Basta andarsi a leggere l’intervista che ha rilasciato mercoledì scorso a Repubblica per rendersi conto che siamo al cospetto di un prodigio. Tale è, infatti, Ciriaco De Mita da Nusco, classe 1928, neo-novantenne con la furia di un ragazzo, lucido, partecipe e impegnato politicamente e civilmente assai più di molti attuali dirigenti, tristemente invecchiati anzitempo senza riuscire a lasciare alcuna traccia di sé.
Ora, per carità, lungi da noi voler tessere un elogio acritico del personaggio: De Mita ha avuto i suoi difetti, i suoi limiti e anche qualche controversia, cosa del resto normale per un uomo che ha assaporato le gioie e i drammi del potere per una così lunga stagione e che ha militato da protagonista in un partito costretto a governare per troppo tempo, con troppa solitudine e, pertanto, non sempre nel migliore dei modi.
Fatto sta che oggi non ravviso, nel triste panorama politico contemporaneo, una personalità in grado di eguagliarne la cultura e le intuizioni, di essere, alla stessa maniera, mediatore e demiurgo, di costruire una classe dirigente che, fra gli altri, annovera tra le proprie file anche l’attuale capo dello Stato, essendo Mattarella l’uomo su cui puntò l’allora segretario della Democrazia Cristiana per ripulire e rinnovare il partito in Sicilia, contrastando con la dovuta fermezza l’inquinata corrente andreottiana, in molti casi collusa con la mafia. Senza dimenticare il ruolo che ebbe, fra i demitiani, il mai abbastanza compianto Roberto Ruffilli, una delle ultime vittime della furia brigatista dopo essersi interrogato a lungo su come rendere nuovamente il cittadino arbitro, cioè autentico decisore dei destini del Paese.
Con la consueta verve, l’Avvocato Agnelli lo definì “un intellettuale della Magna Grecia”, raffinato nell’analisi e sempre pronto a rivendicare l’importanza del pensiero prima di passare all’azione.
Il mio incontro ideale con De Mita avvenne la sera del 28 ottobre 2016 quando, ospite di Mentana per un confronto con Renzi in vista del referendum, seppe rivendicare, come nemmeno D’Alema era stato in grado di fare, le ragioni democratiche e costituzionali del NO, entrando nel merito di ogni singola questione e dimostrando come la saggezza, la profondità di pensiero e la competenza possano avere la meglio anche in questa fase storica caratterizzata dai tweet e da pensieri troppo brevi per avere un senso compiuto.
Un leader moderno, dunque, capace di esprimere, anche in centoquaranta caratteri virtuali, idee e proposte di cui l’attuale classe dirigente è, purtroppo, sprovvista. E di prepararsi a combattere nuove battaglie, anche alla sua nobile età, come se dovesse ancora costruire qualcosa di importante, come se dovesse essere ancora lo straordinario tessitore che è stato negli anni della sua ascesa e del suo apice.
Non è stato un santo ma nemmeno un diavolo e, cosa assai più importante, è stato un uomo coerente: un democratico cristiano senza ripensamenti, orgoglioso del proprio tragitto e di ciò che è riuscito a conquistare nel suo incessante viaggio nella politica italiana. Un viaggio che non è ancora terminato e che, forse, non si concluderà mai. Che la strada sia lunga!