“Nel momento in cui gli atti giudiziari arrivano alle parti sono pubblici e dunque disponibili anche per i giornalisti”. E’ un concetto semplice del rapporto giustizia-informazione, un elemento basilare per creare un’informazione più puntuale, responsabile e trasparente. E lo ha espresso non un giornalista ma un magistrato autorevole, Raffaele Cantone, presente nella sua veste di Presidente dell’Autorità Anticorruzione al corso di formazione su “Libertà di stampa e accesso alle fonti giudiziarie e amministrative”, organizzato dall’associazione Stampa Romana in collaborazione con Anm e Ossigeno per l’informazione e con il patrocinio della Fnsi. Nel corso dei lavori si è cercato di portare al centro il rapporto tra la giustizia, intesa come fonte di informazione, e il giornalismo sia d’inchiesta che di racconto delle indagini già correnti. Autorevole la scaletta dei relatori, i quali hanno dato un contributo pratico alla possibilità di superare alcune anomalie gravi del sistema attuale. E tra queste ci sono sicuramente: la pena del carcere per i giornalisti, tuttora vigente; la mole di querele bavaglio il cui numero si desume dalle archiviazioni e assoluzioni (92%dei casi); le iniziative di alcune procure che acquisiscono documenti e strumenti dei giornalisti ledendo altresì il segreto professionale sulle fonti; l’ipocrisia che copre il flusso di informazioni sulla cronaca giudiziaria in base alla quale i documenti non divulgabili per legge arrivano, comunque, per vie traverse.
In apertura del corso il segretario di Stampa Romana, Lazzaro Pappagallo, ha illustrato il progetto che ha preceduto i corsi di formazione con l’Anm. Ossia: l’analisi dei dati sui cronisti minacciati nel Lazio (con un dato record nazionale ormai costante da quattro anni); la condizione di precarietà di molti giornalisti che incide oltremodo; la necessità ineludibile di porre in essere buone pratiche di collaborazione con gli uffici giudiziari, partendo da sezioni o singoli magistrati che nelle Procure si occupino delle querele per diffamazione, fino a protocolli che consentano una trasmissione trasparente delle informazioni giudiziarie ai media, nel rispetto delle autonomie di ciascuno dei soggetti coinvolti.
Il Presidente del Consiglio nazionale dei giornalisti, Carlo Verna, ha ribadito che per l’Ordine vige ormai la prassi della costituzione di parte civile in tutti i processi in cui i giornalisti sono parte offesa e ha confermato la necessità di garantire con un fondo nazionale la difesa dei giornalisti minacciati con querele bavaglio. Verna ha anche ricordato il cambio di passo degli organismi di rappresentanza circa i nodi che ancora riguardano il rapporto tra giustizia e informazione.
I numeri delle intimidazioni ai cronisti e la condizione dell’informazione in Italia vista dalle istituzioni europee sono stati illustrati da Alberto Spampinato che, con Ossigeno per l’informazione, ha creato una vera e propria banca dati sugli ostacoli alla libera informazione in Italia. E in tale ambito ha snocciolato i numeri sul carcere comminato ai giornalisti (in 155 casi in un anno con una media di otto mesi di pena).
L’esperienza sul campo è stata raccontata durante i lavori da Ferruccio De Bortoli che ha posto l’accento sulla necessità di fare attenzione a ciò che non si racconta, che non si riesce a raccontare, oltre che a dibattere su ciò che si racconta. De Bortoli ha fatto riferimento alla fragilità economica di molti giornalisti free lance e precari che ormai rappresentano la maggioranza, nonché alle difficoltà finanziarie delle aziende editoriali che quindi spesso preferiscono risparmiare sulla tutela dei giornalisti.
La seconda esperienza diretta di ciò che accade sul campo della cronaca giudiziaria, in relazione ad interventi della magistratura sul lavoro dei giornalisti, è stata raccontata da Gianluca Paolucci, cui la Procura di Torino ha sequestrato per alcuni giorni strumenti e atti di lavoro (ma anche di uso privato) nell’ambito del suo lavoro d’inchiesta su Unipol. Gli strumenti (telefono, pc) sono stati poi restituiti e la Procura ha chiesto scusa, visto che Paolucci ha dimostrato di aver avuto in modo legittimo i documenti utilizzati per il suo lavoro.
Il Presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, ha ricordato l’assenza della politica su riforme strutturali tante volte sollecitate e mai attuate, probabilmente per il “fastidio che prova la politica verso ogni forma di mediazione, compresa evidentemente quella giornalistica”. E anche il segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso, ha riproposto alcuni temi cruciali “per la libertà di informazione e dunque per la libertà dei cittadini di essere informati, perché è sull’intera comunità che si ripercuote la restrizione di una libera e sicura modaliità di fare informazione in questo Paese”.
Lo spazio della mattinata dedicato agli interventi dei magistrati ha fatto segnare importanti punti di convergenza e un sensibile passo in avanti nel dibattito sulle querele temerarie. Oltre al contributo di chiarezza e trasparenza del Presidente dell’Anac Cantone, in materia di accesso agli atti giudiziari da parte dei giornalisti, si è registrata una significativa proposta del vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Giovanni Legnini, il quale ha affermato che gli uffici giudiziari devono comunicare meglio e che sulla comunicazione e l’emanazione di apposite linee guida il Csm lavorerà con una commissione guidata da Giovanni Canzio, composta anche da giornalisti, con la collaborazione dell’Ordine dei giornalisti. D’altra parte il procuratore Paolo Auriemma aveva fatto rilevare come ad oggi sia un problema che il capo ufficio della Procura venga lasciato solo a raccontare fascicoli detenuti formalmente ma molto meglio conosciuti dai sostituti. Sempre Auriemma ha auspicato che i giornalisti leggano tutti gli atti e in specie le sentenze prima di raccontarle.
Un riferimento all’ultima legge recente sulle intercettazioni, che prevede finalmente una copia giornalisti delle ordinanze ( norma che sarà operativa tra un anno) è venuto da Eugenio Albamonte, Presidente nazionale dell’Anm. A proposito di intercettazioni Albamonte ha ricordato come siano essenziali per le inchieste giudiziarie e ha altresì ribadito l’importanza delle inchieste giornalistiche: “Limitare gli strumenti di indagine per i magistrati toglie spazio anche ai giornalisti coraggiosi”, ha detto.
Nel pomeriggio il corso è proseguito con un approfondimento sull’accesso agli atti a cura di Maria Vittoria Ferroni, Ida Nicotra e Carmela Pace ed è stato sottolineato quanto sia importante per i giornalisti la possibilità di un accesso totale alle informazioni della pubblica amministrazione, che spesso contengono indicazioni e prove di corruzione ancor prima che arrivino le indagini sulle responsabilità penali.