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Delitto Rostagno: in appello riformata la sentenza di primo grado, c’è il mandante, mafioso, ma non il killer

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Colpevole! Anche la Corte di Assise di Appello di Palermo ha ritenuto Cosa nostra colpevole del delitto del sociologo e giornalista Mauro Rostagno . Ergastolo confermato quindi per Vincenzo Virga, il capo del mandamento di Cosa nostra trapanese. Assolto per non aver commesso il fatto il valdericino Vito Mazzara, condannato in primo grado, quando fu riconosciuto dai giudici come il sicario che uccise Rostagno. Accusa ora caduta ma resta in carcere a scontare altri ergastoli, sentenze definitive lo riconoscono colpevole di altri omicidi e come il killer di fiducia del capo mafia latitante Matteo Messina Denaro. Vito Mazzara non è un killer qualsiasi della mafia siciliana. Gli stessi mafiosi intercettati parlano di lui come di “un pezzo di storia da proteggere”, se si pentisse lui tanti misteri verrebbero risolti, e quindi l’ordine impartito dai mafiosi è stato sempre quello di proteggerlo assicurando ogni assistenza, a lui e ai suoi familiari. Ci sono le voci dei mafiosi che dicono ancora oggi questo. Rostagno fu ucciso nelle campagne trapanesi di contrada Lenzi il 26 settembre‬ del 1988 e a quasi 30 anni dall’omicidio esce confermata la pista investigativa che porta come mandanti del delitto la cupola mafiosa di Trapani. La sentenza di primo grado risale al maggio 2014 sancita, dopo quasi quattro anni di udienze, da una quasi monumentale documentazione di oltre 3 mila pagine, che seppe ricostruire a 23 anni dal delitto, gli affari mafiosi nati dall’intreccio tra mafia, politica, massoneria ed imprese, che Rostagno aveva cominciato a raccogliere uno per uno nei suoi reportage ed editoriali. Se i giudici di primo grado hanno ritenuto sufficiente la perizia del Dna per inchiodare il killer , grazie a quelle “impronte” genetiche trovate sui resti del fucile a canne mozze rinvenuti per terra sul luogo del delitto , il copri canna di legno si ruppe al momento dell’esplosione dei primi colpi, per quelli di appello la prova non è stata ritenuta adeguata per giungere ad un pronunciamento di colpevolezza per Mazzara. Per capirne di più bisognerà attendere il deposito delle motivazioni. Ma nel processo ci sono le parole, i racconti che i giudici di primo grado raccolsero durante il dibattimento, interamente riversati nel giudizio di appello e utilizzate dai pg Gozzo e Di Giglio per chiedere la conferma degli ergastoli per i due imputati. Vincenzo Sinacori ha raccontato l’irritazione del padrino Ciccio Messina Denaro nei confronti di Rostagno: “Mafia, mafia e sempre sta mafia!”. Così don Ciccio affidò a Vincenzo Virga di fare eseguire la condanna a morte del giornalista. I mafiosi provavano per così dire “mal di stomaco “ ogni giorno che Rostagno dagli schermi della tv dove lavorava, Rtc, leggeva i suoi editoriali: “ …perché era uno che tutti i giorni macinava a RTC … sempre contro… sempre… Cosa Nostra. Sempre: Mafia, mafia, mafia” e il motivo è questo…tutti ci lamentavamo di Rostagno, tutta la provincia di Trapani si lamentava di Rostagno”. E’ incontrovertibile che Rostagno fu ucciso mentre si apprestava a raccontare in tv gli affari a Trapani e in mezza Sicilia di mafia e massoneria. Aveva già pronta una trasmissione, Avana il titolo, la sigla era quella di una nota canzone di Paolo Conte, “Anni, anni , anni”. Una canzone che nel suo ritornello dice che per capire un po di più e per vedere cambiare le cose non basta un attimo ma anni. Durante il processo uscì fuori tanto materiale che Rostagno stava raccogliendo, ogni carta parlava di mafia e mafiosi, di politici e