Articolo 21 ha deciso di costituire un proprio comitato tecnico-scientifico e ne ha affidato il coordinamento a Roberto Natale. In questo suo contributo qualche spunto per il lavoro dei prossimi mesi.
Ha ancora senso ragionare di etica dell’informazione al tempo della rete? Vale la pena di tracciare una rotta da seguire in quello che già prima era il vasto mare della comunicazione ed ora è diventato un oceano immenso, privo di confini? Si rischia di sembrare pateticamente arretrati a parlare di norme all’epoca della ‘disintermediazione’ e delle ‘camere dell’eco’?
Per provare a rispondere c’è un filo temporale che non va smarrito e che può tornare utile anche oggi. E’ il filo del cammino che l’informazione italiana ha fatto per guarire dalla malattia del corporativismo, per uscire dal vecchio e letale atteggiamento per il quale delle questioni del giornalismo erano autorizzati a parlare solo i giornalisti, oltreché naturalmente i poteri politico ed economico.
E’ un cammino cominciato quando imparammo a parlare di ‘diritto dei cittadini ad essere informati in modo corretto’ o di ‘tutela dei soggetti deboli’. Il passato remoto è più che giustificato, perché sono trascorsi 30 anni da quell’88 in cui venne prodotta la prima bozza di una ‘Carta dei diritti del lettore e dello spettatore’ promossa dal Gruppo di Fiesole. Due anni dopo la ‘Carta di Treviso’ segnò un importantissimo passo avanti nell’attenzione dell’informazione verso i minori. E nel ’93 arrivò la scelta di ordine e sindacato di adottare insieme un testo che parlasse non dei diritti ma dei doveri dei giornalisti.
Da allora le Carte si sono moltiplicate, in uno sforzo di progressivo adattamento a nuovi tecnologie, a nuovi media, a nuovi temi, a nuove sensibilità. E con loro sono aumentate le città alle quali possiamo associare una tappa di questo Giro d’Italia della deontologia: Roma, Perugia, Firenze, Milano, Trieste, Venezia. A spingere sui pedali un gruppo sempre più composito, per fortuna: non solo giornalisti, ma cittadini sempre più attivi, passati via via dalla proclamazione del diritto ad essere correttamente informati alla rivendicazione ed anzi alla pratica del diritto a comunicare, al quale nel frattempo l’evoluzione tecnologica ha dischiuso praterie.
I tempi nuovi incrinano irrimediabilmente, e per fortuna, vecchi monopoli professionali, ma non esentano da quella responsabilità che era e rimane il nocciolo duro dell’attività giornalistica, quale che sia il mezzo attraverso il quale si esplica: “il rispetto della verità sostanziale dei fatti”, come afferma la legge istitutiva dell’Ordine, invecchiata sotto tanti profili ma non in questo suo pilastro. Però, se i monopoli sono finiti, allora anche il discorso sulla responsabilità varca il confine di una categoria e chiama in causa i cittadini tutti, visto che tutti – all’epoca di facebook e twitter – siamo comunicatori.
Come fa infatti l’ultima nata tra le Carte, il Manifesto di Assisi varato in una prima bozza nel settembre scorso: “non scrivere degli altri quello che non vorresti fosse scritto di te”, dice al suo primo punto. E’ un richiamo al quale nessuno può sottrarsi, in tempi di hate speech. E i discorsi sull’etica si rivelano tutt’altro che polverosi: nella società della comunicazione hanno una nuova, urgente, diffusissima attualità.
Articolo 21, che per sua ragione costitutiva è luogo d’incontro non corporativo sui diritti e sulla comunicazione, può essere una delle sedi più idonee ad approfondire i nuovi termini della discussione. Lo faremo anche grazie al comitato tecnico-scientifico che costituiremo nei prossimi giorni, dove troveranno posto alcune delle competenze professionali e culturali che accompagnano dalla nascita la vita dell’associazione, insieme a nuovi apporti più legati all’età digitale. Con una scadenza sulla quale già programmare il lavoro: l’appuntamento che sabato 6 ottobre, alla vigilia della Perugia-Assisi, vedrà riunirsi voci diverse dell’associazionismo per varare la versione definitiva del Manifesto, che verrà letta dalla Rocca di Assisi al termine della marcia.