Il prossimo 11 gennaio saranno vent’anni dalla scomparsa di Fabrizio De André ed è inutile star qui a dire chi sia stato Faber. Un genio, un poeta, un protagonista assoluto della canzone e della letteratura italiana, un autore che andrebbe fatto studiare nelle scuole e, fatte le debite differenze, il nostro Dylan, a sua volta meritevole, almeno secondo il mio metro di giudizio, del Nobel per la Letteratura.
Lo ha celebrato in questi giorni una splendida fiction andata in onda in due puntate su Raiuno, “Fabrizio De André – Principe libero”, con Luca Marinelli nei panni di Faber, Ennio Fantastichini nei panni di suo padre e Valentina Bellè nel ruolo della seconda moglie Dori Ghezzi.
Ciò che più mi ha colpito di questa fiction è stata non solo la somiglianza dei vari attori con i personaggi che interpretavano ma anche la bellezza profonda di ogni singolo dialogo, l’accuratezza delle inquadrature, la saggia miscela di recitazione e musiche di sottofondo, la valorizzazione sia dei brani più noti che di quelli meno conosciuti, il rifiuto di ogni stucchevole retorica e, al tempo stesso, la capacità del regista Luca Facchini e d Rai Fiction di portare questo gioiello nelle case di tutti gli italiani, senza distinzioni di idee politiche e di livello culturale.
Un De André spiegato bene, dunque, con la valorizzazione del suo pensiero anarchico, delle sue idee anti-conformiste, del suo procedere sempre in direzione ostinata e contraria, del suo scandagliare l’animo umano e del suo immaginare splendore dove gli altri vedevano solo miseria e abiezione affidata unicamente alla sua musica, senza appesantire i dialoghi né sfociare in un intellettualismo che avrebbe fatto la felicità di chi ama trascorrere la vita con il ditino alzato ma, probabilmente, avrebbe allontanato il vasto pubblico che, invece, si è voluto regalare due serate di buona televisione e di di saggia narrazione di una figura che sarebbe bene riscoprire nella sua essenza più vera.
Faber, infatti, è uno di quei personaggi che non appartiene a tutti, non è mai voluto appartenere a tutti e non ha mai sopportato i falsi, gli ipocriti e i cialtroni. Faber non appartiene ai razzisti, ad esempio, né a coloro che si riempiono la bocca dei drammi degli ultimi ma poi non fanno nulla per venire incontro al loro dolore. Faber non appartiene a chi discrimina il prossimo e si nutre di pregiudizi, e basta ascoltare i suoi capolavori per rendersi conto di cosa pensasse del perbenismo di facciata di una certa borghesia, dalla quale pure proveniva. Faber non appartiene a chi non sa scherzare, ai seriosi senza costrutto, ai faziosi, agli esagitati, ai farabutti di vario ordine e grado, a chi s riempie la bocca del concetto di libertà ma vive, in realtà, in una prigione dorata, ragionando in base a schemi mentali che somigliano molto a delle gabbie. Faber non appartiene a coloro che bocciarono scioccamente la canzone di Tenco a Sanremo, inducendolo al suicidio. Faber non appartiene a chi sa solo odiare, a chi non ha curiosità, a chi non si sforza di guardare il mondo con gli occhi degli altri, a chi vive immerso nella propria miseria morale, a chi non si ferma mai a fissare una volta di stelle, a chi non riesce a innamorarsi dell'”Antologia di Spoon River”, a chi non sa fermarsi a piangere e a chi pensa di bastare a se stesso. Faber, in poche parole, non appartiene quasi a nessuno e, meno che mai, a questo tempo che, purtroppo per noi e forse per fortuna sua, si è risparmiato. Per tutti questi motivi, probabilmente, è universale.
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21