combriccole di massoni. Cosa nostra evitò con la sua morte un corto circuito che avrebbe potuto renderla finalmente violabile. La mafia intuì tutto questo raccontò il pentito Angelo Siino, agì, uccise e cercò di depistare. Siino ha raccontato del padrino di Mazara Mariano Agate che immediatamente dopo l’omicidio mise in giro la voce che quel delitto era una questione di “corna”. Agate lo stesso padrino che da un’aula di tribunale aveva mandato a dire a Rostagno “di finirla con il raccontare minchiate in tv”. La mafia doveva difendersi da Rostagno che ogni giorno guadagnava sempre maggiore credibilità in una opinione pubblica che la mafia stava perdendo al suo controllo. Quella di Mauro Rostagno è la storia di un giornalista ucciso in Sicilia che ricalca altre storie, altre storie di giornalisti morti ammazzati. Morti ammazzati da mafie che uccidono sempre per timore. Quando i boss uccidono non lo fanno mai per ostentare la loro potenza ma semmai la loro paura. Un giornalista è sempre fastidioso per il potere occulto e disonesto e la criminalità e lo è ancora di più quando non è più un testimone asettico, ma un protagonista attivo delle vicende che racconta. Fu questa la ragione che portò i killer a sparare per ordine di quella mafia spaventata di chissà o cosa sarebbe diventato Rostagno se fosse rimasto in vita, a vedersi imbiancare la barba in questa terra, come lui desiderava fare. Rostagno aveva raccolta certezze sulla presenza della massoneria negli affari illeciti trapanesi e che addirittura era stato il gran maestro della P2 Licio Gelli a sancire, venendo a Trapani in quegli anni ’80, il patto scellerato con Cosa nostra. Siino ha infatti riferito di un passaggio “trapanese” di Licio Gelli, indicandone non solo il periodo ma anche la ragione: il periodo è quello in cui il bancarottiere Michele Sindona si trovava a Palermo per il “finto sequestro” (periodo accertato tra l’agosto 79 e per le successive 11 settimane), la ragione, “organizzare un golpe”. Siino non fece generiche ipotesi. “Durante il periodo del finto sequestro Sindona – disse nell’aula del processo di primo grado – Gelli venne a Palermo e per un giorno intero sparì, non si seppe dove andò, il prof. Barresi mi disse poi che Gelli era andato a Trapani a incontrare i fratelli trapanesi”. “Con i fratelli trapanesi Gelli venne a parlare del progetto di golpe che si voleva mettere in atto, ma in realtà non era un vero golpe, è molto più facile dire chi non voleva partecipare, così pochi erano i contrari, in realtà più che un golpe era un ricatto che si voleva compiere nei confronti di Andreotti”.Mafiamassoneria politicaerano oggetto dell’attenzione giornalistica di Rostagno, anima di Rtc, tv di Trapani. Rostagno puntava poi dritto anche contro il miglior alleato di Riina e Messina Denaro, il mazarese Mariano Agate, scoprì i suoi incontri con i massoni e con Licio Gelli. Per questo Mauro Rostagno è stato ammazzato. Solo che adesso non si sa da chi, dopo l’assoluzione di Vito Mazzara, che, protetto in segreto dal gotha mafioso, ha trovato pubblicamente a difenderlo anche l’ex generale dei Ris , il generale dei carabinieri Luciano Garofano, entrato nel processo come super consulente della difesa. Tutto questo in un processo dove i carabinieri, almeno quelli di un tempo, non hanno certo brillato, alcuni, come il luogotenente Beniamino Cannas, che si era dimenticato persino di avere sentito Rostagno nell’ambito dell’indagine contro le logge segrete trapanesi, finito sotto inchiesta per delle false testimonianze apparsi nel dibattimento come veri e propri depistaggi. Depistaggi che per oltre vent’anni hanno tenuto lontano dalle accuse i vertici di Cosa nostra.


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