Si parla sempre più dei discorsi d’odio e della loro diffusione. Ma cosa sono di preciso, e quali sono gli strumenti legali, tecnici e culturali per combatterli? Un dossier speciale curato da OBCT, selezionando numerose risorse inserite nel Resource Centre sulla libertà dei media e della stampa
Cos’è l’hate speech?
Sebbene si tratti di un’espressione diffusa, non esiste una definizione univoca di hate speech (o discorsi d’odio). Le difficoltà in cui si imbatte la ricerca di una definizione condivisa sono legate al dibattito – giuridico, ma ancor prima politico-filosofico e dunque culturale – su quali siano i confini della libertà di espressione. Come possiamo definire (e quindi contrastare) i discorsi d’odio senza correre il rischio di limitare una libertà fondamentale? Questo dilemma precede internet, ma la rivoluzione tecnologica lo ripropone con rinnovata forza.
A fornire una base comune alle diverse definizioni di hate speech in circolazione sono stati i documenti prodotti dalle istituzioni internazionali del secondo dopoguerra. Stando a quanto raccomandato dal Consiglio d’Europa nel 1997, ricadono nei discorsi d’odio quelle “espressioni che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o altre forme di minaccia basate sull’intolleranza – inclusa l’intolleranza espressa dal nazionalismo aggressivo e dall’etnocentrismo –, sulla discriminazione e sull’ostilità verso i minori, i migranti e le persone di origine straniera”.
Se è vero che l’espressione “hate speech” si è affermata solo negli anni Novanta, l’osservazione del fenomeno e l’impegno a contrastarlo non sono nuovi (in precedenza si preferiva utilizzare l’espressione “incitamento all’odio”). Per molti decenni l’attenzione si è concentrata soprattutto sull’odio su base razziale, sull’antisemitismo e sul negazionismo. All’alba del nuovo millennio la sensibilità sul tema è cresciuta fino a comprendere le minoranze religiose (anzitutto musulmane, sempre più oggetto di minacce e discriminazioni), mentre altre categorie come le donne, le persone LGBT, i disabili e gli anziani sono considerate potenziali bersagli dei discorsi d’odio relativamente da poco tempo.
In sintesi, indipendentemente dalle forme assunte (scritte o orali, verbali o non verbali, esplicite o implicite) e dalla portata giuridica (eventuali “reati d’odio”), può ricadere all’interno della definizione di hate speech qualsiasi espressione violenta o discriminatoria nei confronti di altre persone o gruppi di persone. Proprio perché l’hate speech colpisce le persone per le loro caratteristiche e/o condizioni personali, le azioni di contrasto al fenomeno hanno bisogno di adattarsi al contesto e ai fenomeni sociali, economici, politici e tecnologici in corso.
Il problema del contrasto ai discorsi d’odio incrocia oggi i dilemmi e le contraddizioni della nascente era digitale. In un rapporto di recente pubblicazione, il Consiglio d’Europa ha inserito i discorsi d’odio all’interno del più vasto problema dell’information disorder, un inquinamento dei contenuti su scala globale che vede intrecciarsi le “patologie” dell’ hate speech e delle cosiddette fake news: la disinformazione nascerebbe dall’incontro tra mis-information (diffusione di notizie false ma innocue) e mal-information (notizie vere ma diffuse con l’intenzione di colpire).
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