nel colloquio si è parlato dello status di Gerusalemme, della questione dei migranti, delle persecuzioni dei cristiani e della “necessità di promuovere la pace e la stabilità” nella regione mediorientale “attraverso il dialogo e il negoziato, nel rispetto dei diritti umani e della legalità internazionale”. Probabile si sia fatto cenno anche all’offensiva di Ankara contro la provincia curda di Afrin, in Siria. Al termine, Erdogan ha visto il segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin, e con il seguito ha visitato la Basilica di San Pietro. La visita di Stato è proseguita nel pomeriggio con i colloqui al Quirinale, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Successivamente si è intrattenuto per circa un’ora a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, poi la cena in hotel con un gruppo di imprenditori italiani dei gruppi che più investono in Turchia.
Sit-in e presidi contro Erdogan. A Roma, due fermati tra i curdi
Malgrado le imponenti misure di sicurezza con 3.500 uomini in campo, nell’unica manifestazione di protesta autorizzata si sono registrati scontri. Il sit-in promosso da Rete Kurdistan Italia nei giardini di Castel Sant’Angelo è degenerato quando un gruppo di attivisti dei centri sociali ha tentato di forzare il cordone di agenti antisommossa per muovere in corteo verso il Vaticano. La polizia ha respinto i manifestanti e ci sono stati anche due fermi. Tra gli striscioni esposti “Boia Erdogan! Giù le mani dal Kurdistan” e “Stato turco assassino”. Un altro presidio si è tenuto a Venezia davanti alla Basilica di San Marco con qualche decina di attivisti dei Centri sociali del Nord-est e dell’associazione Ya Basta. Mentre Erdogan lasciava il Vaticano, l’Olanda ha annunciato il ritiro del suo ambasciatore in Turchia dopo che i recenti “colloqui non hanno offerto una prospettiva di normalizzazione delle relazioni bilaterali”. All’ambasciatore olandese ad Ankara viene negato l’accesso in Turchia dal marzo scorso.
I giornalisti europei, con FNSI e Ordine, scrivono al papa, a Mattarella e a Gentiloni per denunciare la repressione in Turchia
Un sit-in di protesta è stato organizzato dall’Associazione dei curdi in Italia a Castel Sant’Angelo, a pochi passi dal Vaticano. Rasho Mohamad, cittadino curdo-siriano: “Ogni famiglia ha perso due o tre figli, che colpa hanno i curdi? Questa è la ricompensa per avere combattuto contro Daesh, abbiamo liberato Raqqa, abbiamo liberato Tabqa”. “Io sono un curdo di Afrin. Qual è la nostra colpa? Abbiamo perso i nostri cari, abbiamo perso i nostri nipoti di 10, 15, 5 anni. Avete visto questa fotografia? Qual è la loro colpa? Spero che il Papa lo mandi indietro, non può ricevere un assassino. E’ un terrorista perché ha ucciso migliaia di gente”. Alla manifestazione ha partecipato anche una delegazione di giornalisti e di rappresentanti di Articolo 21, Federazione nazionale della stampa (Fnsi) e Rete No Bavaglio. Articolo 21 e Fnsi hanno scritto una lettera aperta rivolta a Papa Francesco, Sergio Mattarella e Paolo Gentiloni, sottoscritta dall’European Centre for Press and Media Freedom, Reporter senza frontiere, International press institute e molte altre organizzazioni per la liberà di informazione, in cui si denuncia che “sotto le spoglie dello stato di emergenza e della lotta al terrorismo, decine di migliaia di persone sono state vittime di una repressione arbitraria che continua a peggiorare e colpisce tutte le categorie della popolazione, tra cui i giornalisti, ben 170 sono attualmente detenuti.
“La guerra di Erdogan è sempre stata una guerra contro le donne”, dice Haretter, della Rete Kurdistan
“La guerra di Erdogan è sempre stata una guerra contro le donne”, spiega all’agenzia DIRE Sveva Haretter, della Rete Kurdistan che oggi a Roma ha organizzato una protesta in sostegno dei curdi, e contro la visita del presidente Racep Tayyip Erdogan. Secondo Haretter, l’oppressione di cui il presidente e il suo governo sono responsabili “ha luogo nel Rojava”, la regione a maggioranza curda nella Siria del nord, e in particolare “contro una rivoluzione in cui le donne combattono in prima linea (contro i gruppi jihadisti come lo Stato islamico, ndr)”, ma anche in Turchia, “dove sono state chiuse per prime, tra i movimenti della società civile, le associazioni femminili”. Preoccupante secondo l’attivista anche il fatto che nell’Anatolia di recente le istituzioni religiose “abbiano legalizzato i matrimoni con bambine a partire dai 9 anni. Inoltre in molte città, per risolvere il problema delle molestie, sono stati creati gli ‘autobus rosa’, riservati alle donne”. La decisione in Turchia ha sollevato polemiche, in quanto finirebbe per “criminalizzare” la vittima piuttosto che il colpevole, aumentando “la segregazione di genere”, come ha spiegato la scrittrice e opinionista turca Elif Shafak sul ‘Guardian’ qualche settimana fa. E Sveva Haretter è d’accordo con lei: “E’ lo stesso paradosso che avviene da noi in Italia: per l’incidente di Macerata di sabato, si dà la colpa agli immigrati, e non alla violenza razzista”. Quindi la rappresentante della Rete ricorda la testimonianza della portavoce di Mambij, in Siria, secondo cui nei giorni scorsi militari turchi avrebbero oltraggiato corpi di due combattenti curde. “Non è la prima volta peraltro che viene fatto scempio del corpo di combattenti donne” accusa Haretter. “È un atto che mira ad offuscare la capacità di resistenza, la determinazione e il coraggio delle donne”.