Oggi è stato arrestato Franco Vignati, ex consigliere comunale e assessore di Chignolo Po, accusato dell’omicidio di Kruja Ladvije, badante albanese 40enne e madre di due figli, scomparsa a San Colombano al Lambro il 30 maggio 2016 e ritrovata cadavere l’8 giugno nel Po a Monticelli d’Ongina (Piacenza). Un femminicidio causato, scrivono i giornali, dal fatto che l’uomo “Non si rassegnava alla fine della relazione, che durava da un anno e mezzo, e dal fatto di non avere più una casa (Vignati si stava separando dalla moglie e viveva in casa di Dea)”, un movente che, raccontano i colleghi giornalisti, avrebbe portato Vignati a chiedere un appuntamento all’ex amante portando con sé una pistola calibro 7,62 per uccidere a sangue freddo con un colpo alla nuca Kruja Ladvije mentre era di spalle. Ieri a Foggia un uomo ha ucciso la moglie a coltellate in casa con i figli che per la paura sono scappati dai vicini che hanno chiamato i carabinieri: Federica Ventura, 40 anni, è stata colpita da dieci coltellate da Ferdinando Carella, 47 anni, che ha usato la stessa arma per tentare di uccidersi senza riuscirci. Due giorni prima un’altra donna era stata uccisa dall’ex marito a Livorno con un fendente alla gola: Francesca Citi, 45 anni, madre di due bambini, che aveva però denunciato l’ex marito per minacce e stalking, tanto che Massimiliano Bagnoli, dopo l’allontanamento dalla casa, era stato stato condannato a un anno e quattro mesi di reclusione che si era fatto ai domiciliari. E anche se a marzo era previsto un nuovo processo a suo carico, nei mesi in cui Bagnoli era tornato in libertà – che rappresenta il momento più pericoloso per la donna che ha denunciato l’offender – nessuno ha pensato di proteggere Francesca, perché nessuno aveva saputo valutare il rischio di vita che la donna correva, come tante altre volte.
Tre femminicidi che in pochi giorni sono stati rappresentati sui giornali ancora una volta come eventi inaspettati, omicidi a sé stante, raptus momentanei malgrado tutti questi uomini avessero con sé armi pronte a essere usate contro donne che conoscevano bene e che quindi hanno accettato di vedere i loro assassini, e tutti eseguiti, secondo il racconto della stampa, con un movente chiaro: la gelosia, la folle e cieca gelosia per amori mancati, relazioni naufragate, sogni troncati, come se fosse una reazione normale uccidere da parte di chi è stato lasciato.
Giornali e informazione che in questa settimana si sono superati narrando in una specie di grande pulp la macellazione del corpo di Pamela Mastropietro, la giovane romana di 18 anni uccisa e smembrata a Macerata per cui sono indagati 4 nigeriani per omicidio probabilmente a sfondo sessuale, a cui si aggiungono le 40 coltellate inferte sul corpo di Jessica Valentina Faoro, la ragazza di vent’anni uccisa da Alessandro Garlaschi che la ospitava a casa sua a Milano e che probabilmente lui perseguitava con richieste sessuali. Immaginari raccontati come una favoletta sanguinolenta, una sorta di La bella e la bestia versione splatter con corpi di donne strumentalizzati e martoriati al di là della notizia e solo per il gusto di rimescolare nel torbido in un gigantesco pentolone: come Pamela che è stata martirizzata dalle penne di giornalisti che pur non aggiungendo nulla all’informazione hanno creduto bene di mettere in piazza le sue ossa con descrizioni minuziose e senza pudore, una mattanza mediatica su un corpo di una ragazza che non può fare nulla per difendersi.
Stesso destino per la giovane Jessica descritta come una poveraccia nella disperata ricerca di una casa e capitata quasi per caso nella tana del mostro, come se fosse una sfortuna che a noi non potrebbe mai succedere in un racconto a metà strada tra cappuccetto rosso e lilly il vagabondo, e tutto questo grazie a una cultura che ritiene in fondo normale che una ragazza carina possa rischiare sempre, in ogni momento della sua vita, di essere stuprata o addirittura uccisa per motivi sessuali, a meno che non stia attenta a dove va, cosa fa, e come si veste (perché alla fine la responsabilità è sempre sua). Ragazze morte offerte al pubblico con immagini di tutti i tipi, in tutte le posizioni: innocenti, ammiccanti, semivestite, accattivanti, a dimostrare che in fondo ragazze così una cosa del genere se la devono anche aspettare, soprattutto se “una si droga” e l’altra è “una vagabonda”. Articoli che sono arrivati al top dello schifo quando hanno empatizzato con chi ha approfittato della situazione precaria di Pamela usando il suo corpo dietro pagamento: come l’uomo di 50 anni che senza preoccuparsi di cosa faceva quella ragazza romana di 18 anni da sola a Macerata, l’ha caricata in macchina e se l’è portata a casa, descritto come un pover’uomo alla ricerca di un’ora d’amore.
Racconti scorretti, scoop a chi conta meglio le ossa, veri e propri snuff dati in pasto a un pubblico goloso di B movie, più che notizie sui giornali con analisi dei fatti, del fenomeno e del contesto in cui queste morti son avvenute. Un mercato della carne umana che nel caso di Pamela ha mosso la politica razzista e xenofoba con lo stupro della sua memoria da parte di chi, come Salvini e la sua Lega, ha strumentalizzato quel corpo ucciso per portare l’odio in strada nel gesto omicida di Luca Traini. E questo sempre e ancora una volta sotto i nostri nasi, che continuiamo a scandalizzarci per le donne uccise, per le atrocità che gli uomini commettono, per la violenza con cui i rapporti di forza tra sessi si consumano nei rapporti intimi e intanto permettiamo di essere nutriti da un immaginario cannibale nell’ipocrita speranza che un giorno tutto possa cambiare. Ma cosa può cambiare in una sistema che fa di tutto questo il suo più prelibato pasto? Una succulenta mistura di morbosità fatta di sesso, ragazze carine, uomini violenti e squartatori? Una cultura che ancora adesso racconta di melodrammi fatti di gelosia e sangue, di raptus improvvisi e rende le donne responsabili della violenza che subiscono a causa della loro bellezza, o della pressione che fanno su poveri mariti che “non accettano la separazione”? Quella stessa cultura che ha prodotto le domande fatte dagli avvocati dei due carabinieri accusati di stupro da due studentesse americane a Firenze, pubblicate su Corriere della sera giorni fa: “portava biancheria intima quella sera? è fidanzata? è attratta dalle divise?”
Ma cosa te ne frega se porto le mutande, se sono carina o quante ossa sono entrate nella valigia? Quello che ti deve interessare è che sono stata stuprata, uccisa, picchiata, anche a causa della mentalità con cui mi descrivi, una cultura che rende tutto ciò normale e impunibile, e che nel mondo ha prodotto 1 miliardo di donne che sono nella mia stessa situazione a dimostrazione che quello che mi è successo non riguarda solo me, e non è imputabile al mio comportamento o al mio abbigliamento o alle mie abitudini, questo devi raccontare al mondo per rendere giustizia alla verità, nient’altro.